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La crisi di Gaza: Intervista a Gilbert Achcar*

di Daniel Finn - 20/01/2009





Daniel Finn
: Quali pensa che siano, in questo momento, i principali obiettivi strategici di Israele nella sua offensiva contro la striscia di Gaza?

Gilbert Achcar
: Si tratta di una domanda difficile, perché sono coinvolti diversi piani. Da una visuale ampia, (l’offensiva) fa parte di una lotta in corso tra Israele da una parte e sia Hamas che Hezbollah dall’altra: una lotta che in precedenza aveva raggiunto un picco nel 2006, quando durante l’estate Israele aveva fatto contemporaneamente una guerra contro Gaza e un’altra, un attacco più imponente, contro il Libano. Tutto ciò era legato alla strategia globale dell’amministrazione Bush nell’ambito del suo braccio di ferro con l’Iran, con l’idea prevalente a Washington che Hamas ed Hezbollah siano strumenti dello Stato iraniano, e perciò parte di un’alleanza di forze che dovrebbe essere distrutta se si vuole garantire l’egemonia Usa nella regione così come la sicurezza di Israele. Si tratta perciò di un ulteriore passo nella stessa guerra in corso che si è andata sviluppando negli ultimi anni.

Ora, se restringiamo il focus, il fatto che questa offensiva sia stata lanciata proprio in questo momento, a partire dal 27 dicembre, è legato naturalmente a considerazioni politiche di più breve termine: da una parte, l’amministrazione Bush uscirà presto di scena e - sebbene il governo israeliano non abbia ragioni reali di temere un cambiamento importante nella politica Usa in Medio Oriente, se giudichiamo da tutti i segnali dati dalla squadra di Obama – resta la prospettiva che la nuova Amministrazione avvii colloqui con l’Iran, secondo le intenzioni espresse da Obama durante la campagna elettorale. In quel caso, il sostegno Usa per un atteggiamento duro nel braccio di ferro con l’Iran potrebbe indebolirsi. Tenendo in considerazione ciò, una delle ragioni per cui la campagna (militare) viene lanciata proprio adesso è l’intento di risparmiare alla prossima Amministrazione la necessità di far fronte fin dall’inizio a una grossa crisi in Medio Oriente, pertanto la squadra di Obama è stata sollevata dal fatto che questo avvenisse sotto Bush.

Il problema è che le operazioni sono andate avanti molto più a lungo del previsto, come avviene secondo un modello ricorrente nelle aggressioni di Israele: infatti, sono passati i tempi della “Guerra dei sei giorni”. Idealmente, per il governo israeliano (e qualche mese fa c’erano numerosi commenti a proposito di questa possibilità) ci sarebbe dovuto essere un attacco contro lo stesso Iran prima che l’amministrazione Bush uscisse di scena. Ciò, tuttavia, è divenuto impossibile per diverse ragioni legate ai profondi problemi in cui si trova l’amministrazione Bush: non solo la generale debolezza politica di un presidente esautorato, ma anche la crisi economica, che rende in questo momento qualunque tipo di braccio di ferro militare con l’Iran qualcosa che sarebbe certamente dannoso per gli interessi dell’economia globale [questa intervista è stata realizzata prima delle rivelazioni del New York Times sul rifiuto da parte dell’amministrazione Bush di una recente richiesta di via libera da parte di Israele per dei raid aerei contro gli impianti nucleari dell’Iran]. Invece dei raid contro l’Iran che desiderava, Israele sta attaccando Hamas, che vede come un agente dell’Iran.

E poi sono coinvolte anche prospettive più ravvicinate, che sono le valutazioni elettorali in Israele. Come sapete, a breve si terranno nuove elezioni israeliane, e i partiti rappresentati nella coalizione di governo – Kadima di Olmert e della Livni da una parte, e il partito Laburista di Ehud Barak dall’altra – stanno fronteggiando una forte concorrenza del Likud, l’ala di estrema destra della tradizionale scena sionista di Israele. Per un verso, questo attacco a Gaza è un modo di prevenire il rilancio su cui certamente Netanyahu avrebbe costruito la sua campagna elettorale. Dunque, se prendete in considerazione tutte queste questioni avrete una “overdetermination”, vale a dire un complesso di motivazioni perché questa operazione venisse lanciata proprio ora.  Tutto il resto, i razzi lanciati da Hamas, e via dicendo, sono solo pretesti, allo stesso modo in cui il rapimento di due soldati da parte di Hezbollah nel luglio 2006 non fu che un pretesto utilizzato da Israele per lanciare una massiccia aggressione premeditata.

