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Darfur, l’eroica lotta di un popolo che resiste alla tirannia

di Fabrizio Legger - 12/02/2009

Nel paese africano i ribelli proseguono la loro lotta contro il regime islamista

Nel Darfur, vasta regione del Sudan occidentale confinante col Ciad, prosegue la lotta dei ribelli che non vogliono sottostare alla tirannia del regime islamista di Khartoum. Sebbene la grande stampa non ne parli più, l’eroica lotta delle etnie Zaghawa, Four e Massali, prosegue violenta e sanguinosa, perché l’intento della dittatura sudanese resta quello di annientare i movimenti armati espressione di queste etnie, vale a dire l’Esercito di Liberazione del Sudan (SLA) e il Movimento per la Giustizia e l’Eguaglianza (JEM), che sono in aperto conflitto con il potere centrale sin dal febbraio del 2003,
Dal 2003 al 2007, nel Darfur, è avvenuta una ecatombe immane: circa 200.000 morti, in gran parte civili, periti sotto i bombardamenti dell’aviazione sudanese o massacrati dai banditi janjaweed (letteralmente “diavoli a cavallo”), al soldo del regime sudanese. La carestia e le epidemie hanno contribuito a incrementare l’assurdo massacro. Ma perché questa ennesima guerra africana? Innanzitutto occorre dire che non si tratta né di una guerra di religione (i ribelli del Darfur sono musulmani, esattamente come i soldati dell’esercito sudanese) né di una guerra etnica (le etnie del Darfur sono miste, con elementi arabi e africani mescolati insieme), ma bensì di una guerra economica. Il Darfur è  una regione povera e i darfurini si sono stufati di dover fornire soldati all’esercito sudanese, levando braccia all’agricoltura e all’allevamento, senza ottenere una redistribuzione delle risorse dal governo centrale. In pratica, gli abitanti del darfur vogliono beneficiare anch’essi dei proventi derivanti dai grandi giacimenti di petrolio del Sud Sudan e vogliono che il governo centrale faccia del Darfur una regione moderna, dove vi siano strade, ponti, acquedotti, infrastrutture, insomma, tutto ciò che serve per una vita dignitosa. Alle richieste dei darfurini, il regime di Khartoum, retto dal dittatore militare Omar el Bashir, ha sempre risposto o con l’indifferenza o con la repressione armata. Il petrolio sudanese arricchisce solo le tasche della cricca islamista al potere a Khartoum (la Cina acquista ben il 65% della produzione petrolifera sudanese, versando nelle casse del regime di el Bashir fiumi di dollari), mentre la popolazione del Darfur resta nell’indigenza  e nell’arretratezza.
Ecco perché gli elementi più oltranzisti delle etnie Darfur, nel 2003, hanno deciso di dare vita a gruppi armati per cercare di ottenere, con la lotta, i diritti che la dittatura militare sudanese continua loro a negare. A tale ribellione , il regime di el Bashir ha risposto con una violenza inaudita, scatenando contro i darfurini sia le truppe dell’esercito governativo, sia le bande dei janjaweed (predoni arabi al servizio del regime), le quali hanno commesso stupri, eccidi, torture, razzie e altre atrocità indicibili a danno delle popolazioni civili del Darfur. Nonostante i colloqui di pace e le trattative che si sono svolte nel 2006 e nel 2007, la situazione nella regione resta esplosiva. Le milizie del regime tentano di annientare i gruppi guerriglieri e per riuscire in ciò, perseguono la popolazione civile, accusata di appoggiarli. Inoltre, la situazione si è complicata anche con i paesi vicini. Il presidente del Ciad, Idriss Deby, all’inizio del conflitto, appoggiava il regime sudanese, in quanto i ribelli darfurini erano in stretti rapporti con quelli che operano nel Sud del Ciad. Tale appoggio ha aumentato la recrudescenza della guerriglia ciadiana, inducendo el Bashir a sostenere a sua volta i ribelli del Ciad in funzione anti-Deby. Si è così giunti ad una rottura tra Sudan e Ciad e a scontri di confine tra gli eserciti dei due paesi. La pece, nel Darfur, resta dunque un miraggio lontano, ma una cosa è certa: i ribelli delle etnie Zaghawa, Four e Massali, che hanno dato vita alla guerriglia, hanno lottano per ottenere diritti e riconoscimenti che vengono loro negati da una dittatura tanto brutale quanto disumana. Di fronte al despotismo di el Bashir, i darfurini non hanno potuto fare altro che impugnare le armi. Ma il regime di Khartoum ha dei buoni alleati nella Cina e nella Russia, e non intende affatto condividere con i darfurini i proventi delle risorse petrolifere del Sud Sudan. Perciò, nonostante colloqui e trattative, il futuro del Darfur ha una sola, drammatica e angosciante certezza: la guerra continua!