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L’Egitto ovvero il sintomo dell’elefantiasi diplomatica

di René Naba - 10/02/2009

 




La squadra della NATO inviata a rinforzo dell’Egitto per lottare contro il traffico d’armi al largo di Gaza, ’come il tardivo attivismo diplomatico svolto dal Cairo con l’ospitare le trattative inter-palestinesi e la conferenza dei paesi donatori per la ricostruzione dell’enclave palestinese distrutta da Israele, non modificheranno per nulla la crudezza della constatazione: Misr Um ad Dunia, l’Egitto, Madre del Mondo, l’Egitto, la cui storia si è a lungo confusa con l’epopea, non è più che l’ombra di se stesso, un paese che ha interiorizzato la sua sconfitta, votato al poco glorioso ruolo di subappaltatore della diplomazia americana sul piano regionale, di factotum degli imperativi di sicurezza di Israele, il ventre molle del Mondo arabo, il suo grande corpo malato.


Situato al centro geografico del Mondo arabo, all’articolazione tra la sua riva asiatica e quella africana, esso raccoglie la più grande concentrazione industriale in una zona che va dal sud del Mediterraneo ai confini dell’India, controllando inoltre in maniera esclusiva i due principali assi di comunicazione del Mondo arabo, il Nilo verso il continente africano, il Canale di Suez verso il Golfo petrolifero, l’Egitto è stato a lungo la punta di diamante della lotta nazionalista araba. Punto di convergenza della diplomazia araba, ha assunto senza posa il ruolo del grande fratello protettore, regolatore delle sue turbolenze, patrocinatore delle sue sistemazioni come nel caso dell’accordo libano-palestinese del Cairo del 3 novembre 1969, che mise fine alla prima guerra civile libano-palestinese, o dell’accordo giordano-palestinese del 27 settembre 1970, sull’ondata del Settembre Nero giordano.

Ma l’artefice della prima nazionalizzazione vittoriosa del terzo mondo, quella del Canale di Suez nel 1956, che suonò la campana a morto per la presenza coloniale franco-britannica in terra araba, la base di retrovia dei principali movimenti di Liberazione del Mondo arabo, dall’Algeria allo Yemen del Sud, il distruttore della linea Bar Lev nel 1973, che esorcizzò il complesso d’inferiorità militare arabo nei confronti di Israele, sembra come colpito da elefantiasi diplomatica, a giudicare dal suo comportamento vergognosamente tentennante durante i due ultimi confronti israelo-arabi: la guerra di distruzioni israeliana del Libano, nel giugno 2006, e la guerra di distruzione israeliana di Gaza, due anni dopo, nel dicembre 2008.

Anche nel campo privilegiato della sua supremazia che aveva catturato l’immaginario e l’adesione delle folle per mezzo secolo, quello culturale, la sua superiorità sembra battuta.

Primo esportatore di videocassette, di film e di telefilm nel Mondo arabo, l’Egitto disponeva di un magistero culturale senza eguali, che si articolava su tre pilastri: il carisma del suo capo, Nasser, la sua prestigiosa serie di stelle di grande talento, Um Kalsum e Abdel Wahab, i suoi grandi scrittori, Taha Hussein, Naguib Mahfouz ed il poeta contestatore Sheikh Imam, Tahia Karioka e Nadia Gamal, sul piano dell’industria dell’intrattenimento e dello spettacolo ed infine, sul piano della comunicazione, il duo formato dal giornale Al-Ahram, il più importante quotidiano arabo, e Radio il Cairo, la decana delle stazioni arabe. Settimo diffusore internazionale per l’importanza della sua programmazione radiofonica settimanale, Radio il Cairo trasmette in 32 lingue coprendo un largo spettro linguistico (Afar, Bambara, pashtun, albanese). Costituiva un potente vettore di promozione delle vedute egiziane fino ai confini del quarto mondo. Ma il suo primato culturale patisce ormai la rinascita di Beyruth, traumatico punto di fissazione di Israele, capitale culturale d’opposizione del Mondo arabo, e la folgorante penetrazione delle catene arabe al di là delle frontiere, in particolare di Al-Jazira, ormai non spodestabile data la sua professionalità.

Anche il suo primato diplomatico è rimesso in questione dall’emergere di due potenze regionali musulmane non arabe, l’Iran e la Turchia, in sostituzione della défaillance diplomatica araba, principalmente dell’Egitto e, soprattutto, dell’Arabia Saudita, muta nelle tre settimane della distruzione israeliana di Gaza. Allo stesso modo, il suo primato militare è relegato nel dimenticatoio dal cambio ribelle dei vittoriosi artigiani della nuova guerra asimmetrica contro Israele, lo sciita Hezbollah libanese e il sunnita Hamas palestinese, che rendono obsoleta la falsa disputa tra i due rami dell’Islam alla quale l’Arabia Saudita e l’Egitto tentano di dare impulso nello spazio arabo.

