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Una nuova Guantanamo per Obama?

di Stephen Foley - 05/03/2009

 

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1 marzo 2009

Meno di un mese dopo aver firmato un provvedimento esecutivo per chiudere il campo di prigionia di Guantanamo Bay, il presidente Barack Obama ha tacitamente accettato di continuare a negare il diritto ad un regolare processo ad altre centinaia di sospetti terroristi detenuti in un campo improvvisato in Afghanistan, che alcuni avvocati impegnati nella difesa dei diritti umani hanno soprannominato la "Guantanamo di Obama".

Con una risposta di una sola frase, archiviata in un tribunale di Washington, l’amministrazione americana ha deluso le speranze in una rottura immediata con le politiche dell’era Bush, le quali hanno tenuto più di 600 prigionieri in un "limbo" giuridico ed in condizioni "approssimative" nella base aerea di Bagram, a nord di Kabul.

Ora, i gruppi per la difesa dei diritti umani sembrano essere sempre più preoccupati per la possibilità che l’impiego di metodi extragiudiziari in Afghanistan venga esteso, invece che ridotto, sotto la nuova amministrazione americana. La base aerea sta per andare incontro ad un ampliamento del valore di 60 milioni di dollari che ne raddoppierà l’estensione. Ciò significa che essa potrà ospitare un numero di prigionieri 5 volte superiore rispetto a quelli che attualmente rimangono a Guantanamo.

Ad eccezione dello staff della Croce Rossa Internazionale, gli attivisti dei diritti umani ed i giornalisti non possono entrare a Bagram, dove alcuni ex prigionieri hanno detto di essere stati torturati, essendo stati incatenati al soffitto delle celle di isolamento e privati del sonno.

La base acquisì notorietà quando due detenuti afghani morirono a causa dell’impiego di tecniche di questo genere nel 2002, e sebbene le condizioni ed il trattamento dei prigionieri siano migliorati da allora, la Croce Rossa ha inoltrato una protesta formale al governo americano nel 2007 per il duro trattamento a cui sono stati sottoposti alcuni prigionieri tenuti in isolamento per mesi.

Sebbene si ritenga che la maggioranza dei circa 600 prigionieri sia di nazionalità afghana, un numero imprecisato di essi – forse svariate decine – è stato portato a Bagram da altri paesi.

Uno dei detenuti che sono passati per la prigione afghana è Binyam Mohamed, l’etiope residente in Gran Bretagna che dovrebbe ritornare nel Regno Unito questa settimana dopo il suo rilascio da Guantanamo. L’avvocato di Mohamed, Clive Stafford Smith, presidente di un’associazione legale chiamata "Reprieve", ha definito la strategia del presidente Obama "l’adescamento di Bagram", con il quale l’amministrazione ha sbandierato la chiusura di un campo che ospitava 242 prigionieri, mentre ampliava la base di Bagram per ospitarne altri 1.100.

"Guantanamo Bay è stata una tattica diversiva nella 'Guerra al Terrore’", ha detto l’avvocato. "Se si sommano i prigionieri in tutto il mondo – detenuti dagli Stati Uniti in Iraq, in Afghanistan, a Gibuti, nelle 'navi prigione’ e nell’isola di Diego Garcia, oppure detenuti per conto degli Stati Uniti in Giordania, Egitto e Marocco – i numeri rendono insignificante Guantanamo. Vi sono ancora forse fino a 18.000 persone che si trovano in dei veri e propri "buchi neri" giuridici. Forse a Obama dovrebbe essere concesso più di un mese per rimettere ordine nella casa americana. Tuttavia, questa prima sortita da parte dell’amministrazione sottolinea un altro messaggio: è assolutamente troppo presto perché i difensori dei diritti umani salgano sul ponte della USS Abraham Lincoln ed annuncino "missione compiuta".

Quattro detenuti non afghani a Bagram hanno intentato una causa legale a Washington affinché venga loro dato lo stesso accesso al sistema giudiziario americano che era stato concesso ai detenuti di Guantanamo da una controversa decisione della Corte Suprema l’anno scorso. L’amministrazione Bush si era opposta alla loro rivendicazione.

Due giorni dopo il suo insediamento, Obama aveva promesso di chiudere Guantanamo entro un anno, nel tentativo di ristabilire il prestigio morale degli Stati Uniti nel mondo e di proseguire la battaglia contro il terrorismo "in una maniera che sia compatibile con i nostri valori e i nostri ideali". Ma lo stesso giorno, il magistrato del caso di Bagram disse che il provvedimento "indicava cambiamenti significativi nell’approccio del governo alla detenzione, e una revisione della detenzione di individui attualmente internati a Guantanamo Bay", e che allo stesso modo "un approccio differente potrebbe avere conseguenze sull’analisi, da parte del tribunale, di alcune questioni centrali per la risoluzione" dei casi di Bagram. Il giudice John Bates chiese alla nuova amministrazione se voleva "perfezionare" la sua presa di posizione.

La risposta, archiviata dal Dipartimento della Giustizia alla fine di venerdì scorso, è stata un colpo durissimo per i sostenitori dei diritti umani. "Avendo considerato la questione, il governo aderisce alla sua posizione formulata in precedenza", essa recitava.

Tina Foster, direttore esecutivo dell’International Justice Network, l’organizzazione per i diritti umani che rappresenta i detenuti ed ha sede a New York, ha ammonito la notte scorsa che "lasciando aperta la prigione di Bagram, l’amministrazione trasforma la chiusura di Guantanamo in un gesto vuoto e puramente simbolico".

Ha detto la Foster: "Se non riconsideriamo la politica sottostante, che ha portato agli abusi di Abu Ghraib e alla detenzione a tempo indeterminato di centinaia di persone in tutti questi anni, stiamo semplicemente ritornando allo status quo. Esattamente la stessa cosa che ha provocato la levata di scudi nel mondo è andata avanti a Bagram anche prima di Guantanamo".

"La gente è stata torturata a morte; è un grido d’allarme per coloro che si oppongono alle azioni degli Stati Uniti in Afghanistan; è una scelta priva di valore strategico per gli Stati Uniti; e, cosa ancora più importante, imprigionare delle persone a tempo indeterminato, indipendentemente dalla loro identità e dalle loro azioni, è qualcosa di completamente incompatibile con tutto quello per cui noi ci battiamo come paese".

Il Dipartimento della Giustizia direbbe semplicemente che le direttive legali del provvedimento di Washington "parlano da sole". Esse dicono che Bagram è un caso speciale perché, a differenza di Guantanamo, si trova in un teatro di guerra.

Obama ha rinviato all’estate prossima gli interrogativi più ampi che riguardano la politica americana sulla detenzione di sospetti terroristi e sostenitori dei Talebani in Afghanistan, ordinando un’analisi che richiederà sei mesi per essere completata.

L’amministrazione sta valutando il possibile aumento di prigionieri che potrebbe risultare da un’espansione del conflitto contro i Talebani in Afghanistan e in Pakistan, a dispetto della percezione internazionale secondo cui essa starebbe includendo le detenzioni extragiudiziarie nelle sue politiche per molti anni a venire.

Stephen Foley è corrispondente da New York per il quotidiano britannico "The Independent"; l’articolo qui proposto è apparso il 22/02/2009