Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Kosovo: dietro il silenzio dei media

Kosovo: dietro il silenzio dei media

di Georges Berghezan* - 03/02/2009

 



Con numerosi mesi di ritardo, la missione europea EULEX ha iniziato, il 9 dicembre, il suo dispiegamento nel Kosovo. Paradossalmente, questo dispiegamento fa seguito ad un'importante vittoria diplomatica della Serbia poiché, contrariamente ai suoi scopi iniziali, EULEX non avrà per mandato d’inquadrare un Kosovo indipendente, ma continuerà a basarsi su principi che garantiscono l'integrità territoriale della Serbia.
In occasione della proclamazione d'indipendenza del Kosovo, il 17 febbraio, le diplomazie occidentali che, da anni, avevano incoraggiato la secessione di questa provincia della Serbia, pensavano di potere rapidamente sostituire con una missione dell'Unione europea, EULEX, la missione dell'ONU, la MINUK, imposta dalla fine dei bombardamenti della NATO contro la Serbia nel giugno 1999, ed autorizzata dalla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, che predicava anche l'integrità territoriale serba. Tuttavia, è subito sembrato che l'accordo del Consiglio di sicurezza fosse indispensabile per autorizzare un cambiamento di natura del MINUK ed un trasferimento di competenze a profitto di EULEX, tanto più che molti membri dell'UE, che non hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, erano ancora meno propensi ad imbarcarsi in una missione “pirata” in quest'angolo dei balcani. Si tornava anche a dire che un modus vivendi con Belgrado doveva essere trovato, poiché la Russia - disponendo del diritto di veto al Consiglio di sicurezza - aveva spesso comunicato che approverà ogni soluzione che fosse stato approvato, in anticipo, da parte della Serbia.

Un intenso processo diplomatico triangolare - New York, Bruxelles, Belgrado - si è allora avviato, concludendosi finalmente con “un accordo in sei punti”, secondo il quale EULEX opererà in Kosovo sotto mandato dell'ONU, la cui neutralità rispetto allo statuto del territorio è ribadita.
Missione soprattutto “civile” dell'UE, sebbene diretta dal generale francese, è competente negli affari di giustizia, polizia e dogane. Parallelamente, una MINUK “alterata” proseguirà l’attività in Kosovo, creando “un ufficio degli affari politici”, che tratta in particolare delle questioni relative “alle minoranze”. La MINUK sarà anche responsabile della polizia nelle zone serbe, i cui agenti non dovranno dunque rispondere né alle autorità di Pristina, né ad EULEX.

“Il piano in sei punti” è stato integrato in una relazione del segretario generale dell'ONU ed adottato all’unanimità il 26 novembre dal Consiglio di sicurezza. EULEX non ha atteso due settimane per dispiegare i due terzi degli effettivi che dovrebbero presto raggiungere i 1.900 “internazionali”, in pratica, un anno dopo la sua creazione da parte del Consiglio europeo. Ma, contrariamente al piano del suo progettista “ultimo”, il diplomatico finlandese Ahtisaari, la missione europea non avrà per mandato d’inquadrare un governo “indipendente”, ma garantire “la legge e l'ordine” in questo territorio conteso.

La sicurezza, in particolare alle frontiere, continuerà a dipendere dal mandato del KFOR - 16.000 uomini sotto comando NATO -, che inquadra anche, con grande a dispiacere di Belgrado, la creazione di un mini-esercito kosovaro di 2.500 uomini.

Sfiducia serba, delusione albanese
Anche se il condizionamento di EULEX al quadro “neutrale” dell'ONU è stato definito una importante vittoria dal governo pro-occidentale di Belgrado, che accoglie soprattutto il partito democratico del Presidente Tadic e i Socialisti, a lungo diretti da Milosevic, l'accordo con l'UE, la cui netta maggioranza di stati ha riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, è stato denunciato come un'ammissione implicita di questa indipendenza dall'opposizione nazionalistica. Questa è nettamente maggioritaria fra i serbi del Kosovo, che hanno deciso di assumere un atteggiamento di boicottaggio non violento verso EULEX e continuare a rivolgersi alla MINUK, la cui presenza nelle zone franche dovrebbe del resto essere mantenuta ad un livello sostanziale. Al contrario, le forze di EULEX nelle zone serbe dovrebbero essere simboliche, almeno all’inizio della missione.