Il più grande e popoloso paese del mondo arabo con 80 milioni di abitanti è sull’orlo dell’implosione sociale con il 34 % degli Egiziani che vivono al di sotto della soglia di povertà, con meno di due dollari al giorno. Dopo la virata filo-americana del 1978 del presidente Anuar el Sadat ed il suo trattato di pace con Israele di trent’anni fa, l’Egitto ha funzionato in modo binario, con una ripartizione dei compiti tra il potere politico gestito dalla burocrazia militare, mentre la gestione culturale della sfera civile era affidata allo zelo dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, il cui proselitismo si è materializzato con il ripristino del crimine di apostasia. Sotto la minaccia islamista, l’Egitto naviga così tra corruzione, regressione economica e repressione, con 1,3 milioni di poliziotti impiegati dal ministero dell’interno e parecchie migliaia di prigionieri politici.

La passività egiziana nei confronti del bagno di sangue israeliano a Gaza, la sua letargia diplomatica a fronte dell’attivismo dei paesi latino-americani, il Venezuela e la Bolivia che hanno espulso l’ambasciatore israeliano a Caracas e a La Paz, ha suscitato una levata di scudi dei Fratelli Musulmani portando la confraternita a cessare ogni opposizione alla Siriaa, facendo cadere la sua collaborazione con l’ex vicepresidente siriano Abdel Halim Khaddam, il transfuga baathista rifugiato a Parigi. In un inverosimile rovesciamento di alleanza che attesta lo strabismo strategico dell’Egitto, è la Siria, il suo vecchio partner arabo nella guerra d’indipendenza, e non Israele, che costituisce ormai la sua bestia nera.

É Gaza, sull’orlo dell’apoplessia, ad essere ora sotto blocco e non Israele, rifornito d’energia a prezzi vantaggiosi sfidando ogni concorrenza, senza dubbio per galvanizzare la macchina da guerra israeliana contro un paese sotto occupazione e in fleboclisi, la Palestina.

Indice del suo servilismo nei confronti degli Stati Uniti, la minima iniziativa dell’Egitto è tributaria del contrassegno americano, sia nel campo della tecnologia nucleare ottenuta nel 2005 dopo che l’Iran si è impegnato nella corsa atomica e al fine di farvi da contrappeso, sia nel campo diplomatico. L’ultima iniziativa franco-egiziana su Gaza non sfugge alla regola. , Più che a mettere fine al bagno di sangue israeliano, essa risponde alla preoccupazione di Hosni Mubarak e Nicolas Sarkozy di salvare dal naufragio alla sua prima prova l’Unione per il Mediterraneo di cui essi assumono la co-presidenza.

È vero che l’Egitto beneficia di una rendita strategica materializzata da un aiuto americano di tre miliardi di dollari l’anno ma, a numerosi osservatori, quest’obolo appare come i denari di Giuda non potendo compensare, agli occhi dell’opinione pubblica del terzo mondo, la base della forza diplomatica egiziana, gli effetti devastanti di questo linfatismo tanto sul piano del prestigio internazionale dell’Egitto, quanto sul piano della sicurezza dello spazio nazionale arabo.

L’Egitto è colpito dal sintomo dell’elefantiasi, ad immagine del suo vecchio Presidente (80 anni), un personaggio dalla carnagione cerea, un personaggio di cera, in via di mummificazione con trent’anni di potere autocratico schizofrenico, ultra-repressivo sul piano interno, letargico sul piano internazionale, aggrappato alla sua sedia in attesa di una successione filiale.

Nel 1956, Nasser aveva nazionalizzato il Canale di Suez e resistito all’aggressione tripartita franco-anglo-israeliana. Battuto nel 1967, aveva pure scatenato una «guerra di logoramento » di 18 mesi lungo il fronte di Suez, per dimostrare il suo rifiuto di rassegnarsi e capitolare, prima di mettere fine alla guerra civile giordano-palestinese, alla vigilia della sua morte nel settembre 1970.

Sadat aveva recuperato il Sinai, ma emarginato il suo paese con la firma di un solitario trattato di pace con Israele. Mubarak, la vacca che ride secondo il soprannome che gli è rimasto appiccicato dall’inizio del suo regno a sottolineare il suo cinismo da finto tonto, passerà alla storia per essere stato il dirigente egiziano senza nessun risultato importante al suo attivo, a parte reintegrare il suo paese in seno alla Lega araba per trarne una rendita di posizione, con l’effetto di garantire ogni intervento militare americano contro i paesi arabi, questo nel 1990 con la prima guerra del Golfo contro l’Iraq o, ancora, tredici anni dopo, con l’invasione americana dell’Iraq nel 2003.

Il cessate il fuoco unilaterale israeliano nella striscia di Gaza concluso in seguito ad un arrangiamento tra due governi moribondi, il revanscista israeliano Ehud Olmert mal ristabilitosi dalla sconfitta del 2006 contro il libanese Hezbollah ed il burattino americano George Bush, è risuonato come uno sferzante affronto tanto per il nuovo presidente americano Barack Obama quanto per il mediatore egiziano Hosni Mubarak e per il suo alter ego francese Nicolas Sarkozy, l’agitato e inoperante co-presidente dell’Unione per il Mediterraneo.

