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Daniel Barenboim: il potere della musica

di Marco Iacona - 08/03/2009


 

 Cosa succede quando un grande direttore d’orchestra (a proposito: per molti giovani quello del Dirigent è un mestiere dal contenuto quasi del tutto oscuro, purtroppo), s’inventa anche scrittore? Succede che il libro va a ruba e che in pochi mesi se ne stampino tre edizioni.
Il direttore d’orchestra in parola è Daniel Barenboim di cittadinanza israeliana, nato a Buenos Aires 65 anni fa. Noto anche come grande pianista ed esecutore mozartiano e beethoveniano. Sensibile ai temi della pace (è Ambasciatore delle Nazioni Unite), ha fondato insieme al professor Edward Said la “West-Eastern Divan Orchestra”, una formazione di musicisti arabi e israeliani. Non crediamo ci sia bisogno di spiegare il perché di questa nobilissima scelta, fondata sul rispetto dell’altro e sulla tolleranza (non nel senso inferiore di “sopportazione”, ma nel senso superiore di “accettazione”).
Della “West-Eastern Divan Orchestra” fanno parte «giovani provenienti dalla Palestina e dai territori occupati, palestinesi provenienti da Israele, siriani, libanesi, egiziani e naturalmente israeliani». Il nome dell’Orchestra deriva peraltro da una raccolta di poesie di Goethe (1819) «che fu uno dei primi europei ad interessarsi in maniera autentica alle altre culture».
Il libro invece s’intitola “La musica sveglia il tempo” (ed è edito da Feltrinelli): un titolo seducente per un libro (in verità non il primo dell’Autore), colmo di altrettante seduzioni. Un libro sulla musica ovviamente ma anche sulla vita e sulle corrispondenze fra l’una e l’altra e poi ancora un libro dedicato ai curiosi e a chi confida nel fatto che il verbo “educare” abbia ancora un senso.
Parlare della musica è di fatto quasi impossibile, Barenboim lo sa e avvisa il lettore fin dall’inizio della sua fatica. Del resto, chi si occupa di musica spesso e volentieri esercita i mestieri più vari e (vada bene) musicista lo è di nome e quasi mai di fatto. Peraltro, anche ai veri professionisti dello spartito va tutt’altro che bene. Ai giorni nostri musica può essere tutto e il contrario di tutto: un concerto per piano e orchestra di Mozart, il nuovo disco di Albano, una canzone degli “Amici” di Maria De Filippi, un recentissimo successo di Madonna e tanta altra roba che si sente o si vede in giro, soprattutto in Tv e su internet.
Certo, se la musica è come scrive Barenboim «una successione di bei suoni», allora tanta gente dovrebbe rimanerne fuori proprio perché non si accorda o accoda a quel vocabolo (la bellezza) così tipicamente romantico. Ma nell’era ove tutto è praticamente “pop” la scala dei valori estetici è roba da archeologia filosofica. Il mercato ha le sue regole, la musica di tradizione costa troppo ed eseguirla è, purtroppo, tutt’altro che conveniente.
In quest’ottica il libro di Barenboim ha il pregio del doppio-pregio. Serve a distanziare un certo ambiente musicale fatto di bellocci e soubrettine. Ed è uno studio che pur avanzando lungo il crinale del pensiero razionale, non contiene indigeribili stravaganze (è un testo affascinante nel quale non si parla di miraggi, bensì di realtà). È insomma un libro colto (Barenboim già a tredici anni recitava a memoria i passi dell’“Etica” di Spinoza), scritto da chi sa che la musica, come tutte le altre attività, richiede impegno, studio e continua esercitazione.
A questo proposito la favoletta del giovane genio che impugnato lo strumento compone od esegue un pezzo a regola d’arte senza aver letto o studiato alcunché, è bene lasciarla a chi, appunto, con le favolette si sforza di metter su famiglia. Ogni composizione è prima di tutto “tecnica”, ovvio però che a rivelarne significati e confini siano solo le menti migliori (i geni, appunto), prova ne sia che esistono brani mirabili come il Preludio del “Tritano e Isotta” di Wagner, e brani “epici” con una certa quantità di moderazione…
Che la musica sia un fatto eminentemente “fisico” è anche una questione che riguarda la psicologia cognitiva ed il mondo della percezione. Scrive difatti Barenboim: la gente è educatissima a vedere, guardare e osservare (viviamo o no nella civiltà delle immagini?), ma è tutt’altro che educata a prestare orecchio, sentire e ascoltare. L’orecchio è un organo importantissimo (per dirne una, nel feto si forma già dal quarantacinquesimo giorno di gravidanza, molte settimane prima degli organi adibiti alla vista), ma nell’era dei video, della musica che si guarda e dell’“importante è esserci”, lo si è lasciato colpevolmente da parte.
D’altra parte la verità della musica non può essere tutta qua. Nessun “tecnico”, per quanto raffinato, potrebbe negare che la musica sia anche un linguaggio universale e metafisico e che essa rechi dei messaggi che vanno ben oltre il semplice segno grafico o il caso particolare. Messaggi che sono, in primo luogo, di serenità, pace e amicizia.
È di questo tipo infatti la missione della “West-Eastern Divan Orchestra” che dal 1999, anno in cui è nata, sembra aver vinto alcune sfide descrivibili come “politiche” nel significato più alto del termine: recarsi in luoghi del pianeta considerati tabù o fuori-legge (Ramallah, per esempio) o suonare Wagner (per dei musicisti israeliani non è cosa da poco).
Ma lasciamo che sia Barenboim a condensare in un passo formidabile le diverse corrispondenze e le diverse virtù della musica. Scrive: «Il potere della musica sta nella sua capacità di rivolgersi a tutte le sfaccettature dell’essere umano – alla sua parte animale, emotiva, intellettuale, e spirituale. Spesso pensiamo che le questioni personali, sociali e politiche siano fra loro indipendenti e non si influenzino a vicenda. Dalla musica impariamo come questo sia obiettivamente impossibile, non esistendo in essa elementi indipendenti. Pensiero logico ed emozioni intuitive devono coesistere costantemente. La musica ci insegna, insomma, che tutto è collegato». Alle Menschen werden Brüder (Tutti gli uomini diventeranno fratelli), recita l’“Inno alla gioia” musicato da Beethoven, oggi Inno europeo. La meta finale, in fin dei conti, rimane sempre quella.