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I cronocratori astrologici in rapporto ai cicli della vita umana

di Francesco Lamendola - 08/03/2009

 


Già l'astrologia degli antichi Persiani, e in particolar modo dei Sassanidi, aveva elaborato il concetto che alle singole unità di tempo - ore, giorni della settimana, mesi e anni - presiedono determinati  astri, che ne sono i Reggitori o Signori. Per esempio, nel sistema astrologico dei Caldei, il pianeta Marte è il Reggente del martedì.
Secondo gli antichi, l'influsso esercitato dalle forze celesti sugli esseri viventi si manifesta  essenzialmente in due modi: nel tempo e nello spazio. Nel tempo, attraverso i Cronocratori o Reggitori planetari; nello spazio, attraverso i monomeri: ossia ciascun singolo grado zodiacale, concepito come una unità autonoma, esprimente uno specifico frammento di destino e, quindi,  dotata di uno specifico significato divinatorio.
Per comprendere questo modo di pensare, occorre ricordare che, per gli antichi - ma anche per l'uomo medievale - il Cosmo era una realtà viva, percorsa da flussi energetici originati dai singoli astri, i quali si effondono incessantemente sul mondo terrestre; e che fra il macrocosmo (ossia quello celeste) e il microcosmo (quello terrestre) esiste una perfetta corrispondenza, sicché nulla di quanto accade in alto rimane senza effetto su ciò che sta in basso.
Ad esempio, le pareti del grande palazzo della Ragione, a Padova, sede del consiglio comunale, vennero affrescate, fra il XIV e il XV secolo, secondo la concezione generale dell'Universo elaborata dal medico, astrologo e filosofo Pietro d'Abano: l'influenza dei pianeti sull'attività dell'uomo vi è proclamata chiarissime lettere, come una verità accettata e condivisa non solo dal popolo, ma dai magistrati e dai membri del consiglio municipale.
Ora, così come i pianeti - astrologicamente, anche il Sole e la Luna sono considerati tali - esercitano un influsso sulle attività dell'uomo e sul suo destino, ugualmente tale influsso si può riconoscere nelle diverse unità di tempo, specialmente nei giorni della settimana e nei dodici mesi dell'anno: tale è il concetto di Cronocratore, da "Chronos" e "Kratos", Signore del tempo (anche il Cristo era sovente rappresentato, nei dipinti medievali, come Cronocratore, oltre che come Cosmocratore ("Signore dell'Universo") e come Pantocratore ("Signore di tutte le cose").
A ciò si aggiunge la constatazione che, se i pianeti sono sette (dalla Luna a Saturno, ultimo pianeta noto agli antichi, e compreso il Sole, come si è detto), si pensava dovesse esistere una relazione con i giorni della settimana, e cioè che ciascun pianeta fosse astrologicamente legato ad un giorno specifico, così come era legato a determinati segni zodiacali.
Quando, nel Settecento e nell'Ottocento, vennero scoperti, rispettivamente, anche Urano e Nettuno (Urano, a dire il vero, era già noto, perché visibile a occhio nudo, ma solo con estrema difficoltà, per cui non era mai stato associato agli altri pianeti), la serie si arricchì di due nuovi corpi celesti; e un terzo, che portò la serie a dieci unità, si aggiunse nel Novecento, ossia Plutone.
Ora, l'idea centrale della concezione relativa ai Cronocratori era che per ogni unità di tempo si potevano considerare adatte e opportune determinate attività, mentre risultavano sconsigliabili e potenzialmente pericolose, altre. Non qualunque cosa poteva essere fatta in qualunque tempo: ma, così come nell'arco della giornata, ugualmente nella settimana e nell'anno solare vi erano cose che era preferibile compiere in un dato momento, e altre che andavano svolte in momenti diversi.
Esiodo lo aveva espresso chiaramente: così come c'è un tempo per arare, un tempo per seminare e  un tempo per mietere, allo stesso modo ogni cosa va fatta quando è il suo momento, se si vuole sperare di ricavarne frutti soddisfacenti,
Ne «Le  Opere e i Giorni» (versi 383 e seguenti; traduzione di Aristide Colonna, in: Esiodo, «Opere», Torino, Utet, 1983), il grande poeta greco aveva, infatti, affermato:

