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Un inverno di malcontento? La Russia nella tempesta finanziaria mondiale

di Jacques Sapir * - 19/01/2009

 
 




L'inverno 2008-2009 sarà, per la Russia, una stagione di malcontento? Osservando i media russi, si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte ad una crisi molto seria, con potenziali ricadute sociali e politiche.
La realtà è che, seppur tardi, la Russia è stata colpita dalla crisi finanziaria globale. Quella che s'intravede è senza dubbio una stagione d'asprezze, ma la situazione appare più incoraggiante di quella del 1998, ch'è per la Russia la crisi di riferimento. La situazione, anzi, appare assai migliore di quella europea o statunitense. Le peggiori previsioni finora pubblicate – come al solito quelle del FMI – accreditano l'economia russa d'una crescita del 3% nel 2009. La previsione del governo russo non è molto diversa. È molto meno di quanto registrato nel 2007 e nel 2008, ma ci sono parecchi governi delle economie avanzate, da Parigi a Washington, che metterebbero la firma per avere un simile tasso di crescita.
La tendenza alla contrazione della crescita è comunque certa, anche se probabilmente sovrastimata. Possiamo perciò ammettere che la crisi finanziaria ha colpito l'economia russa, e l'ha fatto in due ambiti: quello reale e quello psicologico. La dimensione reale riguarda tre aspetti: una carenza di liquidità, la caduta dei prezzi delle commodities1 ed il collasso della domanda occidentale. È piuttosto facile stimare questa crisi, in quanto poggia su fattori oggettivi e ben noti. La seconda dimensione è invece più difficile da valutare, poiché la psicologia collettiva non è una scienza esatta: ma ciò non significa che sia meno importante.

