16/02 - Bissau - “…a scuola…”

Siamo atterrati nella notte buia di una capitale che non puó permettersi elettricitá.
Bissau ufficialmente conta trecentomila abitanti, ma se la percorri verso la periferia sfogliandone i quartieri come una cipolla vedi che ai suoi bordi le favelas si sovrappongono una sull’altra e se vivi qui chissá se sanno che esisti.
Raúl é il primo contatto che si trova sul nostro cammino.
Da quattro cinque anni a questa parte ogni volta torniamo con i nosti libri europei sulla decrescita sotto il braccio per conoscere chi neanche ne conosce il nome ma la sta vivendo quotidianamernte forse per necessitá, sicuramente per scelta o antica storia.
Raùl dirige tre scuole, 3500 studenti dal livello di base all’istruzione liceale. Per visitare i tre istituti giriamo per i barrios fra vie e viuzze affollate e rumorose. Quando entri nella scuola vedi ripetuta qui quella che è la costante della realtá guineense: strutture e scenari incompleti, interrotti, provvisori, qualcuno direbbe miseri, che sono riempiti, animati, vivificati da una umanitá dolce, armoniosa, bella.
Nelle cartoline europee vedi scenari affascinanti, monumenti e architetture solitamente vuoti, quasi solo bellissime nature morte. Nelle cartoline della Guinea-Bissau vedi umanitá e vita e lo sfondo poco importa.

E cosí anche qui in queste aule, da finestre che sono buchi indefiniti sul muro vedi giovani che riempiono con la loro lucida bellezza ogni spazio nei banchi stropicciati. Se entri presentato da Raúl ti salutano i loro bianchissimi sorrisi silenziosi, quando esci i palmi delle loro mani schiarite si agitano a salutarti sempre in un sereno silenzio, e solo se ti va di fare loro una battuta scherzosa scopri il fragore della loro fraternitá.
In un precedente viaggio emanava lo stesso antico senso di civile partecipazione da tutti i membri di una comunitá con cui ci riunimmo sotto il grande mango centro del villaggio. Seduto fra loro voltandoti vedevi i loro sguardi responsabili e attenti a valutare una decisione comune. Tutti, bambini o adulti, avevano diritto di parola, tutti lo esercitavano con la calma di chi sa di far parte di una armoniosa mente comune. Il capo era capo solo nell’interpretare esecutivamente le loro decisioni. Era orecchio, non voce. Raúl mostra il lavoro attuale dei professori: l’editoria. Attorno a un tavolo finiscono di assemblare i libri di testo. Qui in Guinea Bissau non c’é una casa editrice, e le sue tre scuole si autoproducono i libri. Uno elabora le pagine al computer, uno stampa, uno fotocopia, uno piega, uno cuce. Tutti usufruiscono della messa in comune dei prodotti. Gli studenti pagano le spese, dai quaranta ai sessanta centesimi di euro a testo di circa 40 pagine. Li vogliono anche gli studenti delle altre scuole. Diamo un’occhiata a questi auto-libri: sono testi di matematica, con tutte le formule e i grafici, chiari, completi.
Le scuole di Raúl sono gestite da una cooperativa di docenti Guineensi. Innestano nell’antico senso comunitario della loro gente saperi che aumentano le potenzialitá di autogestione. Innestano la loro economia informale anche nelle loro procedure didattiche. Qui ogni alunno é il padrone della sua scuola. Sa chi é, sa da dove viene, sa che dove vuole andare dipende da quel passato, non é in vendita di una pianificazione di altri, ricchi, potenti, stupidi. Cosí stupidi che si stanno distruggendo da soli.

 

18/02 Canchungo - “Grazie, colera”

Quali malattie e infestazioni sono compagne di vita della popolazione guineense?
Nella scorsa stagione delle piogge morirono di colera in quasi 200, in proporzione alle rispettive popolazioni fu piú feroce questa epidemia di quella che ha colpito lo Zimbabwe e di cui si leggeva spesso nei mesi scorsi, ma nulla comparve sulla stampa riguardo ai morti guineensi perché questa minuscola nazione non fa audience.
La malaria é la prima causa di morte, soprattutto infantile.
L’AIDS dilaga, seppur con una incidenza lievemente minore alla media africana.
Le cavallette ogni tanto si spostano a nubi enormi giú dal Sahel a sterminare le produzioni agricole. Ancora non si conosce perché da solitari insetti pacifici si trasformino improvvisamente in orde distruttrici.
Ma quella che preoccupa di piú é l’infestazione dello sviluppismo, del paternalistico neocolonialismo.
Ieri ci siamo trovati ad assistere all’incontro tra una funzionaria locale di una ONG europea e un gruppo di agricoltori. La donna era una “pinguina” come gli africani definiscono quei compatrioti che si mascherano da occidentali. Dietro ai suoi occhiali da sole, con i suoi capelli lisciati artificialmente per piú di tre ore ha continuamente bombardato i campesinos di istruzioni e direttive. Era l’esatto negativo di quello che tradizionalmente i capi villaggio fanno nelle loro riunioni: tanto quelli ascoltano in silenzio metabolizzando i pensieri che gli altri membri dell’assemblea propongono, tanto questa vomitava continuamente ordini mascherati da informazioni tecniche aggiornate. Tutta bocca e niente orecchie. Per nostra esperienza sappiamo bene cosa succede in queste circostanze: nel migliore dei casi la ONG si ritiene il faro del progresso, se non poi addirittura essere giá consapevole di rappresentare la testa di ponte di una penetrazione commerciale.
Non ho potuto fare a meno di voler filmare tutto quando ho visto che come sfondo della scena compariva in lontananza l’autista di quella poverina che per tutte le tre ore, ininterrottamente, con ammirevole dedizione lucidava a morbide bracciate il SUV della ONG. Un SUV giapponese con i vetri scuri, tanto per ribadire le barriere, che avrebbe portato la poverina in un hotel di Bissau con l’aria condizionata per creare una temperatura globalizzata a 20 gradi, uguale qui a quella degli uffici olandesi della ONG.
Non ci si dica che la malaria é la vera piaga, la vera piaga é l’infestazione del neocolonialismo mascherato da cooperazione.
Nell’ospedale missionario di Cumura, vicino a Bissau, Suor Valeria si é sfogata con noi volontari: i medici delle organizzazioni internazionali dettavano alle infermiere diagnosi di malaria al minimo rilievo di febbre, senza uno straccio di analisi del sangue (la “goccia spessa”) nascondendo cosí i miglioramenti statistici che lei aveva ottenuto con le tende impregnate di piretro, e tutto questo perché alla loro strategia commerciale faceva gioco che la malaria fosse forte e viva, fonte di guadagno.
Il conto é presto fatto: basta che nel bilancio di una ONG di cooperazione internazionale, seppur trasparente e veritiero, l’impegno finanziario per le spese “di gestione” delle operazioni superi il 50 per cento, che stiamo assistendo al mirabile fenomeno: é la povera donna africana ammalata di AIDS ad aiutare la ricca macchina commerciale occidentale e non il contrario.
D’ora in poi noi occidentali ringraziamo chi crepa di colera se abbiamo i soldi per vaccinarci prima di venire qui a fare i missionari.