Daniel Finn
:  L’ultimo scontro di rilievo tra Israele, Hamas ed Hezbollah nel 2006 si è concluso con una grossa battuta d’arresto per lo Stato israeliano, e con ogni tipo di recriminazione tra l’élite politica e quella militare. Pensa che adesso Israele abbia un’opportunità realistica di rovesciare quello smacco e parlare di vittoria, o farà i conti con un’altra sconfitta?

Gilbert Achcar
: E’ questo il motivo per cui la situazione, ora, è estremamente pericolosa e preoccupante. Pensateci: questo attacco è iniziato il 27 dicembre, e ciò vuol dire che siamo a circa due settimane di combattimenti e c’è già un bilancio di vittime più pesante in termini assoluti di quello che vi era stato in Libano dopo le prime due settimane di intensi bombardamenti. E se lo consideri in termini di cifre relative, sapendo che la popolazione libanese è pressoché tre volte quella di Gaza, allora è molto, molto di più. Quello che è molto preoccupante e pericoloso della situazione attuale è esattamente il fatto che, a causa del precedente fiasco in Libano nell’estate del 2006, Israele non può permettersi un altro fiasco dello stesso tipo. Non possono permettersene un altro, sia per motivi strategici che per motivi opportunistici o a breve termine, vale a dire calcoli politici di portata minore.

Da una parte, lo Stato israeliano rischia di perdere molta della sua cosiddetta credibilità militare se dovesse trovarsi a fronteggiare un nuovo fiasco, tanto più che il nemico che sta affrontando questa volta, vale a dire Hamas a Gaza, è certamente molto più debole di quello che Hezbollah è ed era in Libano. Hezbollah è certamente più forte nella comunità sciita libanese di quanto lo sia Hamas a Gaza, dove vi è una lotta più dura tra Hamas e l’ANP/Fatah, e ci sono altri gruppi a competere nello stesso contesto. Oltre a questo, naturalmente, per ragioni molto ovvie, Hezbollah aveva molte più armi di quante ne abbia Hamas a Gaza, che è una piccola striscia di terra circondata da ogni parte e sotto una pesante sorveglianza. A Gaza possono fare entrare in modo clandestino un po’ di armi leggere, non grosse armi, mentre in Libano Hezbollah ha potuto mettere in piedi un arsenale importante - tanto più facilmente in quanto è stato fatto con il sostegno della Siria

Perciò, se Israele ottiene un secondo fiasco anche contro Hamas, che è decisamente più debole di Hezbollah, allora ciò verrà necessariamente visto come un grosso disastro, peggiore per Israele di quello del 2006. Per non parlare, e questo è il secondo punto, delle considerazioni minori. Se la coalizione di governo in Israele esce da questa guerra con un altro fiasco, i suoi partiti non avranno neanche bisogno di andare alle elezioni. Netanyahu li farebbe a pezzi completamente, e questo loro lo sanno. Perciò non possono permettersi un fiasco per queste due ragioni messe assieme, e questo è quello che rende la situazione molto, molto preoccupante. Potrebbero sviluppare la sindrome della bestia ferita, che diventa più feroce di quanto già lo fosse. Il livello di atrocità di Israele sta crescendo di guerra in guerra. La Guerra dei 33 giorni nel 2006 è stata già l’aggressione più brutale della lunga storia delle guerre israeliane, il più brutale uso della forza da parte di Israele, con bombardamenti a tappeto su intere regioni del Libano, aree civili.

Il pretesto, allora come oggi, è che i combattenti si nascondono tra la popolazione. Questo è l’argomento più ipocrita: cosa vogliono che facciano, che si raggruppino in qualche area sperduta, con dei cartelli che dicono “Bombardateci qui”? E’ assurdo. La verità è che Israele sta tentando di distruggere dei partiti politici di massa, che sono armati, naturalmente, ma che devono essere armati perché sono permanentemente sotto minaccia. Si tratta di movimenti popolari armati. La maggior parte dei loro membri armati non sono combattenti professionisti, che vivono nelle caserme. Quando si prendono in considerazione tutti questi aspetti del problema, ci sono ragioni molto, molto serie per le crescenti preoccupazioni che vengono espresse dalle agenzie umanitarie internazionali.

In molti adesso hanno la sensazione che la popolazione di Gaza sia davvero sotto la minaccia di uno sterminio di massa. Non si tratta della solita esagerazione, si tratta di un’affermazione equilibrate quando si ha a che fare con un tale livello di violenza e di brutalità, giorno dopo giorno, con sempre più cosiddetti incidenti in cui ammassamenti di civili vengono presi di mira con il risultato di omicidi di massa. La sola alternativa a un fiasco per Israele è di andare avanti con la sua offensiva di terra nelle aree popolate. Lo scenario peggiore diventa perciò del tutto possibile, e ciò vorrebbe dire migliaia e migliaia di persone uccise, per non parlare dei mutilati e dei feriti, e ciò è assolutamente spaventoso.