La crisi di liquidità ed il suo impatto sulla Russia

Le banche e le grandi imprese russe hanno sofferto il collasso dei mercati internazionali. La crisi di liquidità sperimentata tra settembre e novembre è stata senz'altro la peggiore dal 1929. Essa è frutto della montante crisi finanziaria dell'economia statunitense, ma è stata aggravata dagli errori politici di Ben Bernanke (presidente della FED) e di Henry Paulson (segretario al Tesoro statunitense). La questione dei mutui si sarebbe dovuta affrontare entro l'inizio del 2008, quand'era ormai chiaro come fosse la maggior fonte di difficoltà per le banche. Dopo aver gestito con successo il salvataggio della Bear Stearns in primavera, Bernanke e Paulson persero l'occasione di sfruttare il tempo così guadagnato per affrontare la situazione bancaria degli USA. Quel ch'è peggio, dopo aver salvato Bear Stearns e poi Fannie Mae e Freddie Mac, entrambi lasciarono che Lehman Brothers fallisse. Quest'ultimo errore ha fatto precipitare la crisi di liquidità.
Il suo impatto sulla Russia è stato significativo. I mercati finanziari russi hanno dimensioni piuttosto ridotte. Il mercato azionario RTS non ha mai registrato in una giornata scambi superiori ai 100 milioni di dollari statunitensi. Anche nel MICEX2, più grande, il volume degli scambi è ancora piuttosto basso. Ciò non avrebbe rappresentato un gran problema, se non fosse che il settore bancario russo era (ed è ancora) poco sviluppato: esso non è in grado di finanziare gl'investimenti e le attività imprenditoriali. Il mercato interbancario russo era molto debole già prima della crisi, e la Banca Centrale s'è focalizzata a tal punto sulla diminuzione dell'inflazione che non è stata più capace di rifondere il mercato. Ecco il motivo per cui grandi banche ed imprese stavano finanziando il proprio sviluppo raccogliendo fondi sui mercati finanziari internazionali. In certa misura, ciò avrebbe potuto essere se non impedito quanto meno ridimensionato, qualora il governo russo avesse condotto una più decisa politica di finanziamento dell'industria e sviluppato specifiche istituzioni d'investimento, e se la Banca Centrale fosse stata meno incantata dall'inflazione, che in Russia è più strutturale che monetaria.
Si potrebbe, per certi versi, affermare che il governo russo è stato troppo liberale nel periodo dal 2004 al 2008, e troppo ligio alle prescrizioni neomonetariste. D'altro canto, va ricordato che ogni qual volta abbia tentato di condurre politiche interventiste è stato sommerso dalle critiche interne ed esterne, accusato di voler ricostituire il sistema economico sovietico.
Quando, nel settembre 2008, la liquidità è quasi scomparsa, per le suddette ragioni la Russia ha patito un tremendo choc. Le grandi banche ed imprese non hanno potuto rifinanziare i prestiti a breve termine, indebolendo considerevolmente tutte le operazioni di credito e destabilizzando parecchie banche.
Il governo russo ha così dovuto sostituirsi ai mercati finanziari, prosciugatisi. La banca di Stato russa per le operazioni estere, la VEB, ha prestato tra i 70 ed i 100 miliardi di dollari a banche ed imprese. Ora, la VEB deve rifinanziare le passività estere delle banche russe.
Va qui notato che il governo russo ha per lo meno agito celermente e con efficacia. I depositi bancari dei correntisti sono stati garantiti rapidamente, prevenendo una corsa generale agli sportelli. Il confronto con la reazione statunitense, tenendo presente quanto successo al piano Paulson, è senz'altro a vantaggio delle autorità russe. Tuttavia, non è stato sufficiente per scongelare le operazioni di credito. Ancora una volta, è accaduto qualcosa di non molto differente dai diversi paesi sviluppati, Germania, Francia e Stati Uniti compresi.
A quasi tutti i governi è sfuggito che aiutare le banche non conduce automaticamente ad espandere il credito, o semplicemente a tornare alla normalità. Senza l'aiuto pubblico le banche sarebbero collassate e, come nella “grande depressione” del 1929, ciò avrebbe portato al crollo totale del sistema creditizio ed a ripetuti fallimenti d'imprese, giacché la mancanza di liquidità si sarebbe tradotta in insolvenza. Tuttavia, salvare le banche dal fallimento ma non controllarle significa concedere una preferenza assoluta alla liquidità. Quello in cui si svolge la crisi attuale è un contesto segnato soprattutto dall'incertezza. Come spiegò Keynes più di settant'anni fa, l'incertezza impedisce di prevedere il ritorno degl'investimenti e rende la tesaurizzazione la miglior opzione. Ciò si applica pure alle banche, a maggior ragione quando vaste catene di debiti emergono ovunque. Una lezione che va tratta dal “decennio perduto” giapponese è che abbassare i tassi d'interessi a quasi lo 0% non funziona. Quando l'incertezza è “radicale”, il costo non è più importante.
Quando s'affronta quest'incertezza “radicale”, solo azioni radicali sono efficaci. Keynes sosteneva l'idea di stabilizzare la domanda interna per stabilizzare le aspettative. Ciò è fatto generalmente tramite una massiccia spesa pubblica, e quindi i tassi d'interesse vanno abbassati per permettere al governo di raccogliere fondi a buon mercato. I bassi tassi d'interesse sono dunque sensati, ma solo se intesi come mezzo per una politica di bilancio espansiva. Questo funziona, ma richiede del tempo. Volendo davvero scongelare in fretta il mercato creditizio, quella descritta si rivelerebbe una strada troppo lunga. L'unica soluzione è allora quella di far muovere le banche anche se non è possibile effettuare previsioni. È un atto arbitrario. Di per sé, può creare un nuovo contesto in cui altri agenti economici cominceranno a muoversi a loro volta. Solo il controllo governativo – anche temporaneo – sulle banche può permettere una tale politica. Se le banche non avessero elemosinato denaro pubblico, non ci sarebbe terreno né legittimata per intraprendere simile azione. Tuttavia, laddove le banche hanno richiesto denaro e l'hanno ottenuto a prezzo di favore, qualche pretesa sul loro atteggiamento può essere avanzata.
Di recente, il presidente Nicolas Sarkozy ha pubblicamente biasimato le banche francesi per aver preso denaro pubblico senza riaprire le linee di credito. La situazione attuale è però talmente urgente che le parole, per quanto aspre, non sono sufficienti. Vi sono forti argomenti a favore d'un controllo diretto sul sistema bancario, ma va ammesso che ciò potrebbe essere più semplice da realizzare in qualche paese occidentale che in Russia. Ad oggi la FED statunitense ha esteso la sua garanzia su 7000 miliardi di prestiti, equivalenti al 50% dei PIL nazionale, e sta anche prestando denaro ad imprese non finanziarie: eppure, finora nessuno – eccetto qualche vecchio reaganiano – ha accusato Bernanke di nutrire ambizioni pianificatrici. Al massimo, lui e Henry Paulson sono stati bollati spregiativamente quali “francesi”, che come noto, nel gergo politico statunitense, equivale ad essere definiti “rossi”. Possiamo però immaginare come i media occidentali avrebbero reagito se al loro posto ci fossero stati Dmitrij Medvedev o Vladimir Putin...
Da un punto di vista puramente tecnico si possono giudicare le autorità russe eccessivamente caute e non abbastanza interventiste di fronte alla situazione attuale. Ma i risvolti politici sono complessi. In qualche modo, la pressione dei media occidentali sta restringendo la libertà d'azione del governo russo.

