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Ideologia democratica

di Luciano Fuschini - 20/01/2009

    
Secondo la autoidealizzazione che il sistema parlamentare liberal-democratico fa di sè, esso sarebbe basato sulla competizione elettorale fra una pluralità di partiti e permetterebbe la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e un ricambio dei ceti dirigenti senza lo spargimento di sangue frequente in altri sistemi. Nella cornice di uno Stato non portatore di un’ideologia ma semplice garante della legalità.
Questa autorappresentazione è falsa, come tutte le ideologie che mascherano gli interessi dei gruppi dominanti. Lo Stato democratico e le sue prassi, prima fra tutte la competizione elettorale, non sono affatto neutrali ma rispecchiano una ben definita concezione della società come il terreno di confronto e di scontro di gruppi di interesse contrapposti, esprimentisi nei partiti; una società dinamica, in cui i ruoli vengono continuamente messi in discussione, una società aperta e competitiva. A questa concezione del mondo se ne può contrapporre un’altra, quella di una società organica, che coltiva le proprie tradizioni, che rispetta i ruoli, che considera come grandi valori la coesione e la solidarietà, non la competizione, valori di cui è portatore uno Stato etico che ripudia la finzione della neutralità. Un partito che esprimesse questa concezione alternativa dovrebbe essere escluso dalla competizione elettorale nei sistemi democratico-parlamentari, o, se ammesso, non dovrebbe comunque essergli consentito di prendere il potere, perché potrebbe imporre poi criteri di selezione delle élites diversi da quello elettorale pluripartitico.
I fatti dicono che le cose stanno effettivamente così. Quando i fondamentalisti islamici vinsero le elezioni in Algeria, le elezioni stesse vennero invalidate, con la conseguenza di una sanguinosissima guerra civile. Dopo la vittoria elettorale di Hamas, la striscia di Gaza è stata sottoposta ad assedio e affamata, dagli israeliani ma anche dagli egiziani timorosi del contagio del modello islamista, per spingere Hamas a sparare i suoi petardi e dare così il pretesto per eliminare i risultati sgraditi di quel voto ai bombardieri, agli incrociatori e ai carri armati già pronti da tempo. Quando il partito islamico di Erdogan ha vinto in Turchia, i militari si sono subito affrettati ad avvertire che non avrebbero tollerato riforme che andassero verso un organicismo islamista, pena un colpo di stato. Quando partiti filo-russi, sospettati anche di nostalgie comuniste, vincono le elezioni in Serbia o in un Paese dell’ex Unione Sovietica, gli osservatori internazionali spingono a grandi manifestazioni di piazza per invalidare elezioni dichiarate non democratiche, in concomitanza con le minacce da parte delle istituzioni finanziarie internazionali di tagliare i crediti e gli investimenti di capitale. Quando una nazione europea vota contro l’adesione  a una comunità di banchieri e di burocrati, le si fa ripetere il voto finché un elettorato stanco ed esasperato non si decide a dire sì.
La politica non è matematica, per cui può succedere che dei calcoli risultino sbagliati. Così ci si rassegna alla vittoria elettorale di un Chavez pensando di poterlo liquidare successivamente. Si tratta semplicemente di eccezioni che confermano la regola.
La regola è questa: possono vincere le elezioni soltanto partiti che si riconoscano in una certa concezione generale della società. Partiti realmente alternativi possono giungere al potere soltanto con un duro scontro, anche armato. Lo Stato neutrale e la competizione elettorale che garantisce a tutti i partiti di giungere al potere per via pacifica e legale sono soltanto ideologia come falsa coscienza. Ideologia che copre la realtà di uno Stato che mette il suo apparato repressivo e manipolatore delle menti al servizio degli interessi consolidati. Il buon vecchio Marx non sempre aveva torto.