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La vivisezione di Gaza

di P. Pagliani - 19/01/2009

 

 

1. Olmert ha annunciato che vuole un rapido ritiro delle sue truppe da Gaza.

Non credo che sarà così facile. Staremo vedere. Ma prima o poi, come è sempre successo, l’eco dei massacri di Gaza finirà per spegnersi e mentre i Palestinesi finiranno la conta dei loro morti e cercheranno di curare i loro feriti, le coscienze qui da noi si smobiliteranno, cesseranno le denunce, si esauriranno le polemiche (o per lo meno non avranno più spazio sui media, indaffarati in altre cose), si tornerà alla normalità di qualcos’altro.

E sarà un grave errore.

 

2. Nel mio post “La fretta d’Israele” avevo scritto che l’attacco a Gaza poteva essere «l’agghiacciante anteprima di una “fase 2”, che non può che chiamarsi Siria o, più probabilmente, Iran.». In realtà stavo anche per scrivere “probabilmente passando ancora una volta attraverso il Libano”. Non l’ho fatto per non dover aggiungere troppe spiegazioni a un testo già denso.

Ma è giunto il momento di aggiungere quella frase e di dare le spiegazioni.

Il tentativo nel 2006 di eliminare Libano il rischio, politico più che militare, Hezbollah, come  si sa non è riuscito. Così Israele ha chiesto soccorso ai suoi alleati, tra cui l’Italia, che si sono “interposti” togliendo le castagne miliari dal fuoco all’IDF e politiche ai dirigenti sionisti.

Qui bisognerebbe cercare di capire come mai D’Alema abbia energicamente sostenuto questa ennesima missione del nostro esercito. Io non lo capisco a fondo. Forse pensava veramente di poter far giocare all’Italia e all’Europa un ruolo super partes ed evitare una più catastrofica escalation? Può essere: D’Alema sembrerebbe, anche oggi, il politico del PD meno appiattito a pelle di leopardo sugli interessi israeliani (insieme forse alla defilata cattolica Rosy Bindi). D’altra parte mi sono anche chiesto se le sue dichiarazione su Gaza fossero in realtà un puro gioco antiveltroniano. Ma non credo. Può essere che il cinico baffetto sia il tardo epigono di una certa politica estera democristiana di stampo gesuitico (sia detto con una lievissimo accento positivo), così come nell’altro schieramento politico lo potrebbe essere Berlusconi. Per finire il siparietto italico, un piccolo sospiro di sollievo viene dal licenziamento di Sansonetti da “Liberazione”. L’inqualificabile (ex?) rifondarolo è riuscito ad attaccare un onesto articolo del professor Angelo D’Orsi, che diceva in modo semplice come stanno le cose riguardo Israele, Hamas, Abu Mazen e il  tradimento degli intellettuali, italiani e israeliani. Apriti cielo!

 

3. Ma torniamo - letteralmente - a bomba.

Non è possibile, o per lo meno è molto rischioso, attaccare gli ultimi stati mediorientali riottosi (Siria e Iran), se prima non si è normalizzata la situazione ai propri confini (tenuto poi conto che anche Iraq e soprattutto l’Afghanistan - cerniera tra Medioriente e Asia centrale - continuano ad essere riottosi, nonostante i massacri).

Da qui un insistere su Hamas e Hezbollah quinte colonne dell’Iran; insistenza ripetuta pedissequamente dai nostri media.

Il concetto di quinta colonna è del tutto improprio: sia Hamas che Hezbollah sono forze nazionaliste e non panislamiche, come cerco di ripetere da diversi anni.

Ma tra le righe di quelle veline viene espressa una preoccupazione che ha fondamento. Hamas e Hezbollah cercano di crearsi opportune alleanze, è naturale. Per quanto riguarda il Libano, l’ultima aggressione israeliana è riuscita a compattare le forze politiche del paese dei cedri in senso antisraeliano, con conseguente riavvicinamento alla Siria e avvicinamento all’Iran. Lo scorso agosto il presidente libanese Michel Suleiman accompagnato da diversi ministri ha visitato Damasco (prima visita bilaterale in Siria) e in novembre era a Teheran. Visite che non possono non avere preoccupato Israele.

Perno di quest’ultimo movimento è stato, ovviamente, lo sciita Hezbollah e la prospettata integrazione delle sue milizie nell’esercito libanese può essere considerato un consolidamento  politico della sostanziale vittoria militare del 2006 del Partito di Dio libanese.

E’ in questo quadro che dobbiamo inserire le esplicite dichiarazioni fatte recentemente da Olmert a Sarkozy:

«Per gli sviluppi diplomatici, non sarebbe opportuno far passare una risoluzione su questo tema [ovvero un cessate il fuoco immediato da parte dell’ONU, n. d. a.], dato che l’esperienza passata ha dimostrato che Israele non può permettersi di limitare la sua libertà di azione contro il terrorismo - oggi Hamas, domani Hezbollah, la Jihad Islamica e Al-Qaeda.» (The Jerusalem Post, 6-1-2009).

 

Dato che “Jihad Islamica” e “Al-Qaeda” sono termini generici o fantasmagorici, rimane quell’inquietante “domani Hezbollah”. Ovvero, “domani sarà la volta del Libano”.