«Quando le Pleiadi, figlie di Atlante, s'innalzan nel cielo, tu comincia il raccolto, e quando tramontano comincia a coltivare il campo. Esse invero per quaranta notti ed altrettanti giorni stanno nascoste, poi di nuovo col volgere dell'anno ricompaiono subito quando si affila la falce.  Questa p la legge dei campi, sia per quelli che abitano vicino al mare, sia per quelli che abitano una regione ferace nelle valli boscose, lontano dal mare ondoso: svestito tu semina, svestito ara il campo, svestito devi mietere, se vuoi compiere al momento opportuno tutti i lavori di Demetra; in tal modo ogni cosa verrà su nel tempo giusto, e tu non dovrai in seguito, stretto dal bisogno, bussare alle porte degli altri senza combinar nulla. (…)
Appena il tempo di arare è apparso ai mortali, allora davvero bisogna sbrigarsi - tu stesso ed i servi - ad arare nella stagione dell'aratura, all'asciutto e al bagnato, affrettandoti subito all'alba, perché i campi si colmino di messi. Rivolta il terreno in primavera,  ed il suolo rinnovato durante l'estate non ti darà disinganno. Semina la maggese, quando le zolle sono ancora morbide;: la maggese è riparo  dalla miseria e consolazione dei piccoli. (…)
Se invece seminerai la terra divina quando il sole volge al solstizio, tu potrai mietere stando seduto, stringendo in una mano lo scarso raccolto, formando i covoni a casaccio, tutto pieno di polvere, , senza gioia nell'animo; tu porterai via il raccolto  in una cesta, e pochi ti staranno a guardare. (…)
Quando Zeus ha fatto compiere sessanta giorni invernali dopo il solstizio, proprio allora la stella di Arturo, dopo aver abbandonato la sacra corrente dell'Oceano, s'innalza la prima volta nel cielo al calar delle tenebre. E dopo di essa, la figlia di Pandione dall'acuto lamento, la rondine sorge alla luce fra gli uomini, all'inizio della primavera. Tu prima della sua venuta pota i vigneti, perché così è meglio. Ma quando la porta-casa [la lumaca[] sale da terra sulle piante, fuggendo le Pleiadi, allora invero non è più tempo di zappare le vigne, ma di affilare le falci e di svegliare i servi; fuggi i sedili ombrosi ed il sonno fino all'alba nell'epoca della mietitura, quando il sole scotta la pelle. Allora bisogna affrettarsi e portare a casa il raccolto, al sorgere dell'alba, affinché il vitto sia sufficiente.  L'alba difatti prende la terza parte del lavoro giornaliero, l'alba invero fa guadagnare cammino e lavoro all'uomo, l'alba che col suo apparire fa mettere molti uomini in cammino ed a molti buoi pone il giogo sul collo.»

Non solo i diversi periodi dell'anno, ma, come si vede, anche le diverse ore del giorno, possiedono una funzione specifica all'interno dei ritmi della natura, che non sono mai ritmi interamente «profani» nel senso odierno del termine, ma ritmi coincidenti con l'ordine celeste e, perciò, ritmi «sacri», nel senso più ampio dell'espressione, poiché ad essi sovrintende  la divinità, allo scopo di assicurare il giusto ordine del mondo.
Virgilio, nelle «Georgiche» (in cui riprenderà perfino singole espressioni stilistiche esiodee) non si scorderà di questo precedente, unendolo con la sua caratteristica religiosità, che lo spinge a concepire l'agire umano sempre in accordo con i «segni» della volontà divina.
Questo concetto, che è proprio delle società agricole e pastorali e, in generale, delle società strettamente legate ai ritmi della natura (e che, pertanto, è andato oggi completamente smarrito, insieme all'idea stessa dell'astrologia, se non nella sue manifestazioni più banali e «commerciali»), è stato espresso nella forma più famosa e categorica dal biblico Libro di Qoèlet, composto assai più tardi dell'opera di Esiodo (probabilmente nel II secolo a. C.).
Esso suona così (3, 1-8; traduzione dalla «Bibbia di Gerusalemme»):

«Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per genere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.»

Il concetto sotteso a questa saggezza è che Dio ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; ma l'uomo, pur avendo ricevuto in cuore la nozione dell'eternità, non sa rispettarne i tempi nel loro giusto ordine, perché vuole agire secondo il proprio talento e non secondo l'ordine divino.
Ma, tornando all'astrologia e all'idea dei Cronocratori, gli studiosi di quella scienza non tardarono a rendersi conto che l'arco della vita umana, allungandosi per una durata di circa settant'anni (anche Dante parla dei trentacinque anni come del «mezzo del cammin di nostra vita»), è passibile di una suddivisione enneadica che, a sua volta, può essere collegata all'influsso prevalente di ciascuno dei sette pianeti.
Il numero sette, a sua volta, non aveva attirato l'attenzione degli astrologi solo per ragioni di tipo, diciamo così, estetico, ma in base a precise osservazioni naturalistiche: per esempio, esso pare presiedere ai ritmi della crescita umana (la dentizione a sette anni, la comparsa dei peli a quattordici, e così via), fornendo la base per la moderna teoria dei bioritmi.
La scienza moderna si è poi incaricata di mostrare che, effettivamente, esiste una precisa scansione periodica dei cicli vitali, ad esempio nel totale rinnovo delle cellule di cui è costituito l'organismo; sicché la nozione astrologica dei Cronocratori ha ricevuto, in certo qual modo, una conferma dal riconoscimento che, nella vita degli esseri viventi, esiste un ordine simmetrico e che i suoi tempi e i suoi ritmi rispondono a delle costanti di tipo matematico.

