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Come il tuo vecchio televisore ammazza i bambini nigeriani

di Mario Braconi - 23/02/2009

 
 

Secondo una direttiva comunitaria, recepita dall’ordinamento britannico circa due anni fa, tutti gli apparecchi elettrici ed elettronici di cui ci si vuole disfare devono essere smaltiti o riciclati in modo tale da non provocare danni ambientali in Gran Bretagna (e in teoria anche in altri paesi): infatti, secondo le leggi ambientali, un computer non funzionante è considerato a tutti gli effetti un rifiuto pericoloso. Ma è proprio vero che il cittadino responsabile che lascia il suo vecchio televisore rotto presso un sito di smaltimento può dormire sonni tranquilli? A quanto dimostra un’inchiesta promossa dal quotidiano The Independent, dal network Sky News e da Greenpeace, sembra proprio di no. Obiettivo dell’inchiesta congiunta delle due testate e dell’associazione ambientalista era capire che cosa succede ad un dispositivo elettronico non funzionante dopo essere stato “smaltito” presso un apposito sito gestito dal comune.

I giornalisti hanno scelto un televisore danneggiato in modo irreversibile, vi hanno nascosto un dispositivo satellitare in grado di segnalare la sua posizione, e lo hanno consegnato presso la discarica di Basingstoke, gestita dallo Hampshire Country Council. In teoria, i dispositivi non funzionanti, in quanto rifiuti pericolosi, dovrebbero essere smaltiti in Gran Bretagna, mentre quelli utilizzabili possono essere legalmente esportati. Un esperto del settore, intervistato da The Independent, spiega quello che, invece, accade veramente: “Gli operatori acquistano interi carichi di materiale dalle discariche dedicate: di solito una buona parte di questi dispositivi dismessi è ancora utilizzabile e quindi dovrebbe essere separato dal resto. Invece tutto il materiale viene classificato indistintamente come funzionante e spedito in Paesi in via di sviluppo, dove gli apparecchi effettivamente funzionanti vengono venduti a 20 sterline al pezzo, mentre il resto viene gettato via senza alcuna cautela, con effetti disastrosi sull’ambiente e sulla salute pubblica”.

Esattamente ciò che è accaduto al televisore della nostra storia, il cui destino è raccontato dalla “spia” satellitare nascosta nel suo involucro: esso, dopo essere passato per le mani di una società londinese di trasporti e riciclaggio materiali (la BJ Electronics) è stato immediatamente girato, nonostante fosse chiaramente non funzionante e quindi non esportabile, ad un’altra società, che lo ha imbarcato sul cargo MV Grande America, carico di tonnellate di materiale simile. Destinazione: Lagos, Nigeria, dove il nostro televisore è stato scaricato e consegnato ad uno dei centinaia di venditori di articoli usati dell’immenso mercato dell’elettronica di Alaba.

Secondo Igwe Chenadu, presidente dell’Associazione dei Tecnici di Alaba, mediamente 250 apparecchi sui 600-700 contenuti in un container non funzionano; 80-90 possono essere riparati, mentre il resto viene gettato via. Il materiale senza speranza di essere recuperato è una piccola ricchezza per i disperati, soprattutto bambini e ragazzi che, inconsapevoli degli enormi rischi per la salute impliciti in questo tipo di operazioni, li trattano in modo da estrarre materie prime da rivendere. Ad esempio, per ricavare il rame dai cavi, questi giovani ne bruciano il rivestimento di plastica: 45 minuti di inalazioni di diossina, e si può ottenere materiale di risulta da vendere per poco meno di un euro. Dentro un tubo catodico si possono trovare due chili e mezzo circa di piombo, che contiene tossine dannose per i reni e per l’apparato riproduttivo; ma anche bario, che attacca lo stomaco e può causare problemi respiratori; il mercurio presente nei circuiti stampati e negli interruttori può provocare danni al cervello e ai reni; alcuni rivestimenti anti-corrosione sono cancerogeni. E così via.

Claire Snow, direttore dell’ Industry Council for Equipment Recycling (ICER), riassume così la situazione: “Con il pretesto del reimpiego, le apparecchiature evidentemente non riciclabili in alcun modo in realtà vengono smaltite nei Paesi in via di sviluppo”; i paesi “sviluppati”, insomma, scaricano sull’Africa le tensioni prodotte dai “problemi” industriali e sociali del loro modello di sviluppo, trasformando le contraddizioni interne che li caratterizzano (evoluzione tecnologica continua e consumismo esasperato) nell’ennesimo, grave, problema di salute pubblica per i bambini africani. Per avere un’idea dei danni che noi tutti stiamo producendo, basta considerare i dati di una ricerca citata da The Independent, in cui si calcola che, nella sola Gran Bretagna, almeno 10.000 tonnellate di televisori scartati e 23.000 tonnellate di computer classificati come rifiuti pericolosi vengono esportati illegalmente in Africa, alimentando un mercato clandestino che vale decine di milioni di euro.

Secondo Martin Hojsik, esperto di materiali tossici di Greenpeace International, “le imprese potrebbero arrestare questo traffico illegale assicurandosi che i loro prodotti siano privi di componenti pericolose. E’ necessario che le imprese e i governi si assumano la piena responsabilità del riciclaggio dei prodotti in condizioni di sicurezza e pongano fine allo sviluppo delle tecno-discariche, che stanno avvelenando migliaia di persone”. Parole utili, ma forse un tantino utopistiche. Perché non ci limitiamo, più semplicemente, a pensare un attimo ai bambini delle discariche di Lagos prima di cambiare, che so, il nostro cellulare, ancora perfettamente funzionante, con un modello più evoluto?