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Frugalità e responsabilità, in una parola serenità

di Valerio Pignatta - 12/02/2009

Negli ultimi mesi Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore, hanno dato timidi segni di risveglio, cominciando a pubblicare qualche articolo che critica il paradigma della crescita infinita. E' l'inizio della fine di un'epoca? L'umanità (intesa come uno stato dell'essere) può ancora salvarsi?


 

Epicuro
Secondo Epicuro: solo il circondarsi di beni immortali allontana l'uomo dalla sua mortalità
Di tanto in tanto è ormai possibile leggere anche sui media “tradizionali” articoli che rinviano a concetti e argomentazioni affini a quelli trattati nel cosiddetto paradigma della decrescita.

 

È una sorta di risveglio lento e sbadigliante da un torpore che ha invaso l'animo umano a partire, direi, dal boom economico degli anni Sessanta in poi, quando l'indigestione di merci che ne è conseguita ha assopito in uno stato di sonnolenza postprandiale la nostra coscienza, deviando il senso dell'esistenza e riducendo il significato di quest'ultima al mero ingrassare dei nostri corpi, delle nostre ambizioni e dei nostri possessi.

Negli ultimi mesi, pur tra le dovute preoccupazioni per l'avvenire di questo sistema vacillante che travolge ogni esistenza che incontra sul suo cammino, qualche voce più o meno autorevole, ma sicuramente rappresentativa, ha iniziato su quotidiani come Repubblica, Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore a rimuginare qualche fortunato pensiero “pulito”, qualche immagine d'altri tempi, qualche dubbio sul senso ultimo delle cose, qualche nostalgico sguardo all'indietro sul nostro passato culturale ed etico oggi devastato.

Come tutti gli storici ben sanno, l'illusione di un progresso socio-economico uniforme e illimitato è una vera chimera mai esistita. Qualsiasi manuale di storia è lì a dimostrarci l'esatto contrario di questo delirio che la tecnoscienza e l'economia del XX secolo hanno instillato nelle menti dei cittadini dei paesi occidentali (e del mondo intero ormai).

Eppure politici, banchieri, intellettuali, industriali, e altre eminenti figure di spicco delle nostre società, si sono prodigati per decenni a sostenere il contrario, ignorando questa semplice e notoria verità: il percorso storico segue vie sinuose, ritorna su strade già battute e poi avanza per vicoli sconosciuti che talvolta sbucano nella piazza che si è appena lasciata. Non c'è nulla di illimitatamente lineare e infinito. Tantomeno le risorse naturali, come finalmente molti hanno iniziato a comprendere.

Abbiamo consumato. Abbiamo consumato ogni cosa. Senza necessità. E non c'è più un oggetto che è in grado di avere il nostro rispetto e la nostra comprensione per quello che realmente è, nella sua semplice manifestazione di esistenza. La possibilità di ricambio costante di oggetti “inanimati” prodotti in serie anonimamente e a basso costo (se chiudiamo gli occhi sui costi umani e planetari) ha permesso la levitazione arrogante dell'ego e la fine del rispetto dell'unicità delle cose. Col rispetto se ne sono andate anche originarie virtù come la sobrietà, la frugalità, la parsimonia... e la vera cultura.

Come alcuni osservatori economici hanno rilevato, una parte dell'attuale crisi finanziaria è possibile addebitarla proprio a questa corsa al consumo di molte persone, ad uno stile di vita condotto oltre le proprie possibilità economiche, alla lotta invidiosa tra membri della stessa comunità per lo sfoggio di possessi di elevato status simbolico. Sappiamo che tanti riuscitissimi spot pubblicitari hanno spinto proprio su questi sentimenti umani riprovevoli per l'affermazione di una qualche nuova merce di consumo o servizio.

E non ci si può allora stupire se la depressione sta divenendo un'emergenza di dimensioni planetarie che riguarda indistintamente tutte le fasce di età. La conoscenza di questi meccanismi è infatti antica quanto l'uomo: il possedere oggetti non coincide necessariamente con il vivere in uno stato di felicità o perlomeno di serenità. Anzi. Come affermava già l'antico filosofo greco Epicuro, solo il circondarsi di beni immortali allontana l'uomo dalla sua mortalità.

È ora che questi semplici principi filosofici di grande importanza per il benessere dell'umanità abbiano la priorità e siano considerati nel prendere decisioni istituzionali sia di tipo economico che politico. Altrimenti il cosiddetto Homo sapiens sapiens dimostrerà anche di sapere molto, ma non sarà nemmeno in grado di uguagliare la felicità con cui vive una colonia di scimpanzé su questa terra.