L’aggiramento dell’Egitto da parte dei suoi due partner del Trattato di Pace di Camp David in accomodamenti di sicurezza riguardanti l’enclave palestinese che gli è confinante ha messo crudamente in luce il ruolo di servo – e non di partner – degli Stati arabi in seno alla diplomazia occidentale, conducendo l’Egitto e l’Arabia Saudita a palesare un’unità di facciata con i loro contestatori, principalmente con la Siria, al vertice economico di Kuwait del 19 gennaio, alla vigilia del giuramento del presidente Obama.

Dunque, non inganniamoci: aver ospitato la conferenza dei paesi donatori per la ricostruzione di Gaza, come la squadra della NATO inviata a rinforzo dell’Egitto per lottare contro il traffico d’armi al larga dell’enclave palestinese sono principalmente destinati a riportare a galla il presidente Hosni Mubarak, in pieno naufragio diplomatico come il suo screditato compare palestinese Mahmud Abbas. Inoltre, essi mirano a mantenere un ruolo europeo anche in Medio Oriente nella nuova configurazione diplomatica dell’era Obama.

L’avvenimento del primo presidente afro-americano della storia mette in disparte Nicolas Sarkozy tanto più inesorabilmente in quanto l’ultimo capofila europeo del neoconservatorismo americano, il perno europeo dell’asse israelo-americano, screditato da una chiassosa ostentazione e dai successivi sgarbati rifiuti di Israele, è afflitto da un eccesso di collaboratori screditati per la loro flessibilità morale con un capo della diplomazia sotto somministrazione finanziaria da un satrapo africano (1) e dalla compagna di questo ex umanitari sta, lo zimbello universale dell’opinione pubblica per il suo frenetico maneggiare il mitra nello sradicare il pluralismo politico all’interno del dispositivo audiovisivo estero francese (2).

Il Faraone dell’Egitto è nudo, spogliato dai suoi nuovi alleati: il Primus inter pares (3) degli Arabi è ormai il «passa-piatti» ufficiale della diplomazia israelo-americana. Triste destino per Il Cairo, Al-Kahira, la vittoriosa nel suo significato arabo, abbassato ormai al rango di capofila dell’« asse della moderazione araba». L’ex capofila della lotta indipendentista araba, amorfo ed atono, assume ormai senza vergogna il ruolo di capofila dell’asse della sottomissione e della corruzione….l’asse della rassegnazione e della capitolazione …l’asse del tradimento degli ideali del sobbalzo nasseriano.

Note

1- cf. a questo proposito il sito «Bakchich» Bernard Kouchner, ministre des factures étrangères (15 gennaio 2009) -
http://www.bakchich.info/article6462.html
In cui il sito attesta un versamento di 817.000 euro del presidente gabonese Omar Bongo ad una società di consulenza in rapporti d’affari con il ministro degli Esteri francese, a titolo di retribuzione di una consulenza sul sistema sanitario gabonese, ed un articolo dello stesso sito, tre giorni dopo, Bernard Kouchner et Christine Ockrent sont devenus fous, mais personne ne les soigne pas», bakchich (18 gennaio 2009), nonché Kouchner: du sac de riz au sac de blé» in Le Canard enchaîné di mercoledì 21 gennaio 2009 in cui il giornale satirico riferisce come il ministro degli Esteri francese «sia passato in pochi anni da Medici senza frontiere a Medici senza scrupoli», come il libro di Pierre Péan Le monde selon K » uscito il 4 febbraio 2009 dallle Editions Fayard.

2- Dalla sua entrata in carica alla direzione dell’audiovisione estera nel 2007, Christine Ockrent ha proceduto, con pretesti fasulli, al licenziamento di giornalisti stimati per la loro conoscenza del Mondo arabo, in particolare del giornalista e scrittore Richard Labèvière, grande specialista della zona ed autore di un’intervista al presidente siriano Bashar al-Assad, nonché di Wahib Abu Wassel, rapprésentante sindacale e unico giornalista palestinese dell’audiovisione estera francese.

3- Primus inter pares : il primo tra I suoi pari.


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René Naba : Ex responsabile del mondo arabo-musulmano al servizio diplomatico dell’Agenzia France Presse, ex consigliere del Direttore Generale di RMC/Medio Oriente, incaricato dell’informazione è autore in particolare dei seguenti lavori : —« Liban: chroniques d’un pays en sursis » (Éditions du Cygne); « Aux origines de la tragédie arabe"- Editions Bachari 2006.; "Du bougnoule au sauvageon, voyage dans l’imaginaire français"- Harmattan 2002. « Rafic Hariri, un homme d’affaires, premier ministre » (Harmattan 2000); « Guerre des ondes, guerre de religion, la bataille hertzienne dans le ciel méditerranéen » (Harmattan 1998).


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© Copyright René Naba, Le blog de René Naba, Le 5 fevrier 2009
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