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Crisi: il subdolo ottimismo

di Paolo De Gregorio - 25/02/2009



Avvantaggiato dal fatto di non essere un economista, e quindi non uno di
coloro totalmente incapaci di prevedere la grande crisi che stiamo vivendo,
vorrei offrire alla discussione qualche mia riflessione.
Da quello che vedo, sento, o leggo e capisco, la grande crisi può essere
affrontata in due modi:
-un modo è quello, diciamo conservatore, che non mette in discussione nulla.
Cerca di avere soldi statali per continuare nelle stesse logiche ed
impostazioni che hanno generato la crisi, che viene giudicata un incidente di
percorso e non il fallimento del ciclo capitalista che non ha più nessuna
credibilità e fiducia nel cuore del suo potere che sono appunto le banche.
Non è superfluo continuare a ricordare che all’origine della crisi vi sono
mostruose truffe pensate ed attuate da istituti che hanno deliberatamente
ingannato i loro clienti, e questo fatto è irrimediabile, perché la fiducia, e
questo avviene anche tra le persone sposate o tra gli amici, quando viene
tradita non si ristabilisce più, e allora sono dolori.
Non dobbiamo nemmeno dimenticare che la cornice in cui si è sviluppata la
crisi è quella della globalizzazione e della forte interdipendenza finanziaria
e commerciale fra la maggior parte dei paesi del globo, che incominciano a
vedere i lati fortemente negativi del fenomeno e molti pensano al protezionismo
o a rimodulare la loro economia verso i consumi interni.
L’esempio più chiaro della fragilità dei paesi più esposti alla
globalizzazione ci viene da un paese con il PIL in attivo, la Cina, che ha
strutturato una importante fetta della sua capacità produttiva per soddisfare
il mercato americano, e, se la capacità di spesa e di consumo dei cittadini
americani continuerà a diminuire, la Cina si troverà con milioni di disoccupati
e problemi sociali gravissimi.
L’altro immenso problema, di cui ancora pochi vogliono tener conto, e
parliamo sempre della Cina, e che questo enorme sviluppo è stato ottenuto con
dei prezzi ambientali devastanti, con la maggior parte della energia prodotta
dalla combustione del carbone, fattore che ha accelerato la seconda più grave
crisi, dopo quella finanziaria, che è quella del riscaldamento globale.
-L’unica via di uscita dal disastro finanziario ed ambientale della
globalizzazione, e siamo alla seconda ipotesi, è buttare al cesso gli ottimismi
di facciata, riconoscere il fallimento della globalizzazione, nazionalizzare le
banche in fallimento e progettare, in ogni nazione, uno sviluppo nuovo,
moderno, ecologico, che metta in evidenza, a carattere cubitali, la necessità
di uno sviluppo SOSTENIBILE,  fondato su basi  economiche solidissime, che sono
il controllo delle banche e il taglio delle spese militari, per ristrutturare l’
economia in due settori fondamentali, quello energetico e quello della
agricoltura, per ottenere in pochi anni l’autosufficienza energetica con le
rinnovabili, e l’autosufficienza alimentare con una agricoltura ristrutturata
(tutta biologica) per soddisfare i consumi interni, legata al territorio e a km
zero.
E’ un percorso possibile, che ha al suo interno delle felici conseguenze, una
di queste sarebbe il progressivo disinteresse a controllare il petrolio
mondiale, e quindi una prospettiva di pace, l’altra, implicita nella fine dell’
economia globale, la scomparsa dei flussi migratori sostituiti dalla ricerca
della sostenibilità in ogni nazione tra il proprio territorio e le proprie
risorse e il numero di bocche da sfamare e fermare così responsabilmente la
devastante sovrappopolazione.
Da una crisi strutturale mondiale non si esce con l’ottimismo di facciata né
percorrendo le stesse strade che l’hanno causata.
Se solo si tenesse conto delle valutazioni serie, scientifiche, degli
studiosi che ci parlano di emergenze ambientali da affrontare immediatamente, e
non delle vuote e false parole di politicanti ignoranti, asserviti alle lobby
economiche, il percorso da fare apparirebbe logico, innovativo, indispensabile,
civile, democratico.
Assurde appaiono le decisioni del governo italiano di cantierare l’alta
velocità Torino-Lione, di pensare al Ponte sullo stretto di Messina, di pensare
al nucleare con l’uranio in esaurimento e comunque dipendente da miniere
lontane, scelte che appaiono di continuità con la globalizzazione, mentre
vediamo già nei porti accumularsi piramidi di container abbandonati e intere
navi messe in disarmo, con l’equipaggio a bordo, per rinuncia all’acquisto
delle merci trasportate. Cifre colossali che si riveleranno sprecate per
sostenere uno sviluppo sbagliato, distruttivo e fallito.