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Se i futuribili sono i futuri possibili, chi siamo noi per dire cosa è possibile e cosa no?

di Francesco Lamendola - 22/01/2009


Quanti sono i futuri possibili che si aprono davanti a noi?
Il teologo spagnolo Luis de Molina (1536-1600) tenta di conciliare il concetto dell'onnipotenza della volontà e della grazia divina con quello del libero arbitrio degli esseri umani, elaborando la teoria della "scienza media". Essa consiste nel fatto che Dio non solo conosce le possibilità delle cose (ossia la scienza naturale) e tutto ciò che egli stesso determina con la propria libertà ("scienza libera"), ma anche le libere decisioni che non saranno mai prese dagli uomini, ma che potrebbero essere prese se le condizioni fossero diverse.
Questa comprensione totale della scienza media consente a Dio di conoscere infinite possibilità di ordinamenti della grazia e di libere risposte umane; tra questo numero infinito di possibilità, Dio ne sceglie uno per ciascun essere umano, in perfetta libertà, e diffonde la sua grazia a seconda della libera risposta umana che egli prevede, senza tuttavia dipendere o farsi condizionare da essa (altrimenti Dio non sarebbe più libero).
Bernard de Jouvenel, interessante figura di intellettuale francese del Novecento, poliedrico e anticonformista, riprende dal molinismo il concetto dei futuribili e ne fa oggetto di riflessione in una serie di saggi di quella che egli definisce la "congettura ragionata", pubblicati, a partire dal 1961, sul «Bulletin SEDEIS».
La sua idea fondamentale è che esistono molti futuri possibili, dei quali non siamo in grado di dire nulla, ma solo un numero limitato di futuri immaginabili e plausibili, sulla base delle situazioni storiche le quali, di volta in volta, si presentano davanti all'uomo. E sono appunto questi, i cosiddetti futuribili, che egli fa oggetto di ricerca e di speculazione metodologica.
Per chiarire il concetto, de Jouvenel si serve di alcuni paragoni molto efficaci, in particolare quello del volo e quello del delta fluviale.
Nel primo caso, almeno due erano i futuri possibili per lo sviluppo dell'aviazione, nei primi decenni del Novecento: quello del più leggero dell'aria, ossia il dirigibile (che sembrava, a un certo punto, il favorito) e quello del più pesante dell'aria, ossia l'aeroplano. A sua volta, la linea di sviluppo dell'aeroplano poteva orientarsi sia verso il modello dotato di ali mobili, sia verso quello fornito di ali fisse.
Pertanto, è come se gli eventi del futuro procedessero secondo una linea che sfiora, di volta in volta, una serie di possibilità e di sotto-possibilità, ramificandosi come i bracci della foce a delta di un grande fiume.
Ora, si immagini una imbarcazione che discende il fiume. Il passato è il tratto già percorso; i futuribili sono le diverse opzioni che si presentano al comandante del battello, corrispondenti ai diversi rami della foce. Mano a mano che il battello avanza, lascia dietro a sé i rami fluviali non utilizzati, facendoli diventare passato e, quindi, eliminandoli dalla "rosa" delle possibilità esperibili; però, mano a mano che avanza, le possibilità non realizzate vengono sostituite, per così dire, da nuove possibilità, offerte dal presentarsi di altri rami fluviali, che si aprono a partire dal presente e che, dunque, costituiscono altrettanti futuri possibili.
Fuor di metafora, se il battello rappresenta la nostra la nostra volontà e il fiume la linea del tempo (e dei possibili), allora il nostro presente, che si sposta continuamente in avanti, diventando passato, è dato dal punto d'intersezione tra le possibilità che mai più si realizzeranno, e quelle che potrebbero ancora realizzarsi; ma queste ultime, inizialmente illimitate, si restringono quanto più la nostra vita procede verso il futuro.
Se il meccanismo fosse solo questo, allora dovremmo rappresentarci la vita umana come un processo di progressivo sfrondamento delle possibilità, da una situazione iniziale in cui esse sono teoricamente illimitate (non infinite, essendo finita la vita umana nel tempo e nello spazio), ad una finale in cui esse si restringono vieppiù, fino a consumarsi interamente e ad annullarsi nell'istante della morte.
In realtà, le cose sono più complicate perché, mano a mano che lo scorrere del tempo fa sì che rimangano indietro tutta una serie di futuri possibili, in quanto non realizzati, lo stesso movimento del tempo rinnova davanti a noi un complesso di nuove possibilità, determinate appunto dal fatto che il quadro di riferimento muta di continuo. È come se noi incontrassimo continuamente dei bivi lungo il nostro cammino e che, per ogni scelta fatta (in un senso o nell'altro), ci trovassimo davanti a dei bivi ulteriori, e così via, dovendo optare all'interno di un sistema di ramificazioni e sotto-ramificazioni che si rinnova continuamente.
Ma cediamo la parola allo stesso Juovenel, scrittore che possiede il dono - non frequentissimo tra i filosofi - di farsi leggere piacevolmente e di farsi capire senza inutili astrusità.

