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Imbarazzo globale

di Dario Muzzarini - 19/01/2009

La crisi economica e l'imbarazzo globale dei leader politici, che hanno le mani legate ma non possono ammetterlo."La crisi economica è più seria del previsto": questa frase sembra essere il leitmotiv cha accompagna le prime settimane del nuovo anno.

globeinmanoDalle iniziali, seppur poco convincenti, rassicurazioni diffuse dai leader politici, si è passati alla consapevolezza che il momento nero dell'economia globale si deve ancora presentare. La crisi finanziaria si è rapidamente riversata sull'economia reale; i mercati si sono improvvisamente paralizzati, la domanda generale è in netto calo e le principali realtà produttive annaspano tra le difficoltà, non ultime quelle generate dalle politiche di contenimento del rischio da parte delle banche che, dopo aver osato oltre al dovuto, si trovano ora a dover tamponare la propria esposizione al rischio, abbandonando per la seconda volta (questa volta in senso restrittivo) la loro naturale funzione all'interno del mercato di finanziare lo sviluppo e svolgere da intermediari del rischio: Se prima gli istituti di credito avevano "scordato" la loro funzione preoccupandosi della massimizzazione del profitto con strumenti eccessivamente volatili ed estremamente distanti dall'economia reale, ora avviene l'esatto opposto: le banche non sono più disposte a prestare denaro, fondamentale per la crescita, e il tessuto imprenditoriale si trova senza ossigeno per sopravvivere.

Il mondo, e ogni singola nazione, attendono un intervento dai grandi potenti del pianeta. Una soluzione, la prima e più ovvia, sarebbe quella rappresentata dall'espansione della spesa pubblica, che consentirebbe di assorbire manodopera, creare ricchezza e, in sostanza, riavviare il mercato, un po' come avvenne con il new deal negli anni trenta in risposta alla crisi del '29. Tuttavia le cose sono un po' cambiate: viviamo nell'era della globalizzazione. Questo significa che i consumatori acquistano facilmente beni di origine geografica distante dal loro paese. Un incremento della spesa pubblica in Italia, ad esempio, potrebbe comportare un beneficio ridotto in termini di consumi di prodotti nazionali, mentre potrebbe fomentare la crescita di paesi produttori più competitivi (vedi Cina) in quanto il mercato interno è abbondantemente pervaso da prodotti "stranieri". Un intervento di politica economica di questo genere quindi potrebbe avere come conseguenza esclusivamente una crescita dell'indebitamento del paese senza sortire gli effetti sperati sulla ripartenza del mercato. L'esempio può venire tranquillamente adattato a qualsiasi paese occidentale, con l'aggiunta che l'Unione Europea prevede seri vincoli dettati dal patto di stabilità, che legano le mani ai governanti dei paesi membri.

La crisi economica è grave, ma il vero problema è che probabilmente nessun governo ha davvero il potere di intervenire con certezza di risultati sul mercato. Si è creata una sorta di imbarazzante situazione di stallo, dove probabilmente ogni stato attende che siano gli altri a "indebitarsi" per alimentare l'economia globale.

Sembra che, ancora una volta, possano essere i consumatori a indirizzare il mercato con le proprie scelte di consumo, favorendo i prodotti locali che alimenterebbero l'economia interna: questo forse, vorrebbero poter dire i politici, ma probabilmente suonerebbe troppo antiliberale e autarchico, una sorta di ammissione di colpevolezza per tutti i sostenitori della globalizzazione, un dietrofont quantomeno imbarazzante. Non ci sono alternative, pare. E mercato libero sia, allora... dopotutto nessuno ha mai detto che il libero mercato non comporti costi sociali anche elevati, nei momenti di transizione: siamo avvisati, "la crisi economica è più seria del previsto".