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Rinviati a giudizio i dirigenti della Solvay di Ferrara

di Girolamo De Michele - 03/03/2009

cipro_mazzoni.jpg

«A sentire la difesa sembra che il tumore ci sia capitato per caso. Raschiavamo a mani nude il cvm. Quando c’era una perdita, essendo il gas incolore, dovevamo andare a scovarla con il naso per indovinare da dove proveniva. E oggi devo svolgere ogni tre mesi dei controlli e sottopormi a cure continue». A parlare così è Michele Mantoan [nella foto, assieme a Cosetta Vincenzi, moglie di Cipro Mazzoni], uno dei due ex pulitori delle autoclavi della Solvay che hanno ottenuto il rinvio a giudizio dei dirigenti della Solvay. L’altro operaio, Cipro Mazzoni, era assente alla lettura della decisione del Gup: «È dovuto rimanere a letto – ha detto la moglie –, soffre per i postumi dell’ultima operazione e da quando ha ripreso la chemioterapia al fegato è molto provato».

«Vorrei che ci fosse lui qui – dice la moglie con gli occhi lucidi - a ricordare che quando tornava a casa non poteva baciare le sue bambine perché era ricoperto di cvm; che a volte mi riportava a casa il pasto ancora chiuso dentro la gavetta perché c’era tanta nebbia che non riusciva a vedere cosa mangiava; che gli si gelava il sangue nelle vene quando dopo che lavavo i suoi vestiti rimaneva tutta quella polvere bianca».

lavoratori_sospesi.jpgDunque, il processo alla Solvay si farà. È una vittoria per i 67 lavoratori che avevano intentato l’azione legale, assistiti dall’avvocato di Legambiente David Zanforlini: la posizione di 65 di loro era stata stralciata per decorrenza dei termini, ma non quella di Mazzoni e Mantoan. La posta in gioco è altissima: per la prima volta c’è la concreta possibilità di dimostrare la correlazione tra il carcinoma epatico che ha colpito i due pulitori delle autoclavi e le polveri di CVM (cloruro di vinile monomero). E per la prima volta c’è la concreta possibilità di una sentenza di condanna nei confronti della Solvay, che costituirebbe un precedente in Italia (dove il gruppo industriale belga ha ancora un impianto, a Rosignano (LI) e nel mondo.

Narrare la storia della Solvay, e del CVM, impiegato per la produzione di cloruro di polivinile (PVC), significa raccontare una delle tante stragi di operai che hanno contrassegnato lo sviluppo industriale in Italia. La strage di Ferrara ha percentuali agghiaccianti: un operaio su 4 - più di 100 su una coorte di 418 - è finora morto per tumori - angiosarcomi, tumori apatocellulari, carcinomi epatici e dell'apparato respiratorio - che sono con tutta probabilità riconducibili al materiale lavorato, e alle condizioni in cui gli addetti alla manutenzione e alla pulizia erano costretti a lavorare. Sono cifre, dal punto di vista statistico, ben più alte di quelle del petrolchimico di Marghera: ed è proprio dall’inchiesta del giudice Casson che ha preso le mosse l’azione legale che ha portato, dopo 8 lunghi anni – una lentezza in apparenza inspiegabile – al rinvio.

Che il CVM avesse, con tutta probabilità, effetti letali per l’organismo era un fatto noto. Sin dagli anni Cinquanta in Russia, e dagli anni Sessanta negli Stati Uniti, ricerche erano andate in questa direzione. L’industria statunitense aveva risposto nascondendo le informazioni mediche di cui erano in possesso [qui]. In Italia le ricerche di Pier Luigi Viola, medico della Solvay di Rosignano, e Cesare Maltoni, oncologo bolognese, producono evidenze sin dalla metà degli anni Sessanta [qui]. Evidenze ignorate anche da chi non poteva non sapere. Evidenze nascoste agli operai.

