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Gas russo e resilienza

di Manuel Zanarini - 18/02/2009

 


Nella società moderna, e in quella italiana in particolare, sembra vigere un atteggiamento adattabile a qualunque situazione: non programmiamo nulla, cerchiamo solo di risolvere le emergenze. Ogni volta che scoppia una crisi si cerca di mettere una pezza, ma pochi giorni dopo ci si è già dimenticati di tutto e si pensa a chi vincerà la prossima edizione del Grande Fratello.

Poche settimane fa, sembrava che saremmo rimasti senza gas, quindi senza riscaldamento; poi per fortuna, l’emergenza è rientrata e tutto continua come se niente fosse successo. Visto che al ritmo del mondo contemporaneo, qualche settimana è un tempo enorme, ricapitoliamo brevemente cosa è successo. La Russia annunciava che per ritorsione nei confronti dell’Ucraina, avrebbe interrotto le forniture di gas all’Unione Europea. La situazione si trascina da tempo, ed è piuttosto difficile stabilire quale dei due paesi abbia ragione, anche perché al di fuori delle mere logiche commerciali, subentrano vari giochi geopolitici. La crisi risale a metà degli anni ’90, quando Kiev ha smesso di pagare le forniture di gas provenienti da Mosca, al prezzo “politico” di 179 dollari per 1000 metri cubi, sensibilmente più basso di quello di mercato, e a trafugarne ingenti quantitativi. Lo scopo dell’Ucraina, e della sua compagnia nazionale, la Compagnia Generale d’Energia (oggi Naftogaz), alla cui direzione amministrativa figurò, tra gli altri, anche l’attuale Primo Ministro Julija Tymošenko tra il ‘95 e il ’98, era quello di attuare uno stoccaggio massiccio, con lo scopo di inflazionare la tassa sul transito della risorsa energetica. Da allora, la Russia ha attaccato il governo ucraino, chiedendo che rispettasse gli accordi, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando Mosca rischiava di perdere, per il solo 2009, la cifra di 12 miliardi di dollari, e accusava Kiev di aver venduto, l’anno scorso, il gas russo, importato al prezzo di favore, a clienti ucraini a più di 320 dollari per 1000 metri cubi. Nonostante che nell’Ottobre 2008, Putin e la Tymošenko fossero giunti a un accordo (un buon prezzo del gas per l'Ucraina per il 2009 e oltre, in cambio dell'acquisizione da parte di Gazprom di una quota del 50% del sistema di trasporto del gas ucraino del diritto di fornire direttamente il gas ai clienti ucraini), la situazione è degenerata per il mancato accordo al momento della stipula del nuovo contratto. A quel punto la Gazprom ha ridotto il quantitativo di gas inviato alla UE, che transitava dall’Ucraina, mentre quest’ultima ha ripreso a rubarne ingenti quantità. Fino al punto che il Presidente russo, Medvedev, ha annunciato il blocco delle forniture all’Occidente. Panico generalizzato, diplomazie al lavoro e accordo trovato: la Naftogaz Ukraina ha accettato la presenza di osservatori russi sul territorio ucraino; l’istituzione di una commissione formata da rappresentanti del ministero russo dell´energia, dal ministero ucraino del combustibile e dell´energia, da rappresentanti dell´Ue, dei produttori di gas, dei clienti, dei trasportatori e da esperti indipendenti, allo scopo di consultare tutti i documenti ed accedere ai siti di smistamento ed ai depositi sotterranei di gas; e la rinuncia da parte dell’Ucraina di ottenere 21 milioni di metri cubi di gas in più "a fini tecnici".  . In pratica il trionfo di Mosca, visto che Kiev ha dovuto accettare tutte le clausole prima ritenute assurde.

