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Gli asini che volano

di Eugenio Milonis - 28/01/2009


 

Eugenio Milonis, psicologo e psicoterapeuta, ci guida alla scoperta della nostra vocazione, di quel daimon che – come scrive James Hillman ne Il codice dell’anima – «ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino».

I modi di dire e i proverbi riguardanti l’asino sono numerosi. In particolare quelli in forma dialettale.
In ogni regione d’Italia troviamo proverbi simpaticissimi e divertenti pronunciati nelle diverse espressioni locali. Segno della saggezza e dello spirito critico popolare.
Quello che a me piace più di ogni altro è il detto: “l’asino vola”.
È un gioco che si faceva da ragazzi. Uno diceva “l’asino vola” indicando con il dito il cielo e se qualcuno si voltava veniva canzonato, era uno stupido, un credulone.
L’asino non vola, lo sanno tutti. Il cavallo sì, vola. È il mito di Pegaso. Il cavallo alato che solca i cieli, elegante, leggiadro, superbo. E per la verità il cavallo realmente vola quando è lanciato al galoppo. Vi è infatti un momento della corsa in cui tutti e quattro gli zoccoli sono staccati da terra e il cavallo vola.
L’asino no, non vola. Anzi è pesante e un po’ goffo nell’aspetto.
Anche l’uomo non vola, ma ha sempre desiderato farlo. Icaro per primo osò sfidare la gravità. Si costruì due grandi ali con piume tenute insieme con la cera. Tutti sappiamo come andò a finire.
Volare è desiderare di andare oltre, sfidare le leggi della natura. E l’uomo ha sempre desiderato staccarsi da terra e volare come fanno gli uccelli. Ha sempre desiderato superare i propri limiti. E le conquiste della scienza e della tecnica, nella storia dell’umanità, sono il frutto di questo bisogno dell’uomo. Leonardo da Vinci ne è un esempio e le sue macchine volanti una testimonianza.
Ma esiste anche un altro modo di intendere il termine “volare”. Volare con la fantasia, fantasticare, immaginare.
La nostra mente non ha limiti, con la fantasia possiamo tutto, anche volare. A volte possiamo immaginare di volare. E spesso nei sogni ci capita di volare.
Guai a chi non vola. La nostra salute mentale è legata alla capacità di compensare con l’immaginazione le frustrazioni e i limiti imposti dalla realtà esterna. Immaginate una persona rinchiusa in un carcere o una persona condannata a restare a lungo immobile a letto per una malattia, impazzirebbe rapidamente se non avesse la possibilità di viaggiare con la fantasia, se non potesse andare con l’immaginazione oltre le mura della cella o della propria stanza.
Voglio raccontarvi un sogno. Un giorno un giovane ingegnere, persona estremamente razionale che soffriva di una nevrosi ossessiva e che per questo aveva iniziato un percorso psicanalitico, raccontò al suo analista questo sogno: “Ero rinchiuso dentro una torre medievale senza porte né finestre, tentavo di uscire arrampicandomi sui muri, ma scivolavo giù”. Nella seduta successiva racconta lo stesso sogno e questa volta cerca di uscire scavando una galleria sotterranea, ma le fondamenta sono profonde e deve arrendersi.
L’analista gli fa notare che i suoi tentativi di uscire dalla torre (che rappresenta la sua nevrosi dalla quale non riesce a liberarsi) sono tutti di natura razionale e in questo caso destinate a fallire.
Il giovane ingegnere continua a portare in analisi sempre lo stesso sogno: “Provavo a scavare una breccia nel muro, ma senza successo”.
Un giorno si reca dal suo analista, racconta il solito sogno, ma questa volta per uscire dalla torre gli basta allargare le braccia e volare. Vola su in alto ed esce dal tetto. Era iniziato per lui un percorso di guarigione.
Per la prima volta aveva accolto dentro di sé la possibilità di considerare una dimensione irrazionale, creativa, di fantasia. Aveva integrato l’irrazionale con il razionale, la fantasia con la concretezza.
“Volare” significa rendere tutto possibile.

