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L’altra metà del Futurismo

di Daria Galateria - 15/02/2009


 

Cento anni fa il Manifesto del Futurismo glorificava "il disprezzo della donna" Eppure, come ora documenta un libro di Giancarlo Carpi, molto della pittura, scultura, danza, letteratura, cinema di quel movimento d´avanguardia fu dovuto alla creatività femminile
Si rifiutavano la femme fatale del decadentismo, l´amore-guinzaglio e la famiglia
"Disarmonica, sgarbata, sintetica, antigraziosa". Così fu definita la danza di Giannina Censi
La marcia beffarda con le suffragette per le vie di Londra dei giovani Boccioni e Marinetti

«Glorificare», intima il Manifesto del Futurismo del 1909, «il disprezzo della donna». «Noi disprezziamo la donna», ribadiva nel 1910 Marinetti, «concepita come ninnolo tragico». A scherno, Arturo Martini aveva intitolato Méprisez la femme una sua litografia, nel 1912. A Torino, nel 1909, Poupés électriques - bambole elettriche - col titolo italiano La donna è mobile metteva in scena fantocci elettromeccanici sostitutivi della donna. Naturalmente, si rifiutava la femme fatale del decadentismo, il «guinzaglio immenso» dell´Amore, la famiglia, «soffocatoio delle energie vitali», il debilitante sentimentalismo femminile («La donna che avevo io, pretendeva di monopolizzare il mio sesso, il quale è collezionista», si protesta con enfasi, sempre nel 1910, nella tragedia satirica Le Roi Bombance, il Re Baldoria).
Noi vogliamo combattere contro il femminismo, proclamava pure quel primo Manifesto; però nel 1910 si valutavano le ricadute positive del movimento: «Se l´entrata aggressiva delle donne nei parlamenti� finirà per distruggere il principio della famiglia, cercheremo di farne a meno». E del resto, in una spedizione a Londra nel marzo 1912 Marinetti e Boccioni si ritroveranno a sfilare «sottobraccio alle pochissime suffragette carine» - un corteo era passato sotto l´Hotel Savoy e i due futuristi erano scesi a unirsi alle donne in marcia - ma si erano infrante alcune vetrine, e la polizia a cavallo era intervenuta verso Trafalgar Square; tra cariche e manganellate, aveva anche sparato in aria; i due italiani erano fuggiti infilando un portone, ma le suffragette avevano poi applaudito le conferenze in francese di Marinetti - evidentemente, senza capirne una parola. L´«inferiorità assoluta della donna» (manifesto Contro l´amore e il parlamentarismo) è radicata nell´educazione; «se la donna sogna oggidì di conquistare i diritti politici, è perché, senza saperlo, essa è intimamente convinta di essere, come madre, come sposa e come amante, un cerchio ristretto, puramente animale» (la donna è naturale, dunque abominevole, aveva già scritto, per dandysmo, il poeta Charles Baudelaire, mezzo secolo prima).
A Marinetti rispose nel 1912, con il Manifesto della donna futurista, una parigina di Lione, Valentine de Saint-Point. Bella e inquieta, Anne Valentine Desglans de Cessiat Vercell era pronipote di Lamartine, e aveva preso come pseudonimo il paesino della Loira dove riposava il prozio poeta; Marinetti aveva ospitato i suoi versi già nel 1906 nella rivista Poesia. Intanto Valentine aveva tentato il romanzo (L´incesto) e la pittura, posando nuda per i suoi maestri Alphonse Mucha e Auguste Rodin. Nel 1912 aveva trentasette anni; a Parigi, sempre insieme a Ricciotto Canudo, l´intellettuale detto "le barisien" perché pugliese, era nota per i suoi immensi cappelli. Con Marinetti, furono tre anni di amore «infuocato e intervallato» (diceva il pittore Severini: «Marinetti è capace anche d´innamorarsi, se si tratta di aprire la strada al futurismo»).
Ciò che manca di più alle donne come agli uomini è la virilità, argomentò dunque Valentine nel Manifesto della donna futurista. I modelli sono le Erinni, le Amazzoni, Giovanna d´Arco, Charlotte Corday, Cleopatra e Messalina; e Caterina Sforza che, dai merli del castello sotto assedio, al nemico che minacciava di ucciderle il figlio, aveva mostrato, sollevando le vesti, le intimità: «Ammazzatelo pure! Mi rimane lo stampo per farne altri». Riacquisti dunque la donna la sua crudeltà e la violenza: perché - fatto salvo il femminismo, portatore d´ordine, dunque antifuturista - «nessuna rivoluzione deve rimanerle estranea».
