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Ecosistemi: il nodo dell´economia al tempo della globalizzazione

di redazionale - 17/02/2009

Il Millennium Ecosystem Assessment del 2005 concludeva che il 60% degli ecosistemi, inclusi suoli, foreste, barriere coralline e praterie, erano danneggiati o in degrado, una tendenza confermata dallo Year Book 2009 dell´Unep. L´attuale modello economico, che prevede una richiesta crescente di cibo e prodotti agricoli, ha bisogno sempre di più di nuovi terreni arabili e già oggi le terre agricole occupano circa un quarto delle terre emerse. In 25 Paesi le foreste sono praticamente scomparse ed in altri 29 ne è stato abbattuto il 90%.

Intanto la pesca marittima è bloccata alle catture di 10 anni fa, dopo l´inizio della pesca industriale negli anni ´60, la biomassa totale dei grossi pesci commerciali è calato del 90%, con perdite commerciali dovute alla sovra-pesca ed alla scomparsa dei pesci valutabili in 50 miliardi di dollari per il solo 2008. C´è poi il dilemma dei biocarburanti: il loro impatto sulla produzione alimentare, la povertà e gli ecosistemi pare sempre più evidente, ma dall´altra parte esistono nuove possibilità di diversificare le entrate in modo da ridurre la pressione agricola all´interno di un modello rurale a piccola scala.

Ma è la dimensione industriale dell´agro-energia a far discutere: le diverse colture hanno effetti differenti e un nuovo studio che valuta gli impatti dei bio-carburanti industriali sul consumo idrico entro il 2030, evidenzia che per produrre 50 miliardi di litri di etanolo dal mais nel nord America, saranno necessarie il 20% delle riserve d´acqua della regione, mentre la produzione di 34 miliardi di litri di biocarburanti in Brasile avrà bisogno dell´8% dell´acqua per irrigare la canna da zucchero necessaria.

La colza utilizzata nell´Unione europea per produrre biocarburanti sembrerebbe avere un impatto idrico minore: con l´1% dell´acqua per uso irriguo del nostro continente sarebbe possibile produrre 20 miliardi di litri di bio-fuels. Se l´impatto del modello di sviluppo è preoccupante, a farne le spese sono coloro che beneficiano di meno del libero mercato: i poveri e i piccoli agricoltori che dipendono da ambienti naturali sani.

Secondo l´Unep, il 90% dei contadini poveri trae almeno una parte dei suoi guadagni dalle foreste. Nell´Africa rurale le piccole imprese agricole sostengono economicamente il 90% della popolazione e le entrate assicurate dai prodotti naturali sfamano la metà dei più poveri del pianeta che abitano ancora in campagna.
«Una gestione intelligente ed efficace degli ecosistemi e dei loro frutti e servizi – spiega l´annuario dell´Unep - sarà essenziale nel corso di questo secolo, che vedrà la sua popolazione raggiungere più di 9 miliardi entro il 2050».

Mentre la popolazione aumenterà quasi del 50% rispetto ad oggi, le previsioni sono che le terre coltivabili diminuiranno fino a raggiungere 0,1 ettari a persona e quindi sarà necessario una crescita della produzione agricola «irraggiungibile con i metodi convenzionali». Il degrado dei suoli dovuta al sovra sfruttamento e alla messa a coltura di terreni inadatti colpisce già oggi l´ 84% delle terre agricole del mondo, secondo il rapporto Unep «le sole terre coltivabili sane sono confinate nelle zone temperate del Midwest americano, nelle praterie canadesi, della Russia, del centro dell´Argentine, dell´Uruguay, del sud del Brasile, del nord dell´India e del nord-est della Cina, così come in qualche zona tropicale. Una soluzione possibile sarebbe la gestione a mosaico, nella quale la produzione alimentare è una dei molteplici servizi eco sistemici di base. L´ecogestione., come viene chiamata attualmente, data qualche millennio: delle praterie europee agli autoctoni dell´America che gestivano le foreste in maniera di creare dei pascoli per I cervi».

Il pericolo è quello di intaccare il patrimonio ambientale esistente: la terra dell´Amazzonia centrale ha tre volte più materia organica del suolo, di azoto e di fosforo, e il 70% in più di carbone paragonata ai suoli adiacenti, questo perché le popolazioni indigene precolombiane aggiungevano al terreno residui carbonizzati, rifiuti organici, escrementi ed ossa.

Una delle possibili soluzioni per difendere la biodiversità e la fertilità del pianeta potrebbe essere quella del mercato delle quote di emissioni associate a strumenti finanziari che "paghino" i servizi ecosistemici che gli ambienti naturali forniscono a tutto il pianeta. Una bella speranza che rischia di non realizzarsi se guardiamo al tasso di deforestazione che ha raggiunto i 13 milioni di ettari all´anno, quanto la metà dell´intero Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Una distruzione di preziosa foresta tropicale che comporta anche il 17% delle emissioni totali di gas serra.

L´ultima speranza è che a Copenhagen si raggiunga un accordo su quello che è stato chiamato il dossier "Reduced Emissions from Deforestation and Forest Degradation". Ma è essenziale che l´utilizzo delle risorse nell´epoca della globalizzazione torni nelle mani delle comunità e dei pescatori, attraverso quote di prelievo. Uno studio sulle diverse quote e sui diritti di pesca in Canada, Cile, Nuova Zelanda, Messico, ed Usa, dimostra che le regole, applicate e fatte rispettare, riducono la perdita degli ecosistemi della pesca e finiscono per far aumentare i guadagni.