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Liberismo asimmetrico

di Emiliano Brancaccio - 04/03/2009

 
 
Per anni hanno provato a convincerci della superiore efficienza dei prezzi capitalistici, e in particolare di quelli determinati dagli scambi che avvengono in Borsa e negli altri mercati finanziari. Le aziende licenziavano, i valori azionari salivano, e ci dicevano che bisognava festeggiare. Le banche abbandonavano il territorio, toglievano risorse alle attività produttive per impiegarle nella finanza creativa, le azioni schizzavano in alto e ci esortavano ad esultare. Si imponeva agli istituti di credito, alle aziende e persino agli enti pubblici di scrivere la contabilità in base ai valori di mercato, qualcuno si permetteva di segnalare la pericolosità della procedura, e gli si dava del menagramo. I lavoratori venivano sollecitati ad abbandonare la previdenza pubblica e a investire i risparmi in borsa, alcuni di essi temendo la fregatura si tiravano indietro, e li si definiva ottusi e codardi.

Insomma, fino a ieri chi non partecipava al baccanale borsistico veniva etichettato come un cavernicolo privo di senno e di slancio vitale. Ma oggi che le borse crollano e i prezzi delle azioni sprofondano verso lo zero? Ebbene, oggi senza tanto scomporsi ci dicono che i prezzi capitalistici non sono poi così perfetti come si pensava. Esaminiamo in dettaglio questa ardimentosa giravolta ideologica. Come è noto, ogni giorno che passa i proprietari del capitale finanziario e industriale appaiono sempre più disposti ad accogliere lo stato a pieno titolo nelle assemblee degli azionisti. Essi però aggiungono una clausola decisiva: lo stato dovrà acquistare le azioni non agli attuali miserevoli prezzi di mercato, ma ai prezzi ancor pasciuti che vigevano prima della bancarotta di Lehman Brothers. Ossia prima che i valori di borsa e la crisi economica precipitassero.

A una simile proposta aderiscono molti influenti commentatori delle vicende economiche mondiali, da Ricardo Caballero sul Washington Post a Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera . Essi in pratica suggeriscono che lo stato compri a valori ben superiori a quelli attuali di mercato, assolva all'ingrato compito di fermare il terremoto in atto, e non appena calmate le acque rivenda ai privati le medesime quote, senza badare troppo alle ingenti perdite che graverebbero sul bilancio pubblico. Viene a questo punto naturale chiedersi: ma come ci si può illudere di convincere il mondo della correttezza di una trovata così arrogante e maldestra? Come si fa a sostenere questo espediente, che rappresenta l'ennesimo tentativo del capitale privato di tirarsi fuori dai guai dopo avere appiccato il gigantesco incendio che ogni giorno brucia decine di migliaia di posti di lavoro?

Con quale coraggio si pretende di tagliare in due di netto gli andamenti di borsa, mettendo i picchi azionari nelle tasche del capitale privato e le cadute dei listini a carico dello stato, dei contribuenti e quindi principalmente dei lavoratori?

Un discorso non troppo dissimile vale per i nostrani Tremonti bonds , cioè i finanziamenti che il governo italiano si appresta a erogare alle banche che li chiederanno. I commentatori più sensibili alla stabilità degli attuali assetti del capitale hanno lamentato il fatto che i tassi d'interesse imposti dal governo sono troppo alti, e che molte banche non potranno accettare condizioni di prestito così restrittive. La realtà però è ben diversa: se dovessimo attenerci all'attuale valore di mercato dei patrimoni, le banche italiane sarebbero già tecnicamente fallite, al pari della maggior parte degli istituti americani ed europei. Stando dunque al mercato non ci sarebbe tasso d'interesse che tenga: il governo non potrebbe prestare nemmeno un quattrino, e dovrebbe quindi procedere immediatamente alla nazionalizzazione.

La verità è che il liberismo asimmetrico che stanno cercando di propinarci in questi giorni fa acqua da tutte le parti. Non si può pensare di adorare il prezzo capitalistico quando vola in alto e di rinnegarlo quando piomba a terra. Se dunque i valori di borsa crollano, e se gli attivi delle banche precipitano, tanto meglio. Vorrà dire che la sostituzione del capitale privato con capitale pubblico sarà più repentina e un po' meno iniqua di quanto le lobbies finanziarie ancora sperino.