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Fiorello in the Sky e il destino del mercato televisivo

di Massimo Gramellini - 20/01/2009

 
 
Se le indiscrezioni di Dagospia verranno confermate e Fiorello lascerà la tv pubblica per diventare il volto di quella a pagamento, saremo entrati ufficialmente nella terza era della televisione. La seconda cominciò con l'ingaggio di Mike Bongiorno da parte di Berlusconi. Il fatto che il re del quiz nozionistico abbandonasse le cabine con le cuffie per andare a condurre giochini di pura fortuna infarciti di spot decretò l'avvento della tv commerciale e del suo messaggio rivoluzionario: offrire gratis alla gente i programmi facili che desiderava, rinunciando in nome dell'audience all'ambizione di elevarla culturalmente e di educarla a un minimo di buon gusto (anche a costo di ricorrere ogni tanto alla censura). Un'ambizione che era stata l'obiettivo della Rai di Bernabei durante la prima era, paternalista, della tv.

Con Fiorello a Sky lo scenario muta di nuovo. Lui è il simbolo indiscusso della tv nazionalpopolare, che riesce a essere simpatica senza diventare volgare. Ma se il nazionalpopolare va sul satellite come i documentari sugli orsi, significa che anche per l'ultimo brandello di qualità televisiva bisognerà pagare. In video e su carta ci aspetta un futuro così suddiviso. Da una parte il pianeta del gratuito, abitato da informazione scandalistica, reality guardoni e varietà rutto-dipendenti, per la delizia dei pochi inserzionisti pubblicitari sopravvissuti alla crisi. Dall'altra il cosmo a pagamento della comicità garbata, dell'informazione di qualità e delle partite di calcio. In mezzo, eterna discriminante, il denaro.