Scrive Bertrand de Jouvenel ne «L'arte della congettura» (titolo originale: «L'art del a conjecture, Futuribles», Monaco, Editions du Rocher, 1964; traduzione italiana di Franco Viciani, Firenze, Vallecchi Editore, 1967, pp. 33-35):

«Il termine "futuribili" è propriamente l'etichetta di un'impresa intellettuale. Ma è stato scelto per designare ciò che, a nostro avviso, è l'oggetto del pensiero orientato verso l'avvenire. Questo pensiero non può con certezza a cogliere i "futura", le cose che saranno: esso si limita a considerare i futuri possibili. È però necessario circoscrivere un po' la nozione di "possibile".
Esiste un gran numero di stati futuri, circa i quali non abbiamo alcuna ragione di dire che siano impossibili e che dunque, secondo il principio di contraddizione, devono essere definiti possibili. Ma rientrano nella classe dei futuribili solo quegli stati futuri le cui guise di realizzazione sono per noi immaginabili e plausibili dalla prospettiva dello stato presente. Così, per esempio, l'aviazione appariva un "possibile" già nell'antichità, ma ha assunto il carattere di futuribile solo una volta acquisiti certi fatti, a partire dai quali tale sviluppo è diventato concepibile. Questo esempio ha il merito di mostrare come, fin dal momento in cui fu dato intravedere la realizzabilità del volo, quest'ultimo potesse essere immaginato attraverso il duplice principio del "più leggero dell'aria" o "più pesante dell'aria" e, in questo secondo caso, con ali mobili o fisse: si presentavano dunque più futuribili e ciò è quanto avviene generalmente. Mi si lasci passare l'immagine: un futuribile è un discendente del presente che comporta una genealogia.
Il futuribile è un futuro che appare alla mente come un discendente possibile dello stato presente.  Serviamoci di una altra immagine: un battello ha disceso il Mississippi: questo è il passato ; poi affronta il delta: ecco il complesso di conseguenze future che la nostra mente può attualmente rappresentarsi: sono i futuribili attuali. Sia A il complesso di questi futuribili percepiti da me nell'istante "zero". Riprendo l'esame in un momento successivo e sia questo l'istante "uno". A questo punto io scorgo un complesso di altri futuribili attuali: chiamiamoli B. è chiaro che mancheranno nel complesso B certi futuribili che figuravano nel complesso A. Se l'esame dei futuribili in momenti successivi non implica che eliminazioni, è chiaro che si arriva per gradi a una certezza; ed è ciò che accade se ci si pone, per una data certa, una questione riguardante un oggetto di pensiero ben definito. Ciò viceversa non accadrà se la preoccupazione dell'avvenire è più vaga. In tal caso ogni presente successivo comporterà l'eliminazione di futuribili precedentemente concepiti, ma anche l'apparizione di futuribili nuovi. Da un punto di vista logico è necessario che sia così, altrimenti la successione dei tempi sarebbe da sola portatrice di certezza: il che, se vero per oggetti particolari, non può ragionevolmente esser ritenuto giusto in generale.  Se noi fossimo capaci in un qualunque momento di enunciare esaurientemente i futuribili, la successone dei tempi non potrebbe, per ipotesi, arricchire questo complesso, ma soltanto limitarlo ulteriormente; e dunque la supposizione di un'enumerazione esauriente, una volta realizzata, porta alla conseguenza insostenibile di una progressiva riduzione dell'incertezza in generale. Bisogna dunque concludere che in nessun momento possiamo, né potremo mai, enunciare esaurientemente i futuribili.
Di conseguenza i futuribili vanno concepiti come discendenti dello stato presente, che ci appaiono attualmente possibili. È opportuno assegnar loro una data d'origine. Vedremo più tardi che è importante dar loro una data di scadenza. Occorre d'altra parte sottolineare che la nostra mente non è affatto portata a concepire una grande diversità di futuri possibili, ma a dedicarsi piuttosto solo a quello che sembra logicamente il più probabile, o affettivamente il più desiderabile. Saremmo ben fortunati se il desiderabile ci apparisse anche probabile! Ma il più delle volte appare il contrario, ed è così che la mente auspica quelle deviazioni che tendano a riavvicinare il probabile al desiderabile. Ed è proprio questa la ragione per cui si studia l'avvenire.»

