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Ma razzismo cosa vuol dire?

di Miguel Martinez - 18/02/2009

Sul suo blog - sempre pieno di spunti interessanti - Georgia parla del divieto d'ingresso al deputato islamofobo olandese Geert Wilders, imposto dal governo inglese. Lei si esprime nettamente a favore di tale divieto; io notoriamente sono contrario a tali divieti.[1]

E questa è una normale divergenza di vedute. Ma leggendo il suo post, sono stato colpito sia dal titolo - "Caro signor razzista lei non è gradito" - che da una frase che Georgia scrive tra i commenti:
"Va bene la libertà di parola, ma quella di razzismo è altra cosa ..."
Credo che in quelle parole, "razzista", "razzismo", ci sia qualcosa di importante che non abbiamo ancora chiarito bene, io per primo.

Georgia afferma che Wilders è un razzista; e in base a questa sua qualità, merita un trattamento particolare.

Sappiamo però anche che Wilders negherà di essere razzista. Affermerà, voi mi condannate per qualcosa in cui non mi riconosco. Essere antislamico, dirà, è come essere anticomunista o antifascista, è essere contrari a un'ideologia, non a un gruppo etnico.

E' una difesa debole, nel senso che l'oggetto dell'astio di Wilders non sono certo teologi, ma persone in linea di massima assai semplici, legate più affettivamente che ideologicamente al Corano. Però lo stesso, o quasi, vale per la maggior parte dei "fascisti" o "comunisti" presi di mira dall'antifascismo o dall'anticomunismo.

Comunque quella di Geert Wilders non è una difesa insensata. Teoricamente Wilders non avrebbe problemi a riempire le sue liste elettorali di candidati marocchini o indonesiani atei o convertiti al cristianesimo. In pratica, intuiamo che non sarebbe così, ma non è facile condannare le persone in base alle nostre intuizioni.

Lo intuiamo, perché percepiamo che al "loro" - i musulmani - che Wilders crea, corrisponde un "noi", che si identifica grazie al nemico. E quel noi non contiene marocchini convertiti all'Islam, o ne contiene pochi.

Di quel "noi", Wilders non parla, se non per allusioni: parla quasi solo di "loro", il "noi" viene da sé, è già presente nella coscienza di chi ascolta Wilders e non ha bisogno di essere spiegato.

Una sorta di telepatia: la metà del discorso di Wilders è già dentro la testa dell'ascoltatore. E quelli in rapporto telepatico con Wilders sono tanti. Il 50% degli olandesi, abbiamo visto, è almeno contrario ai processi contro Wilders; e recentemente Wilders ha affermato che il 60% degli olandesi era d'accordo con lui. Bisogna vedere esattamente quale domanda abbia posto il sondaggio cui si riferiva. Ma certamente non stiamo parlando di trascurabili e pittoresche minoranze. Stiamo parlando di circa la metà degli abitanti di quello che dovrebbe essere il Paese Serio archetipico sognato dall'elettorato antiberlusconiano.

Siccome Geert Wilders non ha certo fatto il lavaggio del cervello agli olandesi, la sua colpa è quella di rappresentare fedelmente il popolo olandese. Casomai, quindi, il problema sono gli olandesi.

Ma magari Wilders è davvero un razzista e cerca di non nasconderlo. Anche se non parla di "razza", quel "noi" che si identifica in lui è comunque una razza? E "loro" sono una razza? Perché altrimenti, non ha molto senso parlare appunto di "razzismo".

In realtà il termine "razzismo" ha alla base un difetto logico. Un razzista dovrebbe sostenere "questa" razza contro "quella". Ma sembra proprio che le "razze umane" non esistano, per una serie di motivi. Questa è una constatazione scientifica, che non va confusa con le constatazioni morali. Ad esempio, il cancro è assai immorale, ma esiste.

Certo, si può essere razzisti per illusione. Si può sostenere ad esempio la superiorità di un gruppo immaginario contro un altro gruppo immaginario.

Però anche qui incontriamo problemi: perché sarebbe sbagliato prendersela con il gruppo immaginario "i negri", ma non con altri gruppi immaginari come "i comunisti", "i cattolici", "il ceto medio"? Visto che in nessuno di questi casi, riusciamo a definire in maniera precisa l'oggetto dell'antipatia, e nemmeno quello della simpatia?

In realtà, il razzismo per illusione, o meglio per errore scientifico, è esistito eccome.

Anzi, è stata la corrente dominante negli studi antropologici fino a ben dopo l'ultima guerra mondiale. In questo senso, i vincitori di Hiroshima e i perdenti di Auschwitz condividevano almeno le premesse fondamentali, anche se ovviamente i secondi davano un'importanza anomala a quello che era solo un banale dato di fatto per i primi.

Il razzismo scientifico è però oggi praticamente estinto, se si eccettuano alcune ipotesi marginali sconosciute al grande pubblico.

Mi è capitato poche volte di imbattermi in veri razzisti, nel senso di persone che sostenevano qualcosa di ragionato a proposito di "razze". Persone attaccate a letture decisamente superate, ma dal comportamento ineccepibile.

In questo momento storico, le persone così sono del tutto innocue, come lo sono tutte le persone che ancora leggono e ragionano. Per questo, non avrei nessun problema a permettere "commenti razzisti" sul mio blog, riservandomi ovviamente il diritto di rispondere.[2]

Piuttosto, l'Europa tutta è pervasa da un fantasma cui dovremmo trovare un nuovo nome.

