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Neo protezionismo

di Riccardo Torsoli - 15/02/2009

Come in tutte le depressioni economiche mondiali che si rispettino siamo arrivati agli inevitabili provvedimenti protezionistici dei governi nazionali, conseguenza ineludibile causata dalle continue e pesanti perdite di posti di lavoro nei settori manifatturieri nazionali, che si configurano come la pietra tombale della tanto strombazzata globalizzazione economica da parte delle ormai anacronistiche e screditate istituzioni sopravvissute alla estinta Bretton Woods, come il Fondo Monetario Internazionale.

Negli Stati Uniti al congresso si sta valutando il pacchetto di aiuti partorito dalla nuova amministrazione obamiana che include la cosiddetta misura protezionistica nota come “Buy American”, che se fosse varata obbligherebbe le aziende beneficiarie dei fondi in oggetto della manovra ad acquistare ferro e acciaio prodotto solo all’interno dei confini nazionali e ad utilizzare per la costruzione delle opere infrastrutturali  solo prodotti “made in U.S.A.”.

L’ America non è l’ unico paese ad erigere barricate protezionistiche per difendere il proprio tessuto industriale, anche in Europa la Francia ha stanziato ingenti fondi per il sostegno all’industria automobilistica a patto che siano utilizzati, per bocca del ministro del Tesoro transalpino Lagarde, solo da aziende dell’indotto francesi, il Regno Unito con la protesta dei lavoratori inglesi contro la scelta della Total di utilizzare manodopera estera invece che nazionale che hanno inscenato forti manifestazioni al grido di “British workers for British jobs”, motto precedentemente utilizzato addirittura dal primo ministro Gordon Brown e rispedito ironicamente al mittente nell’occasione dai lavoratori inferociti.

paul-krugman_fondo-magazineChiaramente questa presa di posizione da parte dei maggiori paesi industrializzati del mondo ha causato una levata di scudi internazionale, con minacce di ritorsioni commerciali e ricorsi legali all’organizzazione per il commercio mondiale sia da parte di paesi direttamente interessati ai provvedimenti che da multinazionali intimorite da possibili ritorsioni, ma in mezzo a tutta questa gazzarra si è levata netta e autorevole la voce del premio Nobel Paul Krugman [nella foto in alto]che ha definito le misure protezionistiche cariche di effetti economicamente positivi. Krugman ha sottolineato che i pacchetti di stimolo all’economia essendo sostenuti dai singoli Stati gravando sul debito pubblico e quindi a carico dei contribuenti nazionali, dovrebbero favorire l’industria nazionale, inoltre se tutti i paesi adottassero simili misure di stimolo fiscale interne, anche se ciò portasse a delle distorsioni nei commerci internazionali avrebbe come conseguenza positiva la drastica riduzione della disoccupazione ed una rinnovata crescita economica.

In aggiunta il neo keynesiano Krugman ha anche accusato la politica tedesca di rifiutarsi di giocare un ruolo importante e decisivo nella politica economica di stimolo fiscale europea ed ha dimostrato, in termini matematici, che una coordinata politica espansiva europea contro la recessione consentirebbe una maggiore incidenza positiva sulla crescita economica rispetto alle politiche espansive dei singoli Stati.

Forse, questi rilievi sono arrivati anche all’orecchio della Cancelliera tedesca Angela Merkel che in un rinnovato spirito franco-renano ha stretto un patto con il Presidente Sarkozy per una nuova politica di coesione europea che abbia come obiettivi principali da perseguire la completa indipendenza militare ed energetica europea , una forte rimodulazione dei rapporti con gli Stati Uniti e uno stretto partenariato con la Federazione Russa. Ambrosia e nettare le parole della Cancelliera, non c’è che dire, e soprattutto una forte presa di coscienza europea, con la speranza che tali propositi siano ribaditi con forza e determinazione anche al vice Presidente Americano Joe Biden in visita a Monaco per la 45° conferenza internazionale sulla politica estera e di sicurezza.

Dalla rassegnazione che il XXI secolo fosse il secolo americano siamo passati in pochi anni ad una visione multipolare degli assetti geopolitici mondiali, al capolinea della globalizzazione e alla resa delle politiche mondialiste e delle continue politiche di deregolamentazione finanziarie. Oggi una rinnovata e auspicabile politica comune europea e non solo una mera e sterile politica monetaria  è non solo necessaria ma addirittura fondamentale per le sorti globali, con il superamento del trattato di Lisbona e la formazione di un gabinetto politico europeo di regia permanente, a guida franco tedesca, che  possa traghettare velocemente il vecchio continente a dotarsi di un assetto istituzionale funzionale alle nuove sfide che lo attendono nel prossimo futuro, per non essere più solo un espressione geografica ed un mero suddito delle politiche a stelle e strisce.

Anche l’Italia potrà dare il proprio fondamentale contributo grazie a personalità di spicco come il Ministro del Tesoro, il socialista Giulio Tremonti che è stato tra i primi a decodificare i nuovi scenari e tra i primi ad indicare le strade per uscire dalla condizione di precarietà e di stallo in cui versiamo oggigiorno. Finalmente si sta muovendo qualcosa nella giusta e sperata direzione.

 

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