Quanto alle autorità di Pristina, dopo un'accoglienza entusiasta di EULEX, che veniva ad applicare il piano d'indipendenza di Ahtisaari, hanno denunciato con forza la relazione di Ban Ki-moon, ed in particolare l'accordo concluso con Belgrado, che violerebbe la costituzione e la sovranità kosovare. Dopo l'adozione della relazione, le critiche sono state fatte più discretamente, il primo ministro Thaci che si accontenta di dire che la MINUK non aveva più nulla da fare in Kosovo e che “i sei punti”, che erano stati appena ratificati a New York, “erano morti” e “inesistenti”.

Una manifestazione anti-“EULEX” ha tuttavia raccolto molte migliaia di persone, su invito delle ONG nazionaliste albano-kosovare, tra cui ‘Autodeterminazione’, che aveva condotto una lunga campagna contro il piano Ahtisaari, a causa del carattere “sorvegliato” dell'indipendenza che promuoveva. Questo sentimento anti-EULEX, in procinto di svilupparsi fra gli Albanesi del Kosovo, rafforzato dall'ammissione dell'ONU e dell'UE che la Serbia ha ancora un ruolo decisivo negli affari del territorio, è certamente all'origine dell'attacco dinamitardo che ha riguardato, il 14 novembre, l'ufficio del rappresentante dell'UE a Pristina. Se non ha fatto vittime ed è stato rivendicato soltanto due settimane dopo da un ‘Esercito della Repubblica del Kosovo’, ignota al registro dei molti gruppi paramilitari ancora attivi nella regione, l'attentato ha soprattutto dato luogo all'arresto rocambolesco di tre maldestri agenti del BND (Bundesnachrichtendienst), i principali servizi segreti tedeschi, da parte della polizia kosovara. Dopo che era stato ordinato la loro detenzione di 30 giorni, infine, al termine di una buona settimana “di cattivi trattamenti”, sono stati liberati, non senza che Berlino minacciasse di tagliare i finanziamenti a un Kosovo più che mai in apnea, e la cui Germania è il principale contribuente dopo gli Stati Uniti.
Secondo alcune fonti, Hashim Thaci, ex capo dell'esercito di liberazione del Kosovo (UCK) riconvertito a primo ministro, si sarebbe infuriato nell’apprendere che le note di questi agenti indicavano che era indagato per i suoi legami personali con il crimine organizzato, e che era stato già descritto come “un elemento chiave” della mafia albano-kosovara da una relazione dello stesso BND, rivelata nel 2005. In ogni caso, sono passati, oggi, molti anni da quando Berlino ha preso le distanze dalle emanazioni politiche dell’UCK, mentre, nel decennio scorso, aveva contribuito ampiamente nel formare ed armare i kosovari indipendentisti.

