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Lo statuto di Hamas e il nodo del riconoscimento

di Sergio Romano - 23/02/2009

 

Penso che la sua risposta al lettore Ottolenghi manchi di un elemento troppo importante per poter essere trascurato. Lei scrive che quella d'Israele contro Hamas è una guerra doppiamente asimmetrica.
Per ragioni d'arsenale e in secondo luogo perché Israele non riconosce all'organizzazione palestinese lo statuto di combattente legittimo. Io penso che Lei non abbia avuto l'occasione di leggere lo statuto di Hamas.
Sicuramente capirà che riconoscere lo status di un'entità che si prefigge la distruzione totale d'Israele è cosa per lo meno singolare.
Inoltre ho l'impressione che l'asimmetria sia anche basata sul fatto che Hamas è considerata entità terroristica da molte organizzazioni del mondo civile, ad esempio l'Unione europea.
Sami Sisa


Quando una voce come la sua nella risposta che ha dato al lettore Gold, afferma che Hamas è l'organizzazione islamica che governa la striscia di Gaza e omette il fatto che Hamas è anche una organizzazione terroristica il cui fine principale nel proprio statuto è la distruzione dello Stato di Israele, e inoltre definisce Israele la potenza occupante, dimenticando il fatto che sia nel 1948 che nel 1967 Israele è stata attaccata dai Paesi arabi confinanti che intendevano «buttarla a mare», compie il gioco di quegli estremisti che fomentano le folle islamiche nelle piazze italiane e che bruciano la bandiera di Israele. Piuttosto che continuare a chiedersi le ragioni di questi tragici avvenimenti non sarebbe più giusto proporre delle soluzioni per due Stati e due popoli nel pieno diritto democratico di entrambi?
Uri Ben Yehuda


Cari lettori,
Conosco lo Statuto di Hamas e so che l'organizzazione è stata inserita dall'Unione europea nella lista delle organizzazioni terroristiche. Cercherò di spiegare perché questi due fattori non mi sembrino giustificare la tesi israeliana secondo cui ogni trattativa con i dirigenti palestinesi di Gaza è impossibile. Cercherò di farlo con alcune considerazioni.
In primo luogo Israele non ha bisogno del riconoscimento di Hamas. La migliore risposta all'organizzazione palestinese è quella che noi diamo ogni giorno quando riceviamo gli ambasciatori dello Stato ebraico, parliamo con i suoi ministri, compriamo le sue merci, vendiamo i nostri prodotti ai suoi importatori, sosteniamo o critichiamo la sua politica estera. Il problema dell'esistenza di Israele non è all'ordine del giorno della politica internazionale e le grida di Hamas o Ahmadinejad sono del tutto irrilevanti.
In secondo luogo non credo che il diniego di riconoscimento possa essere trattato alla stregua di una scandalosa aberrazione morale. È una posizione politica diretta a conseguire un obiettivo. Molti Stati, dopo la rivoluzione bolscevica, rifiutarono di riconoscere la Russia sovietica per parecchi anni: sei nel caso del-l'Italia e della Gran Bretagna, quindici nel caso degli Stati Uniti. Lo stesso accadde per la Repubblica popolare cinese che l'Italia riconobbe nell'ottobre del 1970 e gli Stati Uniti (di fatto, ma non ancora di diritto) con la visita di Nixon a Pechino nel 1972. Anche il Regno d'Italia visse per qualche anno nel limbo dei Paesi solo parzialmente riconosciuti. Lo scopo del non-riconoscimento è generalmente quello di rendere la vita difficile al «reprobo » e di favorire per quanto possibile un cambiamento di regime. Nell'Europa delle nazionalità i Paesi cattolici o conservatori sperarono per alcuni anni che l'Italia unita fosse una creazione effimera, destinata a crollare su se stessa. Nel caso di Hamas invece il non-riconoscimento è il grido di guerra con cui l'organizzazione recluta i suoi fedeli, cementa i suoi quadri, dà alla sua politica una forte connotazione missionaria. Anche Al Fatah, fino agli anni Ottanta, adottò la stessa linea. Cominciò a cambiarla quando la Comunità europea, con la dichiarazione di Venezia del 1980, la incoraggiò a entrare nel circuito dei rapporti politici e diplomatici.
In terzo luogo la tesi israeliana — «è impossibile parlare con Hamas» — è molto più formale che sostanziale. I negoziati condotti al Cairo dal capo dei Servizi egiziani ricordano quelli per i Trattati di Westfalia (1648) quando il nunzio apostolico Fabio Chigi prese alloggio in una città diversa da quella in cui alloggiavano i rappresentanti delle potenze protestanti. Non è vero che Israele e Hamas si ignorino. Parlano e negoziano per il tramite degli egiziani. Prima o dopo si accorgeranno che è meglio non avere intermediari.
Vengo al quarto punto: l'inclusione di Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche. Queste liste sono documenti burocratici e diplomatici redatti da Paesi che negoziano, contrattano, si scambiano favori o danno una cosa per ottenerne un'altra. Hanno punito Hamas quando l'opinione prevalente pensava che occorresse favorire l'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) di Abu Mazen e aiutarlo ad assumere la rappresentanza dell'intero popolo palestinese. Potrebbero depennarla dalla lista il giorno in cui constatassero che è necessaria al processo di pace.