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Gaza: il nuovo meccanismo dell’assedio

di Nicola Nasser - 25/02/2009

 

La ricostruzione di Gaza è divenuta l’ultima arma dell’assedio. L’occupazione israeliana, gli Stati Uniti che ne hanno appoggiato l’offensiva, e l’Unione Europea che non ha fatto nulla per fermarla, stanno facendo in modo di trasformare il processo di ricostruzione in un mezzo per produrre un "partner di pace" adeguato, mentre il vertice arabo, riunitosi in Kuwait, spera di usare la ricostruzione per determinare la "riconciliazione" palestinese. Nel frattempo, il governo dell’Autorità Palestinese sta esortando tutte le parti in causa a guardare ad esso come all’unico canale per amministrare il processo di ricostruzione, sulla base del fatto che esso è il governo formato dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che è riconosciuta come l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese. Presto vedremo che congelare la ricostruzione diventerà il mezzo di tutti questi protagonisti per strappare alla resistenza quello che essi non sono stati in grado di ottenere dalle tre settimane di guerra e dal lungo assedio che le ha precedute.

Israele, la potenza occupante, è determinata a mantenere uno stretto controllo sul processo di ricostruzione, ragion per cui ha confermato la chiusura dei valichi di confine dopo il suo cessate il fuoco "unilaterale". In effetti, è questo il motivo per cui lo stato ebraico ha dichiarato un cessate il fuoco in maniera unilaterale: non vuole essere legato da nessun accordo – l’iniziativa egiziana o un altro tipo di intesa – che lo obblighi a togliere l’embargo, anche parzialmente, per facilitare la ricostruzione. Tel Aviv ha anche cercato di ottenere "garanzie" dalle agenzie internazionali come l’UNRWA. Il 19 gennaio, la Reuters ha riferito che alcuni diplomatici occidentali avevano rivelato che Israele aveva chiesto all’ONU e ad altre agenzie di presentare liste dettagliate dei beni, dell’equipaggiamento e del personale che intendono inviare a Gaza, sia per operazioni di soccorso urgente sia per il processo di ricostruzione più a lungo termine. Secondo queste fonti, Israele intende mantenere una stretta supervisione su queste operazioni insistendo affinché le varie agenzie ottengano la sua previa approvazione per ogni progetto. Una delle condizioni per questa approvazione è che il progetto non vada a beneficio di Hamas o del suo governo a Gaza. Il primo ministro Ehud Olmert ha nominato il ministro degli affari sociali Isaac Herzog  come coordinatore dell’iniziativa di ricostruzione di Gaza.

Gli Stati Uniti non solo appoggiano pienamente Israele su questo; sono anche aperti alla possibilità di usare il processo di ricostruzione per aiutare l’Autorità Palestinese a riaffermare la propria autorità e la propria influenza a Gaza. L’UE è ugualmente schietta nella sua approvazione. Il Commissario per le relazioni esterne dell’UE, Benita Ferrero-Waldner, ha chiarito che l’UE non contribuirà alla ricostruzione a meno che Gaza non produrrà un valido partner di pace, e che non darà aiuti ad un governo guidato da Hamas. La Reuters ha riferito che un diplomatico europeo di alto livello ha affermato che questa è "una ricetta per il fallimento". "Siamo realistici. Se l’ANP deve essere responsabile, la sua leadership e le sue istituzioni devono esistere nella realtà. Allo stato attuale niente di tutto questo esiste", ha detto.

E’ lampante che per Tel Aviv, Washington e Bruxelles l’affermazione dell’autorità dell’ANP sulla Striscia di Gaza è la ragione più ovvia per tenere la ricostruzione sospesa come una spada di Damocle su Gaza; per la potenza occupante questa condizione è la sua maggior "garanzia" per continuare a tenere in pugno quella spada. Ora il timore è che Israele e le potenze internazionali che hanno aiutato lo stato ebraico a perpetuare l’occupazione a partire dal 1967 useranno una "facciata" palestinese puntellata dal sostegno dei regimi arabi per mettere in scena a Gaza una replica dell’esperienza irachena seguita alla guerra del 1991, quando la ricostruzione e lo sviluppo furono continuamente rimandati al fine di indebolire ulteriormente il paese in preparazione del rovesciamento del regime attraverso l’invasione che ebbe luogo nel 2003. Potrebbe essere (o non essere) una semplice coincidenza il fatto che l’invasione israeliana di Gaza sia terminata quasi nella stessa data in cui la guerra contro l’Iraq ebbe inizio 18 anni fa. Né è di buon augurio, per gli esiti di uno scenario da "cambiamento di regime" a Gaza, il fatto che le infrastrutture dell’Iraq di oggi, sei anni dopo che fu rovesciato il regime di Saddam, siano in uno stato peggiore di prima.