La caduta dei prezzi

Il secondo aspetto della “crisi reale” dell'economia russa è l'improvvisa caduta dei prezzi del petrolio e di altre commodities. Ciò è assai importante, dal momento che le entrate fiscali russe si basano soprattutto sulla loro esportazione. Il crollo attuale, anche se passeggero, si sta rivelando un problema. L'andamento del prezzo del petrolio è chiaramente legato alla caduta della speculazione seguita ad una fase di rialzo. È noto che per mantenere la produzione di petrolio al livello attuale per il prossimo decennio il prezzo di “equilibrio tecnico” dovrebbe essere tra gli 80 ed i 90 dollari al barile. Nulla può giustificare il rialzo dei prezzi sopra i 110 e fino ai 145 dollari toccati questa primavera, ma neppure la discesa sotto ai 50 dollari di quest'autunno. Ci troviamo di fronte, ovviamente, a speculazione pura.
I mercati delle commodities sono divenuti altamente speculativi perché gli operatori di contratti future3, estremamente remoti dal mercato, stanno attualmente usando questi contratti come strumenti finanziari. Per ogni barile di greggio effettivamente spedito, ci sono oggi fino a 18 contratti future. Le banche d'investimento statunitensi, come Goldman Sachs, Merril Lynch, Morgan Stanley ed ovviamente l'ormai defunta Lehman Brothers, entrarono nel mercato delle commodities sette anni fa, subito dopo il collasso della bolla “dot.com”4. Inizialmente si trattava d'un nuovo commercio nell'ambito d'una strategia di diversificazione. Ben presto, però, fecero dei futures sulle commodities degli strumenti di speculazione, imitati prontamente da un gran numero di fondi hedge5 basati negli USA.
Nell'inverno 2007-2008 questi operatori hanno adottato i mercati delle commodities quale nuovo terreno di speculazione dopo essere stati estromessi dai circuiti tradizionali a causa dell'acuirsi della crisi finanziaria. Le obbligazioni commerciali e tutti i nuovi strumenti derivati (come i CLO o i CDO6) sono divenuti troppo bollenti persino per i più scriteriati operatori di Wall Street.
Il rialzo dei prezzi del petrolio, fino al gennaio 2008, fu la logica conseguenza d'una domanda crescente che un'offerta sempre più costosa doveva soddisfare. Da metà febbraio, tuttavia, i prezzi del petrolio come di qualsiasi altra commodity si sono allontanati da ogni normale tendenza. Al crescere dell'incertezza, col fallimento di Bear Stearns, i prezzi delle commodities hanno continuato a muoversi fino a luglio (vedi figura 1). È seguita una logica tendenza al declino, dal momento che alcuni operatori stavano rientrando dalle proprie posizioni speculative. Tuttavia, quando in settembre (dopo un primo tentativo a luglio) Fannie Mae e Freddie Mac hanno dovuto ricorrere al Tesoro per salvarsi, il bisogno di liquidità è divenuto travolgente. Ciò ha portato alla precipitosa caduta dei prezzi delle commodities, tra ottobre e novembre, e quindi la tendenza è stata ulteriormente aggravata dalla pratica della vendita allo scoperto. Si era evidentemente di fronte ad una massiccia speculazione al ribasso.
La cosa più importante da notare è che i prezzi delle commodities non sono stati determinati da preoccupazioni riguardanti il livello d'attività dell'economia reale. I prezzi delle commodities hanno subito la crisi finanziaria e le sue dinamiche. Si tratta d'un cambiamento notevole rispetto alle crisi precedenti. Alcune crisi politiche (come la guerra in Vicino Oriente nel 1973) hanno già avuto un impatto tremendo sui prezzi delle commodities. Tuttavia quel che stiamo osservando per la prima volta è il completo controllo dei mercati delle commodities da parte della nuova finanza speculativa. Questo ha generato la sua quota d'ulteriori incertezze e contribuito ad aggravare la crisi.
I bassi prezzi del petrolio costituiscono evidentemente un problema finanziario per la Russia, ma ciò non ostante la situazione del paese è piuttosto solida, benché il bilancio del 2009 sia stato redatto assumendo un prezzo pari a 50 dollari al barile.
Durante l'estate del 2008 le riserve FOREX7 della Banca Centrale s'aggiravano attorno ai 600 miliardi di dollari. Anche se 144 miliardi sono stati spesi tra agosto e fine novembre, il ritmo di consumo delle riserve è caduto a 3 miliardi alla settimana. Evidentemente, non si prospetta alcuna prossima “catastrofe” su questo terreno. Il paese gode d'un ampio avanzo di bilancio ed il debito governativo è assai ridotto. La situazione finanziaria russa è più solida di quella di parecchi paesi sviluppati.