Ma se questa era la diplomazia, sul terreno non si è stati fermi:

 

«Le alture del Golan sembravano una zona di guerra questa settimana. Elicotteri e aerei da combattimento sfrecciavano sulle cime verdi e umide e migliaia di soldati hanno simulato una guerra contro la Siria e Hezbollah, in una massiccia esercitazione della Golani Brigade, cannoni e carri armati Merkava. [...] In una franca intervista col Jerusalem Post riguardo le linee implicite di queste esercitazioni, il [Brigadiere Generale, capo dell’artiglieria] Ben-Baruch ha parlato della guerra [del 2006 contro il Libano] come di una “opportunità mancata”, a causa di una “direzione scarsa” dei massimi livelli dell’Esercito. L’artiglieria, ha rivelato, sparò più di 170.000 proiettili durante la guerra, una media di 5.000 al giorno. Ma mentre il numero è enorme, ha detto che l’artiglieria fu usata male. “Nell’ultima guerra abbiamo sparato per distruggere l’attività dell’Hezbollah”, ha chiarito. “La prossima volta spareremo per distruggere.”. [...] Funzionari della difesa questa settimana hanno dichiarato che in caso di guerra, la raccomandazione al governo del Chief of General Staff, il Luogotenete Generale Gabi Ashkenazi, è quella di dare all’IDF [le forze armate israeliane] semaforo verde per bombardare pesantemente le infrastrutture libanesi, ora che Hezbollah è parte del governo libanese.». (The Jerusalem Post,

 

Questa strategia è esattamente quella attuata attualmente a Gaza: 1) cercare d’imporre una leadership asservita, 2) in caso contrario passare ad azioni militari terroristiche: «Nessun villaggio resterà immune, » ha spiegato il Generale Ben Baruch al Jerusalem Post. «Daremo un avviso di 12 ore, e poi colpiremo». Inoltre, «La differenza tra l’altra guerra e la prossima è che l’IDF non aspetterà le ultime 24 ore di una guerra lunga un mese per inviare le truppe sul fiume Litani; lo farà subito.»

 

Gaza, a questo punto, si tratta quasi di una seconda esercitazione. Coi suoi obiettivi specifici, sicuramente, ovvero la normalizzazione del fronte palestinese, ma sostanzialmente di una seconda esercitazione in corpore vili. Una vera e propria vivisezione.

 

4. Ma qual’è l’obiettivo strategico di Israele? Tralasciamo momentaneamente gli obiettivi specifici d’Israele. In generale, il gioco che si sta giocando è il Great Middle East Gamble, ovvero il controllo imperiale del Medioriente, il gioco d’azzardo iniziato dagli strateghi neocons di George Dubya Bush. E nel Greater Middle East, Israele ha il ruolo sub-imperiale di capo mandamento.

Ma esistono anche gli obiettivi specifici di Israele. Che vanno sotto un nome che ormai dovrebbe essere noto a tutti: “Grande Israele”, ovvero la conquista definitiva della Palestina. Perché questa continua tensione all’espansione? Beh, la ragione l’aveva già spiegata il generale Weizmann parlando della Guerra dei Sei Giorni, in un articolo su Rinascita del 1972, già da me citato:  “[…] lo Stato d’Israele, se non avessimo colpito, non avrebbe potuto continuare ad esistere con la sua specificità, con il medesimo spirito, con la medesima essenza.”

Ragioni ideologiche che nascondono sempre più ragioni materiali, strettamente intrecciate. Io credo che i dirigenti sionisti siano convinti che la società israeliana potrebbe collassare se “costretta” alla normalità. Potrebbe collassare come “Stato ebraico”. E questo è un rischio molto maggiore adesso che si è fatto ogni sforzo, all’interno ed all’esterno, per far identificare sionismo con ebraismo. Questo sforzo iniziò massiccio dopo il 1967. Come fa notare Norman G. Finkelstein in “L’industria dell’Olocausto”, «Indipendentemente dall'appartenenza politica, gli intellettuali ebrei americani si mostrarono indifferenti al destino d'Israele. Studi approfonditi del mondo intellettuale della sinistra progressista ebraica risalenti agli anni Sessanta fanno a malapena il nome d’Israele. Appena prima della guerra dei Sei Giorni, l’AJC [American Jewish Committee] promosse un convegno sul tema L’identità ebraica qui e ora”: solamente tre delle trentuno “menti più brillanti della comunità ebraica” fecero riferimento a Israele, e due di loro per liquidarne la rilevanza.».

Come è sotto agli occhi di tutti, da allora lo sforzo ideologico dei sionisti non ha fatto che mietere successi. Un successo che però potrebbe essere esiziale se il meccanismo sionista si fermasse. Fermo restando che potrebbe essere esiziale anche se continuasse nella sua corsa.

Ma potrebbe collassare anche la tenuta sociale dello Stato Ebraico, data la non floridissima economia - molto dipendente dagli Stati Uniti e dall’apparato militare - e le tensioni interne rappezzate, come si fa di solito, grazie al “pericolo esterno”.

Ne segue così una “coazione a ripetere” di stampo politico-militare.

Sono alcuni temi di discussione puramente accennati, ma che credo valga la pena di riprendere e approfondire.

 

5. Ma, come ho già fatto notare in “La fretta d’Israele”, tra il dire e il fare adesso ci si è messo di mezzo il mare.

Un solo elemento: la rediviva Russia ha ricominciato ad essere attiva nell’area, intrecciando accordi con Siria, Libano e Iran.

Anche per questo (ma, ovviamente, non solo per questo) era necessario sincerarsi con l’attacco della Georgia all’Ossezia del Sud che la Russia non se la sentisse di reagire, un po’ come era successo prima dell’attacco alla Serbia, dove la cartina di tornasole era allora l’incapacità della Russia di venire a capo della crisi cecena. Si spiegherebbe un po’ di più tutto l’appoggio militare di Israele alla Georgia.

Ma è andata male, molto male. La Russia ha reagito, eccome!

Se la sentirà Israele di sfidare la sorte (e la pace mondiale), infliggendo al Libano le stesse torture di Gaza?