Il tentativo di pianificare un simile scenario traspare dall’appello fatto dal presidente dell’ANP Mahmoud Abbas al vertice arabo di fine gennaio per incanalare il processo di ricostruzione verso l’ANP e le sue istituzioni, un appello a cui ha fatto eco il presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick, il quale si è incontrato con Abbas a margine del vertice in Kuwait. Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon ed altri leader occidentali hanno proposto di creare una commissione internazionale provvisoria per sorvegliare il finanziamento e l’organizzazione degli sforzi di ricostruzione. Tuttavia, Abbas ed i suoi sostenitori hanno rifiutato un meccanismo del genere sulla base del fatto che "esso presume che la separazione fra Gaza e la Cisgiordania continuerà", come ha affermato il primo ministro ad interim dell’ANP Salam Fayyad, il quale ha aggiunto che i donatori internazionali che sono desiderosi di ricostruire Gaza "rischieranno di aggravare le divisioni palestinesi, se ignoreranno il ruolo dell’ANP".

La posizione dell’ANP, se dovesse essere adottata, condannerebbe le promesse arabe fatte in Kuwait – così come qualsiasi altra promessa fatta in qualsiasi conferenza internazionale sulla ricostruzione di Gaza organizzata dall’Egitto, dall’ANP o dalla presidenza dell’UE – a rimanere in sospeso fino a quando un "adeguato partner di pace" non si assicurerà una salda presenza a Gaza.

Sebbene i partecipanti al vertice del Kuwait abbiano sottolineato la necessità di ricostruire Gaza in linea di principio, essi non sono riusciti a raggiungere un accordo sul meccanismo. Le divergenze fra alcuni leader hanno bloccato la proposta di creare un fondo per la ricostruzione, ed il massimo su cui i partecipanti sono riusciti ad accordarsi è stato l’intesa di rendere la ricostruzione condizionata ad una riconciliazione palestinese, un compito che essi hanno demandato ai ministri degli esteri arabi, senza fissare una data o un luogo per un incontro ministeriale a questo proposito, lasciandoci con l’interrogativo su come e quando i ministri arabi riusciranno laddove i loro capi di stato hanno fallito.

Senza dubbio questo rinvio ottenuto tramite l’espediente della "delega" rende carta straccia la promessa di ricostruire Gaza, e probabilmente la consegnerà allo stesso oblio a cui sono state destinate tante altre risoluzioni dei vertici arabi. Una di queste risoluzioni dimenticate fu quella adottata dal vertice arabo di emergenza tenutosi al Cairo nell’ottobre del 2000, che invitava alla creazione di un "Al-Aqsa and Jerusalem Fund" con l’obiettivo di ricostruire le infrastrutture palestinesi, soprattutto nel settore sanitario, e in quelli dell’istruzione, dell’agricoltura e degli alloggi. Apparentemente, i leader arabi in Kuwait non hanno voluto ricordare che quella risoluzione non limitava la distribuzione dei fondi al canale dell’ANP, ma prevedeva anche altri canali come l’UNRWA, la Mezzaluna Rossa egiziana e quella qatariota, l’Organizzazione Filantropica Reale giordana, l’Arab Gulf Programme dell’ONU ed altre agenzie umanitarie regionali ed internazionali. Forse costoro non hanno voluto ricordare a nessuno che, quando quella risoluzione fu approvata, non c’era nessun "problema Hamas", dietro il quale oggi si nascondono coloro che non vogliono realmente ricostruire i territori occupati, né a Gaza né in Cisgiordania.