L'impatto della recessione sulle economie avanzate

La terza dimensione dello “choc reale” dell'economia russa è la recessione negli USA e nell'UE. La recessione è stata temporaneamente nascosta grazie alla drastica svalutazione del dollaro nella primavera 2008: le esportazioni statunitensi crebbero del 13% e scongiurarono il collasso dell'attività economica. Tuttavia, all'inizio di luglio questa fase era già superata. L'effetto dell'esplosione della bolla immobiliare era ormai ben visibile. La disoccupazione, già in salita dall'inizio del 2008, ha avuto un drammatico rialzo quest'estate. I consumi si sono fatti stagnanti ed il mercato d'alcuni beni, come le automobili, si trovò subito al collasso.
Il PIL statunitense si contrarrà del 2-3% per almeno 4 trimestri; più probabilmente per sei. Nell'agosto 2007 il tasso di disoccupazione era al 4,6%, per salire bruscamente al 6,9% nell'ottobre 2008. Secondo tutte le previsioni raggiungerà il 9% per la fine del 2009.
La recessione stava intaccando anche i paesi europei. Le economie più prossime al modello statunitense – come quelle di Regno Unito, Irlanda e Spagna – hanno sofferto maggiormente. Nel paese iberico la crisi ha assunto dimensioni davvero drammatiche ed alla fine di dicembre 2008 si contavano quasi 3 milioni di lavoratori disoccupati, ossia l'11,3%.
Non di meno, anche la Germania ha cominciato a risentire del colpo. Le banche tedesche sono uscite indebolite dalla crisi finanziaria, essendo state in precedenza piuttosto attive sui mercati dei derivati finanziari. L'economia tedesca è entrata in recessione probabilmente già prima della crisi di liquidità, sul finire dell'estate 2008. Subito dopo sono state colpite Francia e Italia, se non altro perché la Germania è il loro principale socio commerciale. In tutta l'UE l'attività economica ha rallentato vistosamente quando non declinato. Il PIL dell'eurozona dovrebbe calare dello 0,5% nel 2009. È certo una recessione meno acuta di quella che soffrirà l'economia statunitense, ma l'UE e l'eurozona sono soci commerciali ben più importanti per la Russia rispetto agli USA. La situazione sarà peggiore per i “nuovi entrati” nell'UE. L'Ungheria e la Romania sono molto deboli. La Polonia sta soffrendo parecchio per il calo dell'economia tedesca.
Tutto questo sta colpendo la Russia. La domanda europea sta crollando sempre più velocemente e pesantemente, soprattutto in settori dove i prodotti russi sono molto usati, come nell'edilizia, che adoperava parecchio acciaio russo. La recessione europea è ovviamente causa di grande preoccupazione in Russia, e spiegherebbe il rallentamento della crescita industriale. La disoccupazione sta crescendo ed avrà un impatto sui consumi interni.