Il 3 dicembre 2006, in una drammatica assemblea, gli operai sopravvissuti hanno raccontato cosa significava pulire le autoclavi alla Solvay.
«I manutentori uscivano completamente ricoperti di uno strato come di borotalco, che si infiltrava ovunque».
«Ci davano da lavare le tute di lavoro a casa, poi a un certo punto ci dissero che quel materiale non doveva più uscire dall’azienda».
«Mio marito, già operato di cancro, chiese di cambiare reparto. Gli dissero che se avesse chiesto il trasferimento nostro figlio non sarebbe stato assunto. Lui rimase al suo posto e dopo dieci anni è morto rabbioso».
«Grattavamo via il cvm dai contenitori di trasformazioni del pvc senza guanti e senza maschera».
«Rimasi terrorizzata quando vidi le analisi del sangue di mio marito: aveva percentuali di piombo e trigliceridi altissime».
«Quando c’era una perdita dovevamo andare a individuarla col naso».
«Sto ancora aspettando l’esame oncologico di mio padre, lui non lo vedrà».
Il resoconto integrale è
qui.

facciadi.jpgQueste voci sono diventate parte integrante della mia novella Con la faccia di cera: una sorta di basso continuo, di rap proletario che sottende la trama. A chi sostiene la morte della funzione sociale del romanzo vorrei poter fare ascoltare le voci degli ex operai che mi hanno contattato dopo aver saputo di questo libro. Il compito che Walter Benjamin assegnava ai narratori di storie (con buona pace di chi crede che il critico berlinese intendesse fondare nuove metafisiche, o riviste per collezionisti di anticaglie) era nulla di meno che resuscitare la memoria degli oppressi che, dopo la loro morte, sono minacciati dall’oblio.
Di questo qui si tratta: di dare alle stirpi condannate a cent'anni di solitudine
una seconda opportunità sulla terra.

Ma non solo. Mentre il Gup rinviava a giudizio i dirigenti Solvay, una nuova puntata della strage infinita rischia di andare in onda. Alla vigilia dell’inaugurazione di un asilo, in via del Salice, è stata denunciata da un’inchiesta di Rai 24 [qui] la presenza, nel terreno sottostante l’edificio, di un’antica discarica. Nella discarica, c’è, si sospetta, del CVM, proveniente, con tutta probabilità, dal vecchio stabilimento Solvay. C’è, afferma il direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica di Ferrara, la «possibilità concreta di esposizione dei piccoli frequentatori dell’area a sostanze cancerogene presenti nella falda sottostante», in particolare benzene e CVM.
Di fronte a questa lettera
il commento del sindaco di Ferrara Gaetano Sateriale, già dirigente del sindacato chimici della CGIL, è stato: «Vorremmo condividere questo criterio, ma non possiamo. [Significherebbe] dover considerare ben pochi luoghi come frequentabili, poiché per esempio, tracce di benzene sono molto comuni e diffuse in ambienti pubblici e domestici, però tollerate se inferiori ai limiti previsti dalla legge. Seguendo questa traccia dovremmo evacuare l’intero quartiere”». E ancora, per maggiore chiarezza [fonte: La Nuova Ferrara, 18.02.2009, p. 15]: «Se è vero che non si possono esporre i bambini nemmeno a un milligrammo di benzene o CVM, allora “cosa dobbiamo fare di altri asili del territorio dove c’è più benzene che in via del Salice?”». Dichiarazioni che avranno fatto rivoltare nella tomba il povero Florestano Vancini, del quale il sindaco è indegno nipote, ma saranno forse piaciute al di lui illustre genero Sergio Romano.
Già: cosa fare? Il 28 gennaio 2002 un’interrogazione parlamentare di due deputati dell’opposizione, basata sul rapporto di Legambiente Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale [cicca
qui per scaricarlo in pdf] conteneva già la risposta che il sindaco di Ferrara non sa darsi.
Chiedevano i due interroganti:
«Se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al "Superfund", consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un "fund trust", ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente [
sic!] le aree di Ravenna e Ferrara, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale».

Firmatario dell’interrogazione, assieme ad Ermete Realacci, il deputato ferrarese Dario Franceschini: che dunque doveva sapere di cosa parlava, nel chiedere per la propria città misure analoghe allo stato di calamità.
Ma erano i tempi in cui il “centro-sinistra” gli inceneritori li chiamava inceneritori, e non “
termovalorizzatori”.
E i morti sul lavoro erano ancora omicidi bianchi, e non “morti bianche”.
E i responsabili potevano ancora essere nominati per quello che sono: "
assassini".