La ragione che sta dietro la mancata adozione dell’ "Al-Aqsa and Jerusalem Fund", da parte del vertice in Kuwait, come meccanismo per la ricostruzione di Gaza è che l’urgente missione umanitaria è stata politicizzata mentre, invece, sarebbe dovuta rimanere al di sopra della rissa politica fra palestinesi, arabi, potenze internazionali, e tutti quegli altri attori la cui voce è sufficientemente forte da coprire gli appelli dei bisognosi. Non c’è nulla da dibattere a proposito dei soccorsi umanitari. L’offensiva israeliana ha distrutto tutte le infrastrutture civili del governo di Gaza in base all’assunto secondo cui esse servivano come basi per Hamas, mentre in realtà si trattava di strutture dell’ANP pagate dai contribuenti dei paesi donatori. Interi quartieri residenziali sono stati rasi al suolo, 4.000 case sono state distrutte, e 16.000 sono state gravemente danneggiate. Vi sono attualmente circa 100.000 civili che hanno urgente bisogno di un ricovero, i quali sono provvisoriamente alloggiati in circa 12 rifugi aperti dall’UNRWA all’interno di scuole che furono anch’esse prese di mira dalle armi israeliane, e che di conseguenza hanno bisogno esse stesse di essere riparate. Inoltre, i terreni agricoli distrutti dai bombardamenti devono essere bonificati, circa mezzo milione di palestinesi deve essere rifornito di acqua potabile, per un numero quasi analogo di palestinesi l’elettricità deve essere ripristinata, e circa l’80% degli abitanti di Gaza ha urgente bisogno di aiuti alimentari (si tratta di stime dell’ONU). Ogni argomento politico per rinviare aiuti così urgenti è moralmente oltraggioso.

La lista israeliana di "materiali proibiti" anche prima di questa offensiva include ferro, acciaio e cemento, che sono ora assolutamente vitali per la ricostruzione. Il Commissario ONU per gli Affari Umanitari John Holmes ha sottolineato questa verità lapalissiana in un’affermazione fatta lo scorso martedì, dichiarando che, se Israele rifiuta di fa entrare a Gaza materiali da costruzione, la ricostruzione non potrà avere inizio.

E’ ugualmente ovvio che adottare l’ANP come unico canale per finanziare la ricostruzione equivale a permettere effettivamente alla potenza occupante, che ha distrutto Gaza, di supervisionare la ricostruzione. E’ praticamente impossibile aspettarsi che l’ANP, sempre pronta a rispondere alle richieste e agli ordini di Israele, riesca ad amministrare in maniera indipendente ed efficace la ricostruzione attraverso un controllo a distanza da Ramallah, per non parlare della possibilità di rifinanziare progetti senza la previa approvazione di Israele. Ricordiamo che lo stesso Mahmoud Abbas addusse la difficoltà di ottenere un permesso israeliano per l’espatrio a breve scadenza come scusa per non prendere parte al vertice di Doha su Gaza, secondo quanto ha affermato il primo ministro qatariota Sheikh Hamed Ben Jasem Al Thani. Inoltre, solo due mesi fa, il governo di Abbas a Ramallah non poté pagare i salari a circa 70.000 impiegati governativi dell’ANP, che si ritiene siano pagati per stare a casa a causa delle divisioni inter-palestinesi. Se, come il primo ministro Fayyad ripete ad ogni occasione, l’ANP non è in grado di versare a Gaza gli stanziamenti di bilancio, che equivalgono a circa metà del suo bilancio complessivo, come si può ritenere che quel governo sia in grado di distribuire i fondi che sono – o che saranno – promessi per la ricostruzione?

Il Kuwait, per una volta, ha agito correttamente quando, invece di aspettare il vertice arabo per giungere ad un accordo, ha donato 34 milioni di dollari direttamente all’UNRWA. Analogamente, la Norvegia ha donato 20 milioni di corone norvegesi a organizzazioni in grado di raggiungere direttamente i civili a Gaza, come la Croce Rossa Internazionale. Nobili esempi di questo genere confermano l’esistenza di canali seri ed affidabili per andare incontro a urgenti necessità umanitarie. Tutto questo non dovrebbe diventare ostaggio della richiesta dell’arrivo di un "partner di pace" palestinese a Gaza, contrariamente all’insistenza del ministro degli esteri dell’ANP Riyad al-Maliki in Kuwait secondo cui ogni cosa deve essere coordinata con l’ANP, "in tutti i campi", prima di dare inizio agli aiuti ed al processo di ricostruzione. Se questa richiesta verrà accettata, nulla potrebbe essere più certo del fatto di assoggettare il processo di ricostruzione ai capricci della potenza occupante, trasformandolo in un altro mezzo per assediare Gaza al fine di metterla in ginocchio.

* è un giornalista arabo residente a Bir Zeit, in Cisgiordania