La dimensione soggettiva e le necessarie azioni governative

Tutti questi effetti, combinati tra loro, hanno un certo impatto sull'industria russa. Governo e Banca Centrale hanno già iniettato più di 278 miliardi di dollari nell'economia. Il Governo, che dal 2000 registra un ingente avanzo di bilancio, gode ancora di vaste riserve: potrebbero essere impiegate durante l'inverno in corso. La Russia sostituirà, in una certa misura, la declinante domanda esterna con una più forte domanda interna. Se nel corso dell'inverno saranno prese le misure adeguate, il tasso di crescita per il 2009 sarà certamente superiore al 3%. Questo richiede però che le giuste azioni siano definite e messe in pratica al più presto.
Le prospettive per il 2009, tutto sommato, sono molto migliori di quelle delle economie europee e, ovviamente, degli USA, dov'è già in corso una vera e propria recessione. Allora come si spiega questo sentimento di depressione che pervade i media russi ed alcuni commenti occidentali?
La risposta sta nel lato psicologico della crisi. L'élite russa non s'è ancora ripresa dal trauma del 1998. L'attuale fuga di capitali rispolvera vecchie paure, benché al ritmo attuale la Banca Centrale sia in grado di sostenerla per 150 settimane, ossia quasi tre anni... Nell'agosto 1998 le riserve bastavano per meno di tre settimane. È anche vero che l'élite economica russa s'era abituata all'atmosfera di “credito facile” che ha pervaso i mercati finanziari internazionali fino all'inizio del 2008. Servono alcuni aggiustamenti e la situazione attuale appare piena d'incertezza.
La dimensione psicologica richiede tanto azioni reali quanto azioni psicologiche. La fiducia va ricostruita su più livelli. Gl'investitori stranieri vogliono sapere se la crescita sarà sostenuta. I cittadini russi hanno bisogno di sapere se i loro risparmi sono garantiti e se i loro redditi saranno protetti. I dirigenti d'impresa devono sapere se il livello della domanda muterà, e come possono accedere ai crediti necessari per mantenere operativa la loro attività.
Come già spiegato a proposito della crisi di liquidità, è necessario un maggiore impegno governativo nell'economia, se non altro per ridurre l'incertezza a livello dirigenziale. Il programma economico, annunciato da Vladimir Putin lo scorso novembre e che guarda fino al 2020, è un passo nella giusta direzione, ma è chiaramente necessario qualcosa di più. Un programma d'investimenti pubblici, focalizzato sia sulla modernizzazione industriale (in particolare l'efficienza energetica) sia sulle infrastrutture, avrebbe l'effetto finale di concorrere a sostituire la domanda interna a quella esterna. Inoltre renderebbe più competitiva l'economia russa nel mondo. Ciò va realizzato nel quadro d'una politica industriale generale, dove le imprese di Stato e le banche avranno un ruolo fondamentale.
Tale programma sarà collegato ad un aumento delle spese sociali, necessarie a stabilizzare la domanda ed i consumi interni. È importante proteggere i segmenti più deboli della popolazione russa, come i pensionati o le donne sole con figli. I sussidi di disoccupazione, come recentemente annunciato dal primo ministro Putin, stanno per essere aumentati.
Entrambe le iniziative aiuteranno a stabilizzare le aspettative dei dirigenti e degl'investitori stranieri ed incoraggeranno gl'investimenti privati. Considerando l'ammontare delle riserve finanziarie della Russia, ciò è decisamente alla portata del governo.

