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La prossima rivoluzione in Medio Oriente

di Soumaya Ghannoushi - 21/02/2009

Fonte: arabnews

 
 
Mentre si celebra il 30° anniversario della Rivoluzione iraniana, il Medio Oriente è percorso da fermenti e tensioni. I governi occidentali, accecati dai loro interessi a breve termine, insistono nel vedere le cose nella regione a loro piacimento, e non come esse stanno veramente. La verità è che tali governi sono i veri artefici della prossima rivoluzione in Medio Oriente – afferma Soumaya Ghannoushi

Trent’anni fa il mondo si risvegliò come scosso dalla Rivoluzione Islamica, che come una potente eruzione vulcanica investì l’Iran, trasformò il volto del paese e fece tremare il mondo intero. Un movimento di protesta popolare era riuscito a fare ciò che pochi avevano creduto possibile. Il regime-fortezza dello Shah aveva cessato di esistere, divenendo un semplice capitolo della lunga storia del paese.

Nonostante tutto il fervore religioso che ha caratterizzato la rivoluzione, le sue cause profonde in realtà sono più di carattere socio-politico che teologico. Dopotutto la teologia non può scatenare una rivoluzione, se le condizioni generali non sono in fermento nelle viscere della società e tra le forze politiche. I capienti serbatoi della rabbia popolare, che scoppiarono alla fine degli anni ‘70, si erano nutriti delle ingiustizie accumulatesi per anni. In primo luogo, la corruzione dilagante e il dispotismo dello Shah e del suo regime, l’emarginazione socio-culturale intensificata dal processo di falsa modernizzazione di cui soffrivano strati sempre più ampi della popolazione, e l’acquiescenza del regime nei confronti delle ingerenze straniere, in particolare statunitensi.

Molti aspetti di questa situazione dell’Iran pre-rivoluzionario potrebbero risultare familiari agli occhi di chi oggi osserva l’intera regione mediorientale. Mentre la storia moderna della regione è stata costellata da una serie ininterrotta di crisi associate alla fragile condizione post-coloniale, i suoi mali sono stati ulteriormente aggravati dalla perdita di legittimità dei regimi che ha caratterizzato gli ultimi decenni. La prima fonte di legittimità, rappresentata dalla liberazione nazionale , si prosciugò con la scomparsa della generazione che aveva portato all’indipendenza, e con l’ascesa al potere di una nuova stirpe di scialbi tecnocrati e generali.

Nel momento in cui le promesse di sviluppo e di progresso svanirono nelle nebbie delle baraccopoli, gli Stati arabi si trovarono a doversi confrontare apertamente con i propri cittadini. Privati di ogni copertura, essi degenerarono fino a divenire terribili macchine di oppressione. Quanto più la loro legittimità era consumata, tanto più essi tendevano a fare affidamento sulla polizia, sugli apparati interni d’intelligence e sul sostegno di protettori stranieri, proprio come nel caso dello Shah. La gran parte dei regimi arabi non avrebbero mai potuto sopravvivere senza fare ricorso al continuo uso della violenza diretta contro i propri cittadini ed oppositori, aiutati e favoriti in questo dai loro “amici” ed alleati.

L’Egitto rappresenta forse l’esempio più evidente di questa situazione. Nell’ultimo decennio, il suo presidente ottantenne si è preoccupato di assicurare l’ascesa del proprio figlio Gamal al vertice della repubblica. Nel frattempo il suo paese, il più popoloso del mondo arabo, sta progressivamente degenerando, la sua influenza a livello regionale sta declinando, la corruzione è dilagante, e milioni di persone sono sull’orlo della fame.

Quella a cui ci troviamo di fronte è una situazione mortalmente esplosiva. Alle soglie degli anni ‘90, con il collasso del comunismo e l’attacco di Bush padre contro l’Iraq, la maggior parte dei regimi arabi aveva raggiunto il proprio punto terminale di crisi. Grazie ai loro alleati euro-americani, sostenitori dello status quo, tali regimi vennero salvati in extremis. Ma non si vede come essi potranno sfuggire alla propria disfatta, vista la situazione di profonda crisi nella quale si trovano, e la crescente rabbia popolare che devono fronteggiare.

Chiaramente tutto ciò non significa che lo scenario iraniano si ripeterà in Egitto o in altri stati arabi, oppure che presto apparirà un nuovo Khomeini. La storia non si ripete. Ciò che è certo, tuttavia, è che molti elementi dell’esplosivo contesto iraniano si stanno agitando oggi sotto la superficie di “stabilità” imposta, proprio nel momento in cui nuove forze socio-politiche stanno entrando in scena, sulle rovine dell’elite ufficiale ormai screditata.

Quattro mesi prima che lo Shah fu costretto a fuggire, la CIA aveva pubblicato un rapporto nel quale dichiarava che il regime iraniano era stabile. Si prevedeva che lo Shah avrebbe mantenuto pieni poteri per i successivi dieci anni. Le cose non sono cambiate molto da allora: la situazione di ostinata cecità è la stessa. I governi occidentali, accecati dai loro interessi a breve termine, insistono nel vedere le cose nella regione a loro piacimento, e non come esse stanno veramente. La verità è che tali governi sono i veri artefici della rivoluzione in Medio Oriente.


Soumaya Ghannoushi è un’autrice freelance; è ricercatrice all’Università di Londra, specializzatasi in Studi Orientali; l’articolo qui proposto è apparso il 13/02/2009 sul quotidiano britannico ‘Guardian?’

Traduzione: arabnews