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1300 morti: “raggiunto l’obiettivo”

di Ugo Gaudenzi - 20/01/2009

 

 
1300 morti: “raggiunto l’obiettivo”

Era la notte del 3 giugno del 1968.
Un giovane ingegnere belga, Roger Coudroy, cadeva dietro le linee degli occupanti sionisti in Palestina, alla testa di un commando di al Assifah, il braccio armato di al Fatah. Fu, quella, la prima azione armata dei fedayn palestinesi nelle terre appena occupate - a giugno, nella cosiddetta guerra dei sei giorni - da Moshe Dayan e dalle truppe di Tsahal. E fu lui, Roger, militante di “Giovane Europa”, l'emblematico primo martire della guerriglia contro gli israeliani.
Ma la notizia della sua morte fu censurata dalla “stampa libera” occidentale, prona alle direttive di disinformazione planetarie che dalla fine della seconda guerra mondiale a tutt'oggi regolano e gestiscono le informazioni amplificando quelle politicamente corrette e celando quelle scomode.
Rendere nota l'uccisione di Roger Coudroy, 33 anni, fino a qualche mese prima dipendente della filiale Peugeot nel Quwait, avrebbe introdotto, già quarant'anni fa, un elemento di squilibrio negli schemi entro cui la persuasione occulta e palese - da Jalta in poi - aveva sapientemente costretto il significato della lotta di liberazione nazionale palestinese.
La lotta per una Palestina libera, infatti, è stata subito dipinta come una ribellione di “straccioni”, di esseri razzialmente e culturalmente inferiori, di plebe che non accetta la “democrazia”, di “terroristi”.
Rimossi gli antefatti plurimillenari di un conflitto tra un popolo lì residente - i filistei, i falestin, i palestinesi - e un altro popolo - l'ebreo, gli israeliani - deciso a cacciare via quegli abitanti e ad insediarsi in una terra “promessa da Dio”, nessuno sottolinea come tale rapina sia stata decisa nel 1945 a Jalta da Stalin, Roosevelt e Churchill e applicata dalle Nazioni Unite con un vergognoso piano di spartizione. E non soltanto viene rimosso ogni riferimento alle stragi di arabi - dal massacro di tutti gli abitanti, 250, uomini, vecchi, donne e bambini, del villaggio di Deir Yassin nel 1948 da parte del poi-premiato-con-il-nobel-per-la-pace Menachem Begin, alle stragi di Sabra e Chatyla volute da Ariel Sharon, all'attuale mattanza di Gaza perpetrata da Olmert e dalla Livni - ma nessuno ricorda le oltre 70 risoluzione dell'Onu di condanna di Israele e che lo stato sionista si è rifiutato sempre di applicare. Come pure si rimuove il fatto che Hamas abbia ottenuto, nel 2006, una vittoria elettorale schiacciante o che da oltre sei mesi la striscia di Gaza sia diventata un campo di concentramento assediato dalle truppe sioniste e sottoposto ad embargo per ogni genere di prima necessità…
Al contrario. Secondo la disinformazione Israele è il Paese Democratico per eccellenza, mentre Hamas è un gruppo terroristico. Israele, il Buono, vigila, per conto del Grande Padre di Washington, sulla pace nel Vicino Oriente. I mille e passa morti di Gaza sono dunque soltanto un “effetto collaterale” della sua difesa dai razzi Qassam o Grad (che di pericoloso hanno soltanto il nome).
Quindi l'unica soluzione è che i palestinesi si affidino al signor Abu Mazen (un politico passato sul libro paga di Tel Aviv e il cui mandato di “presidente” palestinese è stato prolungato a divinis nonostante la sconfitta elettorale) e da questi ricevino l'elemosina di un mini-stato senza sovranità ampio più o meno come un cinquantesimo della Palestina intera.
Chiamano questo obiettivo con lo slogan-rapina: “due Popoli, due Stati”: una trappola nella quale cadono mani e piedi soprattutto quelli che, nostalgici delle ‘epopee’ marxiste, rimuovono la criminale complicità dell'Urss nella tragedia palestinese e tentano di strumentalizzare la “nakba” per riesumare i cadaveri dei loro partiti.
Ma una sacrosanta lotta di liberazione nazionale non può essere fermata da uno slogan.
Forse per questo a Tel Aviv hanno pensato di risolvere tutto con uno sterminio. Seguendo le orme dei governi della “Nuova Israele” che nel 1800 “risolse” la questione indiana estirpandola alla radice dagli Stati Uniti d'America.
Male che vada, Olmert e la Livni potranno sempre concorrere al prossimo Nobel per la Pace.