Ci siamo già ripetutamente occupati di questa tematica, ossia la pluralità dei futuri possibili, particolarmente nel saggio «La scelta» (consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice), per cui eviteremo qui di ripetere cose già dette con una certa ampiezza.
Alla teoria di Jouvenel, che sottende un atteggiamento di ottimismo gnoseologico forse di matrice illuministica, abbiamo invece una obiezione di fondo da fare. Questa: se esiste un gran numero di stati futuri, circa i quali non abbiamo alcuna ragione di dire che siano impossibili - e che dunque, secondo il principio di contraddizione - devono essere definiti possibili; e se i futuribili vanno concepiti come discendenti dello stato presente, che ci appaiono attualmente possibili; chi siamo noi per dire che una cosa ci appare possibile in un dato momento storico?
La nostra perplessità si articola su due ordini di ragionamento: storico e logico.
Storico. Di fatto, nei laboratori scientifici, si svolgono, al presente, tutta una serie di ricerche e di esperimenti - talvolta coperti dal segreto di Stato o dal segreto commerciale -, dei quali nulla sappiamo; poi, quasi di colpo, veniamo a sapere che la pecora Dolly è stata clonata, o che è stato realizzato un nuovo genere di frumento geneticamente modificato. Come si fa a dire cosa è possibile e  cosa non lo è, con una scienza che procede a grandi balzi (e non tutti positivi!), senza che noi ne sappiamo nulla, se non a cose fatte?
Si potrebbero fare molti altri esempi; comunque, non solo nell'ambito della scienza e della tecnica la nostra capacità previsionale è estremamente ridotta. La verità è che noi sappiamo pochissimo del presente, quasi nulla del passato: dunque, possediamo scarsissimi mezzi per dire cosa sia immaginabile nel futuro possibile, ossia nel futuro a breve scadenza.
Logico. Quello che noi riteniamo possibile, lo giudichiamo tale sulla base di un sistema di conoscenze, di leggi, di teorie, storicamente determinato; dunque, il nostro sapere è sempre relativo, mai assoluto. Ogni nuova scoperta potrebbe dar vita ad una nuova teoria e modificare radicalmente il nostro quadro di riferimento; certezze secolari possono crollare da un minuto all'altro.
Ma se il nostro sapere è sempre relativo e storicamente determinato, allora il concetto di ciò che è futuribile diventa estremamente aleatorio, evasivo, sfuggente. Non è un concetto rigorosamente razionale, ma una specie di scommessa sul futuro, e anche piuttosto ingenua: ricorda un po' quel bambino che pretendeva di travasare l'acqua del mare, con un secchiello, in una buca scavata nella sabbia.
Come se non bastasse, è un concetto presuntuosamente antropocentrico, perché sottintende che l'iniziativa delle cose future parta sempre dall'uomo: il che, evidentemente, è ridicolo, vista la posizione marginale dell'uomo nell'universo.
Platone, con il mito della distruzione di Atlantide, forse voleva farci capire proprio questo: che gli umani, pur dotati di una natura che partecipa all'essenza divina, sono però - sul piano fisico - talmente precari ed effimeri da sfiorare addirittura l'insignificanza. E Leopardi rincara la dose affermando, nel «Dialogo di un folletto e di uno gnomo», che, se anche l'intero genere umano scomparisse da un giorno all'altro, gran parte delle creature del nostro stesso pianeta a stento se ne accorgerebbe.
Quel che vogliamo dire è che la categoria del possibile, e sia pure del possibile in qualche modo plausibile, è quanto di più arbitrario e inaffidabile si possa immaginare.
Domani o fra cinque minuti, una flotta di astronavi aliene potrebbe posarsi qui, nel campo di fronte a casa nostra; esse, per quel che ne sappiamo, potrebbero anche aver viaggiato a una velocità superiore a quella luce, e i loro occupanti potrebbero anche non aver bisogno di acqua e di ossigeno, poiché i loro organismi potrebbero non essere costruiti a base di carbonio, ma, per esempio, di silicio.
Speculazioni gratuite  e sostanzialmente oziose? Certo: ma rimane il fatto che l'uomo è troppo piccola cosa per poter decidere cosa sia ragionevolmente possibile nel futuro e cosa non lo sia. È come se una formica, muovendosi in un campo di grano, pretendesse di speculare sulla natura di un intero continente; e sostenesse che, essendo umido di pioggia il campo in cui si trova, tutta l'Europa - ad esempio - sarà probabilmente un continente umido. Oppure è come se una farfalla, che vive un giorno, volesse speculare su che cosa accadrà fra mille anni.
La vecchia tentazione della superbia intellettuale, eredità dell'illuminismo e del positivismo - e, prima ancora, della cosiddetta rivoluzione scientifica del 1600 - è sempre lì in agguato, e ci porta a dimenticare che siamo soltanto delle formiche e delle farfalle nell'immensità di una creazione che ci trascende di tanto, di quanto la Mente infinita che lo ha originato trascende le nostre piccolissime menti finite.
Bisogna che ne siamo consapevoli e che lo teniamo sempre presente.
Come dice Shakespeare nel primo atto dell'«Amleto», ci sono molte più cose fra il cielo e la terra di quante ne possa immaginare tutta la filosofia di questo mondo.
Vorremmo aggiungere che ve ne sono altrettante, da non poterle mai conoscere tutte, perfino nelle profondità dell'animo umano.
Perciò, calma, signori filosofi: un po' di umiltà: quello che possiamo sapere, prevedere o immaginare, è sempre ridicolmente poco rispetto a ciò che è possibile in un universo, del quale non sappiamo neppure se sia finito o infinito.