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Madagascar: il nuovo colonialismo è delle multinazionali

di Miriam Giudici - 11/02/2009

Deforestazione, morte, distruzione. E' questo ciò che Sherritt International e Daewoo stanno cercando di importare in Madagascar, un paese che ospita una biodiversità straordinaria. I vantaggi? Ovviamente sono tutti per le multinazionali. A perderci le popolazioni più povere e l'intero pianeta.


 

lemure
L'animale simbolo del Madagascar, il lemure
Il Madagascar è uno degli Stati più poveri del mondo: 20 milioni di abitanti con un reddito pro-capite di 392 dollari l'anno (dati del 2007), con tre malgasci su quattro che vivono in aree rurali e praticano un'agricoltura di sussistenza. Emergenze continue sono rappresentate dall'instabilità politica e da crisi climatiche: nel 2008 due cicloni hanno devastato il Paese rendendo necessari ulteriori aiuti umanitari e opere di ricostruzione.

 

Ma il Madagascar è anche un incredibile paradiso della biodiversità: il 5% delle specie animali e vegetali del mondo si trova su questa grande isola dell'Oceano Indiano. L'80% di queste si trova solo ed esclusivamente in Madagascar: specie rarissime di orchidee e baobab, e poi camaleonti, tartarughe e gechi, fino all'animale-simbolo del Paese, il lemure.

Vastissime aree di foresta a cui però qualcuno guarda come a una risorsa da sfruttare senza pietà: per ricavarne terreno coltivabile e per impiantarvi miniere di ilmenite e nichel. E non sono i malgasci ad avere queste mire: ma società multinazionali straniere, a cui fa gioco operare in una nazione economicamente in ginocchio, pronta a svendersi in cambio di un barlume di sviluppo economico e della creazione di nuovi posti di lavoro.

Povertà estrema, risorse naturali non ancora sfruttate, multinazionali avide, biodiversità: trovare l'intruso in questo mix altamente pericoloso. Prevedibilmente, saranno i lemuri a fare le valigie.

 

deforetazione
La deforestazione è una delle minacce alla biodiversità che contraddistinguono il Madagascar
La svendita di cui parliamo ha proporzioni impressionanti. Due sono gli attori principali: Sherritt International Corporation e Daewoo Logistic.

 

La prima è una compagnia mineraria canadese che ha avviato un progetto chiamato Ambatovy: prevede lo sradicamento di 1700 ettari di foresta per la costruzione di una delle più grandi miniere di cobalto e nichel del pianeta, attiva dal 2013 per 27 anni. La Sherritt ha promesso il trasloco delle specie a rischio e la creazione di aree protette, ma l'impatto dei lavori non è stato valutato da alcuno studio indipendente, ed è da considerarsi assolutamente imprevedibile.

La Daewoo Logistic è un colosso coreano che vuole dare il via ad un'operazione ancora più grande: prendere in concessione la metà delle terre coltivabili del Madagascar (una superficie equivalente alla metà del Belgio) per coltivare mais e palma da olio per biocarburanti. A beneficio non degli abitanti del Madagascar, ma unicamente dei consumatori coreani, che per questi beni dipendono ora in larghissima parte dall'importazione. Come se la Corea creasse una colonia in Madagascar, da usare come serbatoio per i biocarburanti delle auto coreane e per le tavole del paese asiatico, in cambio della creazione di posti di lavoro. Fortunatamente, un vasto movimento dell'opinione pubblica in Madagascar è riuscito ad imporre al governo una marcia indietro sul pericoloso accordo con Daewoo. Per il momento.

 

ambatovy
La Sherritt International Corporation, compagnia canadese, ha avviato un progetto chiamato Ambatov che prevede lo sradicamento di 1700 ettari di foresta
Perché sempre più forti soffiano, un po' ovunque, i venti di questo neocolonialismo: una tendenza che non riguarda solo il Madagascar, ma anche tanti altre nazioni povere pronte a svendere territori e risorse ai colossi industriali di Paesi con scarse risorse agricole, ma con maggiore potere economico. E così, produttori sauditi di olio commestibile cercano di installarsi in Sudan, Egitto e Ucraina; il Kuwait affitta terre per produrre e importare riso dalla Cambogia; il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti hanno forti mire in Kenya.

 

Sperare in questi casi in contratti equi, rispettosi dell'ambiente e delle comunità locali, si è rivelato inutile: troppa è la sproporzione fra le due parti, con Paesi poveri costretti ad accettare di dare via a poco prezzo vasti territori, in cambio di un'illusione di sviluppo economico – i cui benefici però vanno quasi unicamente ai Paesi concessionari delle terre. La sempre crescente dipendenza dalle importazioni delle nazioni più deboli apre la strada ad accordi-capestro, dalla totale mancanza di trasparenza. E i casi in cui l'opinione pubblica vince sui governi e sui consigli di amministrazione, come nel caso della Daewoo in Madagascar, sono purtroppo una minoranza.