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No, Patty Pravo non ci ha rotto i co…oni

di Marco Iacona - 23/02/2009

 

Alle stranezze noi italiani siamo abituati. Purtroppo. Perfino a scambiare un brano pucciniano per una canzoncina da festival di Sanremo, ouverture di una Mina fredda come la neve assassina del cuneese, siamo abituati. E perfino a non riconoscere le molte citazioni dotte che questo 59simo festival della canzone italiana ci ha riservato, presi come siamo da un’esterofilia postbeatlesiana lunga come i lavori della Salerno-Reggio Calabria che come canterebbe Marco Masini ci ha veramente rotto i co…oni.
Al festival di Sanremo si è parlata la lingua dell’aristocrazia canora. E non solo per la presenza dei due soprani Daniela Dessì e Dimitra Theodossiou, e neppure per le note del Requiem mozartiano che ad un certo punto si è trasformato in un famosissimo brano dei Pink Floyd il gruppo rock più noto del dopoguerra (ma va bene così). Ma per molto altro. Tanto per cominciare grazie alla canzone di Francesco Renga, innamorato dell’Otello verdiano, con un’esplicita citazione della Turandot – ancora lei; poi con la giovane e bella italo-algerina Karima che se la spassava fra i versi di un altro Otello quello rossiniano, infine con la regina, anzi l’eterna principessa della canzone italiana, Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo, con la sua canzone su testi e musica del compositore sardo specializzato in rock progressivo Andrea Cutri e con la citazione del mozartiano Don Giovanni (“ci daremo la mano”).
Guardiamola fin dentro gli occhi la Patty… A Sanremo l’ugola della storica protagonista del Piper Club in anni in cui la primavera sembrava non passasse mai, funzionava eccome. Contenta era contenta, mentre sgranava i versi della romantica canzone sanremese più parlata che solfeggiata, più recitata che cantata come i sonetti dell’amore oscuro di Garcia Lorca. Per Luzzatto Fegiz, che ha naso, doveva vincere lei; ma non per i giovani dai 12 ai 20 anni, non per i nati con le tv commerciali, non per gli “amici” di Maria De Filippi e non per il pubblico imbarazzante di Maurizio Costanzo. Pazienza.
Nicoletta Nicoletta, con la voce fragile come un oggettino di vetro, e con la parlata da tenentino asburgico. Nico, amica di Ezra Pound, soldato veneziano che sa d’antico dalle unghie affilate ma pur sempre raffinato e feliciotto. Vivo, ineguagliabile, inguaribile. Patty innamorata dell’amore. Pazzo e poetico, “stupendo” e lacrimoso. L’amore… il microbo del bum bum che ad ogni età fa fuori anima e corpo corde vocali comprese. A venti-trenta-quarant’anni e poi più su, su fino alle rughe e ai capelli bianchi di Giuseppe Prezzolini ed Ernst Jünger. Passando per il vissi d’arte delle attuali – splendide – sessantenni un tempo col vibratino stretto. Amore: non ne guarisci mai.
Comparsa nella biografia di molti poeti (e che poeti: Ungaretti, Pasolini, Dario Bellezza), Patty è un’artista sanremese ma non troppo. O meglio è tante cose insieme. Icona di trasgressione ed eleganza dell’italica melodia e del sound d’oltreoceano, monumento alla ribellione delle convenzioni più radicate; “esperta” nel nudelook ma mai (mai!) volgare. Ha celebrato passioni ed emozioni col gusto del sogno realizzato, provocando, violando le regole dei tradizionali sentimenti, quando il “casareccio” era di moda. Adesso in periodi di gay a tempo determinato (vedi la flessibilità?), bisex e amori fisici da una botta-e-via Patty ci viene a cantare: «…e poi mai più ti perderò, ci ameremo davvero. E resta qua stringiti a me. Non lasciarmi mai sola. Ho paura che senza te non vivrò più davvero… mai!». Bava Nicoletta, bravo Andrea. Amore eterno. Visioni. Impossibile pensare a qualcosa di più trasgressivo – ad un amore maledettamente poetico – nell’A.D. 2009. Questo ci piaceva sentire, questo abbiamo sentito.