Si volantinò, a Parigi e a Milano, anche il successivo Manifesto della lussuria: «La Lussuria è una forza», è ricerca carnale dell´ignoto: bisogna farne un´opera d´arte. «Cessiamo di schernire il Desiderio, questa attrazione di due carni, qualunque sia il loro sesso». Marinetti, «politimbrico», declamò il testo nella sala Gaveau di Parigi mentre Valentine, sotto l´ombrello di una scintillante costruzione di aigrettes, e un anello che «invetrinava il più bel piede del mondo», mimava una danza «ideista». Ci fu una scazzottatura, a causa «di alcuni imbecilli che insieme ai futuristi prendevano sul serio tutto ciò senza però esser d´accordo, disgraziati»; il pittore Severini era pronto a buttarsi dal palco in sala per dare man forte, ma era stato trattenuto dal colosso Cravan, boxeur pre-surrealista, nipote, si diceva, di Oscar Wilde. Severini poteva pure pensare che fosse una réclame furibonda per della paccottiglia rancida, ma insomma il Futurismo era movimento. E la danza della Saint-Point, in particolare la performance Metachorie (oltre la danza), antipsicologica, perché il volto era coperto da un velo neutro, con le sue singolari disposizioni a stella - il corpo steso come una ranocchia, le braccia a squadro a toccare le dita del piede - stravolse il balletto classico, e finì, nel 1917, al Metropolitan di New York.
Misoginia a parte, la danza della Saint-Point, la pittura polimaterica e la scultura cinetica di Ru�ena Zátková, il ruolo di Benedetta Marinetti nell´invenzione del Tattilismo fanno del Futurismo uno dei movimenti d´avanguardia con la maggiore partecipazione femminile, afferma oggi Giancarlo Carpi in Futuriste. Letteratura Arte Vita, quasi settecento pagine di saggio e antologia del futurismo al femminile (Castelvecchi). Oltre le specifiche ricognizioni, negli anni Ottanta, di Claudia Salaris e Lea Vergine, e più recentemente di Cecilia Bello Minciacchi, e poi di Mirella Bentivoglio e Franca Zoccoli - il bel saggio delle due studiose, Le futuriste italiane nelle arti visive, approda, ampliato, da New York alla De Luca editori d´arte -, Carpi nel vastissimo (e divertente) panorama di testi, e grazie a un ampio corredo iconografico, testimonia di questa importante presenza femminile, dalle prime tavole parolibere di Maria Angelini, la cameriera di Marinetti, attraverso le grandi poetesse e aeropittrici, fino ai coloratissimi arredi apprestati dalle figlie-vestali di Balla.
Agiografico il ritratto di Marinetti stilato nel 1916 dalla fantesca Marietta Angelini, che aureolava di parole in libertà l´asta gigante di un "1". Ironica invece la tavola parolibera del 1919 di Benedetta Marinetti, dal titolo irriverente Benedetta fra le donne, e la dicitura «Spicologia di 1 uomo» - non psicologia, ma «spico», spillo: i fili tesi tra gli spilli, come in un manufatto femminile, circondano un cerchio con la scritta: «vuoto». Marinetti nel �19 ha più di quarant´anni; nello studio di Balla (si entrava perlopiù dal balcone, saltando la ringhiera) ha visto per la prima volta l´angelica e flessuosa Benedetta Cappa: lunghe trecce scure, padre ufficiale piemontese, madre valdese; però, a diciannove anni e quattro mesi, è già futurista. Parlano di Bergson, e i primi amori pestano, in un campo oltre Sant´Agnese extra-moenia, otto metri quadrati di erba: «Non avremo mai un letto così grande», sospira Benedetta; si sposeranno qualche anno dopo. Velocità di un motoscafo, già dal 1919, traduce una scia in mare in una vibrante esplosione astratta di linee e triangoli blu e oro. Si orienterà poi su toni pastello - e intimi, nella narrativa: L´ultimo sogno di Astra, in Astra e il sottomarino (1935), evoca «una casa bianca. Astra espresse da sé quattro figlie e successivamente aperse un vano tondo senza imposte nella facciata� Metodicamente il padre murò il tondo occhio». Il «romanzo chirurgico» Un ventre di donna (1919) racconta una laparotomia in «non diluiti», dinamici termini futuristi («CORAGGIO + VERITÀ"). È inserita una lettera di Marinetti, che suggerisce una cura futurista: «Perfezionare il desiderio di un oggetto».
È Enif Robert, che con Rosa Rosà e Fanny Dini collabora alla nuova rivista Italia futurista, animata da Maria Ginanni. Enrica Piubellini firma tavole parolibere ispirate alla guerra, mentre si prepara la pattuglia di aeropoetesse e aeropittrici (Zátková, Barbara, Marisa Mori). Ma è l´aerodanza di Giannina Censi - in costume di lieve alluminio disegnato da Prampolini, nelle splendide foto rivelate dalla studiosa di danza moderna Leonetta Bentivoglio - uno dei capolavori del futurismo. Scoperta nel 1930 da Escodamé - pseudonimo di un "buttafuori" futurista - Giannina Censi, che ha studiato a Parigi con la russa Ljubov Egorova (la grande maestra su cui stava cristallizzando la sua follia Zelda Fitzgerald) si prepara ora con arditi voli aerei e realizza, superando «le passatiste ondulazioni di cosce montmartroises per forestieri», la danza «disarmonica, sgarbata, antigraziosa, asimmetrica, sintetica» preconizzata dal manifesto marinettiano nel 1917. Tra le fotografe, Wanda Wulz, con Io+gatto, impressiona Marinetti, e passa alla storia. Nel 1930, Tina Cordero firma, con Guido Martina e Pippo Oriani, Velocità, il capolavoro del cinema futurista. Pulsazioni e battiti di luce animano nel finale la scomposizione di un manichino metallico: «L´uomo d´acciaio resta con la sua ombra, l´unica cosa che ci appartiene».