Quello che però mi interessa valutare è la situazione Europea e dell’Italia in particolare. Complessivamente, si stima che la Comunità Europea ottenga circa un quarto del gas che le occorre proprio dalla Gazprom; e, fatta salva una trascurabile frazione transitante verso la sola Repubblica Federale Tedesca via Bielorussia, l’80% del combustibile esportato è smistato in Europa attraverso l’Ucraina. Il fabbisogno italiano di gas è soddisfatto, ad oggi nella misura del 27%, dal combustibile importato dalla Russia; e da esso dipendono tuttora, anche importanti nazioni europee: Francia (25%), Germania (36%), Romania (40%) Austria (65%), Repubblica Ceca (70%), Polonia (86%), Ungheria (89%), Bulgaria (97%); per non parlare di stati come Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Moldavia e Slovacchia di cui il consorzio Gazprom è sostanzialmente l’unico fornitore accreditato di metano ed affini.
Questo significa che le sorti energetiche dei Paesi europei sono nelle mani di Mosca, e della Gazprom in particolare, nonostante le presunte rassicurazioni del governo Berlusconi, che per bocca del Ministro dello Sviluppo Economico, Scajola, garantiva che “Nonostante le difficoltà dell'importazione di gas dalla Russia, l'Italia non presenta particolari preoccupazioni, grazie agli altissimi livelli di stoccaggio (si calcola oltre il 90% della capacità massima) che possono assicurare riserve per alcune settimane, ed ai consumi relativamente bassi, dovuti tra l'altro a un inverno inizialmente mite”. Il Ministro, però, si è dimenticato di dire che gli “altissimi livelli di stoccaggio” sono consentiti dalle importazioni da altri Paesi: Libia; Algeria; Norvegia; Gran Bretagna; Olanda; e Qatar, il cui gas verrà pompato nella rete nazionale grazie al nuovo rigassificatore di Rovigo, che assicurerà, a regime, la copertura del 10% dei consumi nazionali. Inoltre, il governo sta valutando la “Soluzione Nord-Africana”, che consiste nel favorire il potenziamento delle importazioni già in atto dalle regioni trans-sahariane (Algeria, Marocco, Tunisia, Libia).

Come si può facilmente capire, la nostra politica energetica dipende quasi esclusivamente da paesi esteri, i quali non necessariamente attuano politiche in accordo con le nostre esigenze. Basta vedere la situazione creata dalle tensioni tra Russia e Ucraina, che ci hanno fatto sperare a “un inverno inizialmente mite”; o all’accordo capestro firmato con la Libia, in spregio ai diritti dei nostri connazionali derubati da Tripoli, che non ci porterà alcun beneficio. La situazione è estremamente grave e paradossale; infatti, mentre l’Europa ci chiedeva di coprire il 17% del nostro fabbisogno energetico con fonti rinnovabili, il governo, invece di adeguarsi, chiedeva, e otteneva, di poter conteggiare anche le installazioni costruite nei Balcani e in Cina, continuando a puntare sui futuri, presunti, impianti nucleari. Poco c’è da dire sull’assurdità di quest’idea, sia in termini di pericolosità (ancora nessuna nuova sullo smistamento delle scorie), sia di inutilità (costi elevatissimi e materia prima che si esaurirà poco dopo che gli impianti saranno pronti); tuttavia, vale la pena citare l’ultimo studio  del “CESI ricerche”, secondo il quale, anche costruendo 4 centrali Epr di terza generazione evoluta, da 1600 MW ciascuna, risparmieremmo appena 9 miliardi di metri cubi di gas all’anno, praticamente il contributo di un solo rigassificatore di media grandezza. Ovviamente, anche pensare che le energie rinnovabili possano soddisfare le esigenze dell’attuale società dei consumi è ridicolo.
L’unica soluzione è ricostruire la resilienza locale. Il termine, poco conosciuto al di fuori dei settori ambientalisti, indica la capacità di un sistema di resistere alla crisi di una parte di esso o ad attacchi esterni. Tale sistema si basa sull’idea che uno Stato, o una comunità, produca le sostanze (l’energia nel nostro caso) basilari per la propria sopravvivenza in maniera autonoma, importando dall’esterno solo quello non strettamente necessario. Se ci trovassimo in tale situazione, la crisi russo-ucraina o i capriccetti di Gheddafi non ci creerebbero particolari incubi notturni. Come fare? Due sono gli aspetti su cui intervenire: uno prettamente energetico, l’altro culturale. Per quanto riguarda il primo, è assurdo che l’Italia produca meno energia eolica e solare di paesi più a Nord del nostro, come la Svizzera o i Paesi Scandinavi, quindi in questo settore vanno fatti investimenti seri, non sul nucleare; per il secondo, è evidente che l’attuale società iper-consumistica, basata sull’assurda idea dello “sviluppo senza fine”, stia distruggendo, tra le altre cose, il nostro pianeta, e che non è più sostenibile, quindi è necessario ripensare il nostro stile di vita su basi più sobrie e opporre al folle ideale “turbocapitalista”, il concetto di “Decrescita” (che approfondirò in altre sedi, per motivi di spazio).

Insomma, mentre il popolino è imbonito da isole, festival e grandi fratelli, l’intero paese è in mano a mafiosetti russi e a dittatorelli libici; ma non preoccupatevi, guardate pure la vostra televisione e correte a televotare…finché Mosca e Tripoli ve lo consentiranno!!!