Volare è sognare
“Sognare il sogno impossibile”, come recita il don Chisciotte Della Mancia. Combattere contro il nemico invincibile. Tentare dove l’audace non osa. Raggiungere la stella irraggiungibile. Questo è lo scopo. Guai a quel giovane che non osa. Che non sogna. Che non combatte. Che non si prende la vita che desidera. Che non conosce la sua missione, che non conosce la sua vocazione, che non ha aspirazioni. Guai a quel giovane che non ascolta il suo “daimon”.
Depresso è colui che non vola, che non sa più desiderare. Depresso è colui che è diventato pesante, immobile, che non ha slanci, che non ha obiettivi da raggiungere.
“Bamboccioni” sono chiamati i trenta-trentacinquenni che rimangono a casa con i genitori e non sanno farsi una vita propria. “Bamboccioni” che hanno paura di autonomizzarsi e rimangono attaccati all’unico posto sicuro che conoscono. “Bamboccioni” è un termine che a me non piace. Suona come una condanna e una presa in giro nello stesso tempo. Ciò che serve è capire le ragioni di questo fenomeno in continua espansione che ha le sue radici contemporaneamente sul piano psicologico, sociale ed economico. Ciò che serve è trovare il modo di aiutare i giovani a spiccare il volo, non stigmatizzarli e ridicolizzarli.
La lotta per la conquista dell’autonomia è una lotta che ci accompagna per tutta la vita.
Il conflitto tra le forze che ci spingono a restare attaccati alla madre, alle sicurezze, al piacere di un utero caldo e protettivo che ci mette al riparo dal dover affrontare rischi e difficoltà e le forze che ci spingono a crescere, a realizzarci e a vivere il piacere dell’indipendenza, è un conflitto che non trova mai soluzione nella vita di un uomo, ma solo momenti di tregua o equilibri provvisori.
Questo conflitto, infatti, è una delle tematiche fondamentali delle fiabe classiche.
“Pollicino”, ad esempio, rappresenta la paura di crescere. Il nome stesso ci fa subito capire che è ancora piccolo. Quando si ritroverà solo nel bosco – che rappresenta le incognite della vita, le difficoltà da affrontare, l’indipendenza – l’unica cosa che sa fare è ricercare i sassolini con i quali aveva segnato la strada e tornare a casa, alla base sicura. Per la seconda volta i genitori lo conducono nel bosco e questa volta Pollicino segna il percorso con l’unica cosa che ha a disposizione: le molliche di pane. Gli uccelli del bosco mangiano tutte le molliche e Pollicino non può ritrovare la strada di casa. Non si può, infatti, tornare sempre indietro. C’è un giorno in cui ci ritroviamo “soli” a fare i conti con la nostra vita. Ed è nel preciso momento in cui per la prima volta ci rendiamo conto che a questo mondo siamo “soli” – soli di fronte ai nostri problemi e alle nostre scelte, soli di fronte la sofferenza e la morte – che cominciamo a diventare adulti.
Stessa tematica ritroviamo nella bellissima fiaba di Hansel e Gretel.
Anche loro si ritrovano soli nel bosco e vengono attratti dalla “Casa di marzapane” tutta fatta di crema e cioccolata, di panna e zucchero filato, di cialde e pandispagna. È una immagine poderosa e irresistibile. Ma la “Casa di marzapane” altro non è che un utero che ci contiene e ci nutre.
E ogni volta che regrediamo e ricerchiamo un utero troviamo anche la “Strega”, ovvero le spinte alla dipendenza che ci imprigionano e ci impediscono di crescere. Ma la fiaba avrà un lieto fine, perchè nel pentolone a bollire finirà la strega.

Volare è libertà
È la leggerezza dell’essere. Quante persone veramente libere conosciamo?! Libere nel modo di pensare. Libere nei comportamenti. Libere nelle scelte.
La nostra cultura è dominata dal conformismo. Vestiamo tutti allo stesso modo. Mangiamo gli stessi cibi. Coltiviamo le stesse idee e usiamo le stesse frasi fatte.
È sempre più difficile trovare qualcosa di originale, di autentico, di nuovo nelle persone. Qualcuno che dica qualcosa di nuovo, che esprima personalità e creatività.
Dominante è la massificazione, l’irreggimentazione, l’appiattimento dei comportamenti e delle idee.
Cerchiamo sicurezza nell’appartenenza alle cose condivise da tutti. Abbiamo timore di affermare le nostre idee se si discostano dal pensiero comune.
Lo psicologo Solomon Asch ha condotto una ricerca sul conformismo. Ha preso dieci persone. Nove erano d’accordo con lui e l’ultima era il soggetto della sperimentazione. Ha messo tutti davanti ad una immagine dove erano rappresentati dei bastoncini tutti uguali tranne uno un poco più corto. I primi nove interrogati hanno affermato con decisione che tutti i bastoncini erano uguali. L’ultimo si è trovato di fronte il dilemma se affermare di vedere un bastoncino un poco più corto degli altri o conformarsi a quello che dicevano tutti. La maggior parte delle persone ha scelto di aderire passivamente all’opinione comune.

Volare è l’eros
Ma l’Eros è morto. In questa nostra epoca l’Eros è morto. Siamo allagati dal sesso e deprivati di Eros.
La rivoluzione culturale del ’68 ha liberalizzato la sessualità, ha contribuito a superare tabù e inibizioni, blocchi e remore, pregiudizi e false teorie legate al sesso. Ma non è avvenuta la stessa cosa per i sentimenti. Oggi i giovani sono liberi sessualmente, ma hanno paura dei sentimenti.
Per quanto riguarda il sesso siamo passati dalla fame alla nausea.
Le relazioni sono sempre più veloci e superficiali. “Relazioni mordi e fuggi”. Relazioni di “uso” dell’altro. Relazioni “consumistiche”.
Vanno di moda le così dette “amicizie erotiche”, che non sono altro che rapporti disimpegnati. Relazioni
senza coinvolgimento né passione. “Ginnastiche erotiche” che mettono al riparo da rischi e responsabilità.
La nostra è una società a “basso tenore emotivo”. Al contrario Eros è passione, amore, affettività, calore, sentimento. Si dice che chi è innamorato cammina a mezzo metro da terra. Eros è Volare.
Volare è “sognare il sogno impossibile”, è la “leggerezza dell’essere”, è “passione”.
Vedere un asino volare significa vedere ciò che gli altri non possono o non sanno vedere.