Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Carlo Carrà, futurista e non solo

Carlo Carrà, futurista e non solo

di Marco Iacona - 19/02/2009

Cherasco, cittadina a sud del Piemonte, è nota per il trattato di Pace stipulato fra l’Impero, la Spagna, la Francia e i duchi di Savoia e di Mantova a conclusione della guerra per la successione al ducato di Mantova ed al marchesato di Monferrato (aprile 1631), e per l’Armistizio stipulato fra Napoleone, comandante dell’armata rivoluzionaria francese e Vittorio Amedeo III re di Sardegna (aprile 1796). I due episodi diplomatici sancirono peraltro il dominio dei cugini francesi sulla regione. Di entrambi gli eventi fu sede Palazzo Salmatoris oggi splendido centro culturale ed artistico. 
Nel signorile edificio, ove fu anche conservata la Sacra Sindone, abbellito dagli affreschi del pittore Sebastiano Taricco (1641-1710), negli ultimi giorni del 2008 si è svolta la mostra “Carlo Carrà. La natura come sogno” a cura di Elena Pontiggia e Cinzia Tesio.
Sono state in mostra circa 70 opere di Carrà, la maggior parte risalenti al periodo post-metafisico, vale a dire i paesaggi terrestri e marini, ma anche numerosi disegni databili 1906-1958. Da ammirare ancora le acquaforte su rame, fra cui quella (cm 9.4 x 6.9), dal titolo “Testa di uomo”, ritratto di Marinetti del 1922. Un’opera che è anche una chiara occasione per ricordare l’imminente centenario della nascita del futurismo., al quale Carrà peraltro aderì.
Alesandrino di Quargnento, Carlo Carrà (1881-1966), inizia a disegnare durante una malattia giovanile. La sua è inizialmente una vita povera e squallida per forma e sostanza. Notizie certe che egli stesso ha inteso diffondere tramite la sua autobiografia  più volte riedita (La mia vita).
Poi si trasferisce a Milano, città ove avviene la sua vera formazione; ed in seguito parte per la meta principe dei maestri di fine Ottocento, la Parigi del moulin rouge e degli artisti poveri ma non privi (anzi tutt’altro!) di talento. A quella che era, un tempo, la casa madre della cultura europea, Giampiero Mughini ha dedicato qualche pagina nel suo libro di fine Novecento (Un secolo d’amore, Mondadori, 1999). Ai tempi della rivoluzione cubista del ventiseienne Picasso (1907), - ed al cubismo Carrà guarderà con interesse - l’Europa è «innanzitutto» Parigi, scrive. «Ogni uomo degno del nome d’artista, è lì che deve farsi valere, lì deve innalzare la sua insegna». Insomma, «la Parigi di avvio del secolo è come una caldaia dove tutto ribolle e scintilla».
Artista nel cui animo brucia il sacro fuoco dell’arte d’avanguardia, Carrà pare non farsi mancare proprio nulla. Nel 1900 si reca anche a Londra dove entra in contatto con i circoli libertari e rivoluzionari, poi rientra a Milano e diviene fra i protagonisti del primo futurismo. Firma il “Manifesto dei pittori futuristi” ed il “Manifesto tecnico della pittura futurista” divenendo uno dei “padri fondatori” dell’avanguardia italiana. Si avvicina così ma senza esagerazioni a correnti di pensiero, in verità  molto diffuse al tempo, che potremmo definire di tipo nietzscheano. Stringe rapporti con Papini e Soffici, infine con Giorgio De Chirico che conosce in un ambiente colmo di nostrana intellettualità, nel 1917.
Dal 1921-22 c’è la svolta definitiva. Inizia a disegnare paesaggi inaugurando uno degli ultimi veri periodi della sua pittura. Dopo quello postimpressionista (divisionista), quello futurista del quale ci ha lasciato il meraviglioso dipinto “I funerali dell’anarchico Galli (1910-11), quello neoprimitivo, quello metafisico, Carrà inaugura il periodo che si potrebbe definire “naturalista”. Cinque periodi diversi dunque, tutti o quasi tutti col denominatore dell’essenzialità e della concretezza.
Carrà come riportato nell’ormai famoso volume di Mirella Serri I redenti (Corbaccio, 2005), sarà anche docente per chiara fama nel 1941 a Brera e all’inizio degli anni Cinquanta verrà premiato alla XXV biennale di Venezia. L’artista noto anche per aver dipinto, barche, barconi e marine, velandole come in un sogno prolungato nel tempo, morirà a Milano nel ’66. Notevole fu anche la sua attività di scrittore e critico interessato alle diverse tendenza dell’arte moderna.

 

dal Secolo d'Italia