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Alejandro Jodorowsky, l’arte come terapia

di Michele Orti Manara - 05/03/2009

Fonte: wumagazine

 
 
Regista, scrittore, sceneggiatore per fumetti, cinema e teatro. Difficile trovare un ambito artistico che Alejandro Jodorowsky non abbia saputo esplorare e reinterpretare. Lo abbiamo incontrato in occasione della prima de “Il gorilla” nell’ambito del Fenice Festival di Poggibonsi. Tra critiche al cinema (e alla politica) made in USA ed eccentrici progetti, ecco quel che l’artista cileno ci ha raccontato.

Cosa l’ha portata al Fenice Festival di Poggibonsi?
Il Festival mi ha proposto di portare in scena una mia opera teatrale, dandomi piena libertà creativa. Ho quindi scelto mio figlio Brontis come attore, ed è stato un grande piacere per me venire qui.

E ha scelto di rappresentare “Il gorilla”…
Sì, per “Il gorilla” sono partito da un racconto di Kafka, “Relazione per un'Accademia”. È la storia di un gorilla che diventa uomo. È una vittima che soffre e infine fallisce. Kafka era nevrotico, e il mio è uno spettacolo terapeutico. Mi ha dato la possibilità di uscire dalla malattia e fare in modo che il gorilla si ribelli e sviluppi la sua coscienza. La stessa cosa che è successa a me. Sono nato con molta poca coscienza, in un mondo di commercianti circondato dal deserto, e poco a poco ho scalato il mondo e la società fino ad arrivare alla coscienza. Quindi il gorilla mi rispecchia, e rispecchia anche molta gente: emigranti, prigionieri politici, chi ha poca coscienza. Insomma gran parte dell’umanità. Il gorilla lotta poi contro l’Università, simbolo della razionalità stabilita come limite, della cultura vecchia e decadente che impedisce la mutazione dell’essere umano.

Lei si sente un uomo libero?
L’essere umano non è un’unità, ma un insieme di parti, che sono il corpo, il sesso, il cuore, la mente e una supercoscienza. Rispetto alla coscienza e alla mente sono libero, perché posso pensare quello che voglio. Rispetto al cuore, a differenza di un tempo, oggi sono capace di amare senza desiderio di possesso. Il rapporto con il sesso è cambiato perché sono invecchiato, e ho meno energia sessuale. Continuo a guardare le donne con grande piacere, ma a differenza di un tempo ora me ne basta solo una (ride, NdR). Rispetto al corpo invece sono totalmente prigioniero, perché sono mortale, e ogni giorno mi resta meno tempo da vivere; ecco perché mi affretto a fare più cose possibili.

Ha paura della morte?
Mentalmente no, ho imparato a morire. Non mi importa della posterità, non mi interessa restare nella storia, posso tranquillamente sparire. Il corpo invece non vuole morire, e quindi il dolore fisico e le malattie mi terrorizzano.

Cosa vorrebbe che la sua arte trasmettesse alle persone?
Semplicemente voglio cambiare il mondo, non mi piace così com’è. È impossibile, lo so, però posso iniziare col cambiare me stesso, e col curare le persone. Un tempo la gente si accontentava di una casa, una famiglia e un lavoro stabile. Oggi non sta bene nessuno perché nulla è più sicuro, nemmeno il pianeta: terremoti, cambiamenti climatici, siccità e inondazioni…
La politica e l’economia sono in crisi, e anche la religione.
È il momento di cambiare, tutti devono fare uno sforzo. Per questo ho inventato la psicomagia, per curare le persone. E adesso sono passato alla psicomagia sociale, per curare città e paesi interi. Un esempio: in una piazza messicana, anni fa l’esercito ha ucciso 2000 studenti, e questa strage è rimasta nell’inconscio colletivo. Io mi sono riproposto di pulire questa piazza, di trasformarla in qualcosa di positivo. Se il governo partecipa e collabora, sarà un evento che farà parlare di sé più delle Olimpiadi, creerà una commozione mondiale. Poi sto preparando una sfilata di 1000 donne vestite da papesse, che andranno a visitare il Vaticano. Un modo sottile e pacifico di suggerire che la religione non deve essere solo un potere maschile.
E vorrei anche fare una sfilata negli USA con 5000 persone grasse, ognuna con in mano una foto di un bambino denutrito. Mi piacerebbe far fare una liposuzione a questi 5000, raccogliere il grasso in una sfera trasparente, e metterla in mezzo a Time Square. Un monumento al grasso americano… ma questo al momento è solo un sogno.

Lei legge i tarocchi, ma non si fa pagare per questo. Perché?
Perché i tarocchi sono sempre stati in mano a pseudostregoni e truffatori, e non è mai stato un lavoro onesto. Io non voglio truffare, sono solo un essere umano che vuole aiutare esseri umani come me, e quindi lo faccio gratis.

Lei ha scritto molti fumetti, poi realizzati da Moebius, Manara, Caneschi. Cosa risponde a chi considera i fumetti una cosa da ragazzini?
Questo è un vecchio pregiudizio. I fumetti sono nati un secolo fa per i giovani, ma adesso sono quasi più per adulti.
Chi li vede come roba da ragazzini manca di cultura, e, influenzato dai fumetti americani che parlano solo di supereroi, disconosce un’arte. Siamo in un’epoca grafica, nel mondo dell’immagine. Il fumetto è quindi una letteratura grafica, e vale tanto quanto le altre arti. Tanto che in Francia si vendono più fumetti che libri, e anche le tirature sono molto maggiori per i primi che per i secondi.

Il suo rapporto con il cinema?
Mi diverte molto. Però anche l’alcol e la droga sono divertenti, e alla fine ti uccidono. Il cinema non uccide, ma può rendere idioti. Adesso i maggior successi nelle sale americane sono “Iron Man” e l’ultimo Indiana Jones. Film idioti, per un pubblico che ha un presidente idiota come Bush. Una persona entra al cinema, e quando esce è esattamente come prima, perché il cinema non dà nulla, intrattiene e basta. Non ce l’ho con l’intrattenimento in generale, i giochi ad esempio sono un’enorme miniera di creatività interattiva. Però il pensiero che al cinema basti una pistola per scatenare gli applausi mi fa venire da vomitare. Una volta c’erano i film sui cowboys, adesso i polizieschi. E questo perché siamo in un’epoca di terrorismo, e quindi i poliziotti devono sembrare tutti forti e invincibili.