Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Soldi cinesi contro diritti umani

Soldi cinesi contro diritti umani

di Sergio Romano - 03/03/2009

Il primo discorso di Obama al Congresso

Quando ancora pensava alla Casa Bianca, Hillary Clinton dichiarò che George W. Bush avrebbe dovuto boicottare la cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici per protestare contro la repressione tibetana e la politica cinese in materia di diritti umani. Nei giorni scorsi, a Pechino, il segretario di Stato Clinton ha detto che la questione dei diritti umani non deve turbare le relazioni fra i due paesi. Gli Stati Uniti continueranno a parlarne, ma nell’atmosfera discreta dei colloqui confidenziali. Fra queste due opposte posizioni esistono un fatto e alcune cifre. Il fatto è la grande crisi finanziaria che ha colpito gli Usa nell’autunno dell’anno scorso. Le cifre sono quelle che riassumono lo stato dei rapporti economico-finanziari fra i due paesi.
Le riserve valutarie cinesi ammonterebbero, secondo calcoli ufficiosi, a 2.300 miliardi di dollari, di cui 1.700 investiti in beni patrimoniali denominati nella valuta americana. Ancora più interessanti sono le cifre relative ai buoni del tesoro americani custoditi nelle casseforti delle maggiori istituzioni finanziarie cinesi e della banca centrale di Pechino. Il totale ammonta a 700 miliardi di dollari e rappresenta grosso modo un quarto di quella parte del debito americano che è nelle mani di creditori stranieri.
La Cina e gli Stati Uniti si sono legati negli ultimi due decenni con un matrimonio di reciproca convenienza. La Cina ha venduto sul mercato americano gran parte della sua produzione, ma ha investito i dollari ricavati dalle esportazioni in cartelle del debito americano. Il patto ha nuociuto all’industria leggera degli Stati Uniti, ma ha presentato per l’insieme del paese due vantaggi: prodotti a basso prezzo per il mercato interno e finanziamenti cinesi per il debito americano.
Questo incestuoso rapporto con la Cina ha permesso agli americani di vivere per molti anni al di sopra dei loro mezzi. Che cosa accadrà dopo la bolla immobiliare, la crisi del credito e il crollo dei consumi? I favolosi incentivi economici predisposti dalla presidenza Obama obbligheranno gli Stati Uniti a nuove emissioni di cartelle del debito. Potranno i cinesi continuare a comprarle? O non saranno piuttosto indotti a liquidare progressivamente quelle di cui sono proprietari? La Cina è prigioniera di un dilemma. Se vende, contribuisce al deprezzamento dei bond e alla svalutazione del dollaro, vale a dire alla distruzione del proprio patrimonio. Se continua a comprare, sia pure nella misura consentita dalle sue diminuite disponibilità, fa una incerta scommessa sul futuro dell’economia degli Stati Uniti.
Il dilemma cinese spiega il viaggio di Hillary Clinton a Pechino e le sue dichiarazioni sui diritti umani. Nel corso dei colloqui il segretario di Stato ha certamente parlato di Corea del Nord, Iran e riduzione delle emissioni nocive: tre questioni che preoccupano Washington e richiedono la cooperazione della Cina. Ma anche, e soprattutto, ha ricordato ai cinesi che i termini del contratto matrimoniale non sono cambiati.
La Cina ha bisogno del mercato americano e gli Stati Uniti hanno bisogno del denaro cinese. Ha aggiunto: «Siamo destinati a crescere o a cadere insieme. Siamo nella stessa barca e, per fortuna, stiamo remando nella stessa direzione». E ha dato sostanza a queste affermazioni offrendo a Pechino un partenariato politico, comparabile a quello che gli Stati Uniti hanno avuto per molti anni con il Giappone. Il sorriso che queste parole hanno acceso sul volto dei suoi interlocutori è, come tutti i sorrisi cinesi, difficilmente decifrabile.