In sostanza, è la paura dell'"umanità in esubero", come la chiama Zygmunt Bauman:
"In una società di produttori, si tratta di persone il cui lavoro non può essere utilmente impiegato, poiché tutti i beni che la domanda attuale e prevista è in grado di assorbire possono essere prodotti - e prodotti in modo più rapido, redditizio ed 'economico' - senza tenerle occupate.

In una società di consumatori, queste persone sono 'consumatori difettosi': persone che non hanno il denaro che consentirebbe loro di estendere la capacità del mercato dei beni di consumo, e al contempo creano un altro tipo di domanda cui l'industria dei consumi, tutta orientata ai profitti, non sa rispondere e che non è in grado di 'colonizzare' in modo redditizio. Il bene primario della società dei consumatori sono i consumatori; i consumatori difettosi sono il suo passivo più irritante e costoso". [3]
Questa paura dell'umanità in esubero si manifesta in tempi di paura strutturale.

Per la prima volta, mancano anche illusioni sul futuro: per dire, nessuno ha la minima idea che studi intraprendere oggi, per avere un minimo di sicurezza lavorativa tra vent'anni. Siamo tutti in ballo, individui trascinati dalle onde.

L'umanità in esubero si trova alle frontiere, che sono tutte le barriere, le telecamere, i muri di filo spinato che ci difendono da loro. Per una serie di coincidenze storiche, gli elementi più visibili dell'umanità in esubero hanno anche lingue, religioni o aspetto fisico diverso, cui ci si aggrappa facilmente per costruire una polemica.

Inoltre, è un terrore profondo che si esprime qui, e quindi ogni sorta di giustificazione può essere buttata nel calderone, dalle leggende medievali sulla
Zingara Rapitrice a frasi che qualche dotto ha scovato tra i hadith attribuiti al profeta dell'Islam, alle vignette degli anni Venti sui negroni con il gonnellino di foglie che fanno bollire i bianchi in enormi pentoloni.



Ma la paura vera è sociale e non "razziale", e lo dimostra l'inestricabile confusione che gli stessi "razzisti" fanno tra tutti questi temi. Un giorno inveendo contro i Beduini che Toccano le Nostre Donne, il giorno dopo esaltando Magdi Allam.

Come
dice Andrea Ronchi, detto amichevolmente Gollum, "La nostra volontà è quella di integrare ma per integrare bisogna espellere tutti coloro i quali in realtà non vogliono integrarsi". Una frase fantastica, che spiega tutto.

Nessuno farà il razzista con Naomi Campbell, perché come produttrice (di immagine) e come consumatrice, non è affatto difettosa. La distinzione non si basa sul colore della pelle o sulla genetica, ma sulla funzionalità. Chi funziona è integrato, chi non funziona, non lo è.

Il "noi" è assassino, ma non è esclusivo. Anche perché il Flusso Globale ha spazzato via gli spiriti collettivi; la pensionata che teme gli scippi, il precario che teme la disoccupazione, il lettore dallo sguardo triste e incattivito del Giornale - questa gente non si sente appartenente a qualche specie di bionde bestie elette. Vorrebbero solo avere un muro altissimo attorno.

L'uso della parola "razzismo" (e ripeto, la uso talvolta anch'io) mistifica le cose.

Intanto, maschera la disparità sociale fondante di tutto il fenomeno.

 Anche i dominati e gli esclusi generalizzano, come è ovvio: la marginalità non è garanzia di perfezione intellettuale.

La democrazia liberale si basa sulla parità apparentemente tra il ricco e il povero; così si ha facile gioco - facendo scomparire il cruciale elemento sociale - a dire che i Rom hanno una visione "razzista" dei Gagè; che i palestinesi sono "razzisti" verso gli ebrei; che gli afrocentristi americani sono "razzisti" verso i bianchi. Ma se dovessimo vietare il risentimento, i luoghi comuni e la confusione tra casisingoli e leggi generali, quasi tutte le espressioni umane costituirebbero "razzismo". Il movimento nero dei banlieu il Mouvement des damnés del'impérialisme (MDI), si è trovato accusato in tribunale di "istigazione all'odio razziale".

Soprattutto, il termine razzismo riveste una catastrofe sociale del manto delle "idee errate".

Dicono che quel tale avrebbe un'idea errata a proposito di una certa razza.

Se è per ignoranza, lo stato lo deve quindi educare; se è per pervicace cattiveria, lo stato lo deve punire.

Ed ecco che grazie a insegnanti, pubblicitari e poliziotti, torniamo a vivere nel migliore dei mondi possibili.

Note:


[1] Perché ogni volta che si permette allo stato di segnare un nuovo limite repressivo contro i nostri nemici soggettivi, quel limite si fa oggettivo, e si potrà ritorcere contro chiunque, noi compresi. E' ciò che è successo allo stesso Wilders, i cui simili si battono da anni per far espellere arbitrariamente dai paesi europei i soggetti politicamente scomodi: e a forza di chiedere espulsioni, è toccata anche a loro. Certo, in condizioni assai diverse da quelle dei cittadini marocchini che in Italia vengono prelevati a casa loro alle quattro di mattina e allontanati per sempre dal lavoro e dalla famiglia, grazie ad arbitrari provvedimenti ministeriali; ma il meccanismo è lo stesso.

[2] Se vi interessa un esempio di autentico, ragionato e noioso razzismo contemporaneo,
eccovene un campione.  State sicuri che nessuno, dopo aver letto tale articolo, darà fuoco a un barbone indiano per strada.

[3] Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Laterza 2005, p. 51