Daniel Finn
: Se alla fine di quest’ultimo scontro Hamas finirà per essere visto come vincitore, anche parzialmente vincitore, cosa dovrà fare? Per Hamas è sufficiente sopravvivere? Deve semplicemente restare in vita?

Gilbert Achcar
: Se Hamas riesce a uscire in piedi da questa guerra, vale a dire. Date le condizioni geografiche, hanno già sofferto un tasso di vittime di certo più alto - in proporzione - nelle loro fila di quanto successe a Hezbollah nel 2006. Il giorno in cui hanno avuto inizio i bombardamenti israeliani, proprio il primo giorno, se ricordate, (Israele) ha preso di mira gli edifici delle forze di sicurezza di Hamas, e il bilancio dei morti è stato subito molto pesante. Ma se a livello di leadership e di base (Hamas) riesce a venirne fuori preservando più o meno sé stessa, senza fare alcuna grossa concessione o, diciamolo, nessuna grossa concessione che non sia ricambiata come, “Noi smettiamo di lanciare razzi, ma otteniamo la garanzia che tu, Israele, smetta di spararci addosso e ponga fine all’embargo che ci strozza” – se escono fuori da questa guerra con un accordo di questo tipo, ciò vorrebbe dire un fiasco israeliano, e per loro sarebbe vista come una vittoria politica allo stesso modo di quella che Hezbollah ottenne nel 2006.

Ma adesso, nel momento in cui stiamo parlando, ciò è puramente ipotetico, perché non possiamo prevedere in che modo le cose evolveranno. Quello che è chiaro in questo momento a livello regionale, se non a livello mondiale, è che questo attacco israeliano ha accresciuto in maniera enorme la popolarità di Hamas. Non possiamo dare per scontato, tuttavia, che lo stesso valga per i palestinesi di Gaza, proprio a causa di questa rivalità tra Hamas e Fatah. Su questo punto ci sono notizie contrastanti. Naturalmente, i sostenitori di Fatah diranno “‘Hamas ci ha messo in questa terribile situazione, a causa sua stiamo soffrendo; naturalmente Israele è il primo da accusare, ma…”, quello stesso “ma” che abbiamo sentito da alcuni regimi arabi. Questo è ciò che il governo egiziano, che ovviamente è molto compromesso con questo attacco israeliano, ha espresso sin dal primo momento, ed è quello che abbiamo sentito qua e là dagli alleati arabi degli Stati Uniti, la stessa retorica che avevamo ascoltato nel 2006, le stesse accuse che furono rivolte a Hezbollah per l’attacco di Israele al Libano. Resta da vedere il risultato politico finale per Hamas. Adesso, penso, è troppo presto per fare qualunque valutazione su quello che sarà nel lungo periodo o anche nel medio termine. Per adesso, come ho detto, la sola cosa certa è che Hamas ha a livello regionale una popolarità crescente, che è la conseguenza quasi automatica che si ottiene ogni singola volta che Israele sceglie un obiettivo arabo e inizia a colpirlo. L’obiettivo diventa automaticamente popolare a causa dell’odio per Israele e della sua aggressione permanente nella regione: qualunque vittima di Israele, e in particolar modo qualunque forza che resiste a Israele, è sicura di diventare popolare nella regione.

Daniel Finn
: Nell’ultima settimana si è parlato di un certo scontento all’interno della generazione più giovane di Fatah. Secondo alcune informazioni, Marwan Barghouti avrebbe mandato dei messaggi dalla sua cella per criticare le dichiarazioni fatte da Mahmoud Abbas. Pensa che sia probabile qualunque forma di indebolimento della attuale leadership di Fatah; pensa che ci sia qualche possibilità di un cambiamento di corso nella leadership di Fatah?

Gilbert Achcar
:  In un certo senso, Barghouti è una carta di riserva per Fatah.

*Gilbert Achcar ha vissuto in Libano per molti anni. Adesso è docente presso la Scuola di studi orientali e africani (SOAS) di Londra. E’ autore di diversi libri di analisi sulla politica e la società del Medio Oriente da una prospettiva di sinistra, fra i quali The Clash of Barbarisms, Eastern Cauldron, The 33-Day War, e Perilous Power (una raccolta di conversazioni tra Achcar e Noam Chomsky). Ha parlato con Daniel Finn per la Irish Left Review dell’attacco israeliano alla Striscia di Gaza e delle sue possibili conseguenze.

Intervista realizzata il 10 gennaio 2009.

(Traduzione di Carlo M. Miele)