Il Miracolato De L'Aia
Il rivale di Thaci nell'ambito dell’UCK, e quindi nell’arena politica, Ramush Haradinaj potrebbe beneficiare del discredito crescente che colpisce la coalizione governativa che ha proclamato l'indipendenza del Kosovo, ma risulta incapace di essere un attore internazionale credibile, in un contesto di ristagno economico persistente. Liberato in aprile dal tribunale de L'Aia dalle accuse d'omicidio, stupro, tortura e deportazione di civili serbi, rom ed albanesi, Haradinaj è stato accolto come un eroe a Pristina e nel suo collegio elettorale del sud-ovest del Kosovo.
In occasione del verdetto, il tribunale aveva riconosciuto “un problema d'intimidazione di testimoni”, un'espressione abbastanza pudica per evocare le morti improvvise di nove testimoni e le minacce esercitate nei confronti di decine di altri. Uno di questi testimoni “intimiditi” ha avuto il coraggio, non soltanto di testimoniare, ma anche di protestare contro quelli che erano andati da lui per esigere che rinunciasse a presentarsi a L'Aia. Di conseguenza, il tribunale ha condannato, il 17 dicembre, due responsabili del partito di Haradinaj, fra cui il ministro per gli affari culturali del governo precedente, al carcere duro “per avere interferito nell'amministrazione della giustizia”. Haradinaj invece, rimane libero, almeno in attesa della procedura d'appello. Haradinaj sarebbe anche implicato nel traffico di organi di cui sono state vittime, tra il 1999 ed il 2001, dei prigionieri serbi, come pure certamente delle prostitute assai maltrattate per potere continuare il loro “servizio” in Kosovo. Dopo le rivelazioni di Carla Del Ponte, nel libro (ancora nessuna traduzione in francese o in inglese) che pubblicò nel marzo 2008 dopo avere lasciato il suo posto di procuratore del tribunale de L'Aia, un'indagine della giustizia serba ha sostenuto considerevolmente il dossier. Inoltre, il parlamentare svizzero Dick Marty, che aveva permesso le famose rivelazioni “sui voli segreti della CIA”, è stato incaricato dal Consiglio d'Europa di condurre la sua indagine. Tenterà prossimamente di superare il rifiuto dell'Albania di cooperare all'indagine, poiché un grande parte dei fatti, in particolare l'estrazione degli organi, l’assassinio e la sepoltura di circa 300 prigionieri serbi, si è svolta in territorio albanese. Il dossier ha anche guadagnato in credibilità, in seguito alla scoperta, a Pristina, di una clinica illegale che pratica trapianti di organi, su base volontaria e commerciale questa volta.

Fra le persone fermate appare un medico kosovaro che era stato citato da un testimone nel caso dei traffici di organi di prigionieri serbi. Nonostante la discrezione estrema dei mass media su tutti questi sviluppi, il Kosovo è più che mai un focolaio d'instabilità ed un perno del crimine organizzato europeo. Il suo statuto dubbio lo condanna a restare interamente dipendente da suoi sponsor occidentali e continua a nutrire aspirazioni secessioniste ben oltre i Balcani.
Quanto alla Serbia, il suo atteggiamento conciliante verso l'occidente sembra iniziare a pagare. Rimane da vedere se il governo attuale riuscirà a realizzare le sue due priorità annunciate: conservare il Kosovo ed aderire all'UE.

La Corte internazionale di giustizia
Dopo esser stata ostracizzata sul piano diplomatico (la Jugoslavia fu il solo Stato escluso dall'ONU), la Serbia ha conosciuto un primo successo importante l'8 ottobre, quando l'Assemblea Generale dell'ONU ha adottato, con una grande maggioranza (77 a 6), una risoluzione che chiede alla Corte internazionale di giustizia (CIG) di deliberare sulla legalità della dichiarazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo. Mentre la maggioranza dei membri dell'UE si asteneva, i soli ad opporsi sono stati gli Stati Uniti, l'Albania, Nauru, Palau, le Isole Marshall e la Micronesia. Così, la più alta Corte internazionale studierà ed esprimerà un parere, non vincolante, sull'indipendenza del Kosovo.
Alcuni paesi che l’hanno riconosciuto (Norvegia, Costa Rica…) hanno comunicato che, in caso di parere negativo del CIG, potrebbero rivedere la loro posizione. Tutto sommato, il numero di stati che riconoscono il Kosovo ha superato la cinquantina, mentre due vicini della Serbia, la Macedonia e Montenegro, che cedono a pressioni intense, tanto interne (minoranza albanese) che esterne (UE e USA), hanno annunciato il loro riconoscimento il giorno dopo l'adozione della risoluzione da parte dell’Assemblea Generale dell'ONU. Tuttavia il Kosovo è riconosciuto principalmente soltanto da membri dell'UE o della NATO o da micro-stati, invece i pesi massimi dell'Africa, dell'America Latina e dell'Asia (tranne il Giappone) hanno chiaramente espresso la loro opposizione a tale possibilità.

*Alerte OTAN
http://www.csotan.org/ no 32 dicembre 2008


Traduzione di Alessandro Lattanzio