La dimensione monetaria


È possibile che introdurre una qualche forma di controllo del capitale, prendendo di mira i movimenti più speculativi, possa risultare utile, e sarebbe saggio scollegare il commercio e la valuta nazionale dai mercati di scambio altamente instabili. Con un debito pubblico e privato degli USA che aumenta rapidamente settimana dopo settimana e che nell'anno fiscale 2009 supererà il 10% del PIL, il valore del dollaro statunitense sarà presto in dubbio. Il fatto che la FED stia acquistando massicce quantità di buoni del Tesoro per finanziare la lotta alla crisi economica è rivelatore d'una nuova tendenza.
Sommando tutte le richieste di fondi, sia pubbliche sia private, generate dalla crisi, l'indebitamento totale nell'economia statunitense raggiungerà, dal 30% del PIL nel 2008, il 35% tra gli anni fiscali 2009 e 2010. Ciò avverrà sullo sfondo d'un già massiccio indebitamento globale degli USA, che nel 2007 superava il 240% del PIL (di cui il 100% è posseduto dalle famiglie mentre il 65% è debito pubblico netto). Le valute stanno per cadere nel calderone della speculazione, per colpa della massiccia espansione del debito non solo nell'economia degli USA, ma pure in Europa e in Asia.
L'idea stessa di creare una zona commerciale e monetaria attorno alla Russia è assai sensata, avendo mostrato l'ultimo convegno del G20 che i tempi non sono maturi per una nuova Bretton Woods. Evidentemente, quest'idea non è sostenuta da Washington, e le cose non cambieranno con la nuova amministrazione.
Il governo russo sta approcciando una fase in cui dovrà prendere scelte significative che riguarderanno il rublo. Finora, ha adottato una politica di piena convertibilità, anche nel conto dei movimenti di capitale. Considerando l'importanza dei prezzi delle commodities per le esportazioni russe, questa non è stata la scelta più saggia. La rivalutazione della moneta nazionale, se da un lato aiuta a ridurre l'inflazione, di certo dall'altro rallenta il processo di diversificazione economica. Nella situazione attuale, può essere importante abbassare il tasso di cambio rispetto al dollaro statunitense ed all'euro. Tuttavia, è ancor più importante far sì che il rublo non si metta a fluttuare fuori controllo. Qualsiasi sarà la decisione presa riguardo al miglior tasso di cambio possibile, un ritorno alla convertibilità solo in conto delle partite correnti potrebbe contribuire a schermare l'economia russa dalla speculazione rivolta all'esterno e così rafforzare l'economia e pure la stabilità sociale.
Ad ogni mondo, a prescindere dalla solidità economica delle misure da prendersi, la dimensione più importante sarà probabilmente quella psicologica. Quando la tempesta sale, la ciurma ha bisogno di vedere il capitano vigile. Conta ancora di più che vederlo agire. La Russia necessita d'una politica economica più interventista ed aggressiva, non solo per ragioni “reali” ma pure per motivi psicologici.

(traduzione di Daniele Scalea)

Note del traduttore:
1. In inglese si definiscono commodities (dal francese commodité) tutti quei beni, in particolare materie prime, altamente omogenei, e perciò presenti sul mercato senza differenze qualitative a seconda del fornitore. In italiano non è ancora entrato in uso un termine equivalente, e generalmente è utilizzato quello inglese.
2. Acronimo inglese (“Moscow Interbank Currency Exchange”) della borsa valori Moskovskaja Mežbankovskaja Valjutnaja Birža.
3. Tipo di contratto a termine che prevede, alla scadenza, la cessione d'un certo quantitativo di commodities ad un prezzo stabilito.
4. La bolla speculativa riguardante il settore di Internet, sviluppatasi nella seconda metà degli anni '90 ed esplosa tra il 2000 ed il 2001.
5. Gli “hedge funds” (“fondi speculativi” in italiano) sono particolari fondi d'investimento, aperti a pochi, cui è consentito operare in una più vasta gamma d'attività e che godono dell'esenzione da numerose regole valide per i normali fondi.
6. Rispettivamente, “collateralized loan obligation” e “collateralized debt obligation”. Si tratta di titoli di debito garantiti da un portafoglio di attività costituito da prestiti bancari.
7. Mercato di scambio delle valute estere.

* Jacques Sapir è docente d'economia presso l'École de hautes études en sciences sociales di Parigi e direttore del Centre d'études des modes d'industrialisation (CEMI-EHESS). Tra il 1993 e il 2000 ha insegnato in Russia. Tra le sue opere, molte riguardano proprio la Russia, come Travail et travailleurs en URSS [1984], Les système militaire soviétique [1988], Les fluctuations économiques en URSS – 1941-1985 [1989], La mandchourie oubliée – Grandeur et démesure de l'art de la guerre soviétique [1996], Le krach russe [1998].