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Ci vorrebbe una guerra

di Massimo Fini - 25/01/2009

   
Mi sembra che con queste storie del tempo (meteorologico, quello che passa è affare assai più serio, è anzi l’unico veramente serio) stiamo diventando paranoici. Abito a Milano da sessant’anni. A parte quella eccezionale del 1985 (ma allora caddero tre, diconsi tre, metri di neve, la città si paralizzò per tre giorni, con gli autobus vuoti in mezzo alla strada, e fu anche una cosa bella e istruttiva perché i milanesi, in una vera
emergenza, ritrovarono quel senso di solidarietà che, nel benessere, avevano perduto da tempo) di nevicate come quella di questi giorni (35 centimetri) ne ho viste parecchie, anche quando ero bambino, negli anni Cinquanta e non esisteva nessuna Protezione civile. Noi, imbacuccati per quel che si poteva, andavamo a scuola lo stesso, all’uscita giocavamo a palle di neve, ci divertivamo ed eravamo allegri. E anche i grandi giocavano a palle di neve, si divertivano ed erano allegri. Davanti ai portoni di casa ci si muniva del famoso «olio di gomito» e si aiutavano i portinai a spalare. Se qualche anziano scivolava, lo aiutavamo a rialzarsi. Non era una tragedia, stava nella logica delle cose e si può scivolare anche quando non c’è la neve.
Il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, ha dichiarato: «Il Paese ha tenuto bene». Eh, sembra che siamo stati investiti dallo tsunami o dall'alluvione del Polesine o dai tank israeliani. Invece sono stati solo 20 o 40 centimetri di neve, della vecchia, cara, onesta neve. Ma i giornali (non il nostro, una volta tanto) e le tv sono pieni di servizi allarmati e allarmanti che sono certamente più dannosi della neve. Ci si preoccupa anche degli stambecchi del Gran Paradiso che nella neve vivono da sempre, è il loro habitat.
Il fatto è che ci siamo troppo abituati, in tutto, a situazioni standard, a un’omologazione perenne e universale (è il motivo per cui i turisti italiani in qualsiasi posto vadano, anche in Uzbekistan, pretendono caffè espresso e spaghetti). E quindi non tolleriamo più qualsiasi situazione che sia appena un po’ fuori dalla norma. Se in estate fa caldo fa sempre troppo caldo, se fa un po’ meno caldo è un’estate fredda e, mio dio, chissà se arriveranno gli stranieri, i tedeschi, gli olandesi, e che ne sarà del nostro turismo, l’industria più importante del Paese? Perché poi c’è questa abitudine bottegaia di convertire tutto in soldi. Se non nevica è pregiudicata la stagione sciistica e ci sono i piagnistei degli albergatori di montagna, se nevica ci sono quelli degli albergatori e dei negozianti di città. Se non piove è subito siccità. Se piove è subito alluvione. Non si può essere sereni.
Pensiamo  di avere il diritto di regolare i fenomeni naturali come regoliamo i nostri condizionatori. Ancora negli anni Ottanta facevamo, d’estate, viaggi di 500 chilometri senza i climatizzatori in macchina. Oggi non saremmo più in grado si sopportarli. Sapete che vi dico? Avremmo bisogno di una bella guerra. Speriamo che qualcuno ce la dichiari.