Scrive lo studioso di astrologia ceco Milan Špurek nel suo bellissimo volume «Il grande libro dell'Astrologia» (titolo originale: «Astrologie», 1996; traduzione italiana di Fernando Solinas, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1999, pp. 71-76):

«Se da un lato conosciamo i segni zodiacali, i decani e i monomeri, l'altra faccia  della medaglia è rappresentata dai cronocratori, cioè dai Reggenti astrali delle unità di tempo. I vari periodi di tempo sono infatti di regola in rapporto diretto con l'eclittica, l'equatore e l'orizzonte, ossia con i tre piani principali che intersecano la sfera celeste. I cronocratori esprimono una concezione qualitativa del tempo. Così, per esempio, quando il Sole regge il segno del Leone, cioè si trova nel settore dell'eclittica compreso tra 1° e 150°, la sua signoria si proietta nel calendario solare sul periodo di tempo che va dal 22 luglio al 23 agosto (secondo il calendario gregoriano); nell'emisfero Nord, il Sole è il re dell'estate.
In questo stesso ordine di idee, i pianeti sono stati correlati ai giorni della settimana come Reggenti o Signori dei giorni, e ai singoli anni come Reggenti dell'anno. Allo stesso modo furono create anche  le cosiddette "ore planetarie" e le "tattvas" indiane. Nell'un caso e nell'altro il principio era quello di contraddistinguere con gli stessi simboli unità di tempo che si ripetono indefinitamente. Un tale orientamento astrologico sussisteva in epoca antica nell'area mediterranea, così come in Oriente e nell'America precolombiana. Il simbolo relativo al periodo di tempo lo caratterizzava, e per conseguenza aveva significato profetico. Non qualsiasi unità di tempo - ora, giorno, settimana, mese, anno o molti anni - è adatta per ogni tipo di attività. Mai, probabilmente, il senso di questa idea chiave è stato espresso in forma più suggestiva che nell'Ecclesiaste (3-1): "Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo…" - e in forma più concreta che nelle "Opere e i Giorni" di Esiodo.
Tra i Reggenti del calendario e l'idea che anche la vita umana sia suddivisa in periodi subordinati alla signoria dei singoli pianeti non c'è che un passo. Si tratta di un'idea niente affatto nuova; sappiamo che esisteva nell'antichità e da allora gli astrologi l'hanno aggiornata più volte. La rappresentazione della vita umana dipendeva, entro certi limiti, dal concetto della sua durata media ma anche dalla simbologia dei numeri, senza la quale nulla era possibile nei tempi antichi. Presero così avvio due cicli principali di sette e di dieci anni, e alcuni altri se ne aggiunsero poi. I cicli settennali erano in relazione con la "magia" del numero sette, che si ritrova nel calendario ebraico, e col numero dei giorni della settimana e dei pianeti allora conosciuti.
Nel XVIII secolo, il "Regiment der Gesundheit" ("Regimen sanitatis salernitanum"), opera del "prode cavaliere, luogotenente del re di Danimarca, assai stimato dall'imperatore e re Rodolfo II" Heinrych Rankow (latinamente Rantzovius), si occupa appunto del problema. In particolare nel capitolo XXXV ("Gli anni progressi ossia gli anni fatali"), questi anni ciclici che segnano le sorti della vita umana sono definiti come multipli del numero sette (anni del destino che procedono a gruppi di sette o "climaterici" e del numero nove (anni del destino che procedono a gruppi di nove o "enneatici"). La prima serie termina con il 98° anno, la seconda con il 99°.
Per i cicli settennali il libro fornisce una spiegazione astronomica: "La causa è che ogni sette anni l'ordinamento di tutti i pianeti fa sempre capo a Saturno, il quale ci è solitamente ostile, e Saturno stesso (che personifica l'anno della fame), il corruttore e assassino degli uomini, giunge "ad quadratum" della sua "positio". Tutto questo è contrario alla natura di tale segno, da cui Saturno è dapprima uscito".
La coincidenza numerica fra ciclo lunare sinodico (29,5 giorni) e rivoluzione del pianeta (29,5 anni) era certo vista come interessante nel contesto delle riflessioni astronomiche-astrologiche del tempo: del tutto comprensibilmente, perché il principio di analogia era allora uno dei principi dominanti che sorreggevano qualsiasi considerazione riguardante la filosofia della natura, l'astromedicina e così via.
In questo stesso spirito procede Rankow nella sua analisi: "Ne consegue che nel settimo anno di età i denti cadono ai bambini, mentre ne spuntano altri e che nel quattordicesimo anno spunta sul loro viso la peluria. E allorché si compie una settimana di sette anni, cioè sette volte sette anni, ossia 49, l'uomo raggiunge la piena maturità dell'intelletto, perciò egli è avveduto e la sua età è matura e perfetta. Quando poi giunge a diedi volte sette, cioè al 70° anno, l'uomo è arrivato al traguardo della vita e la morte non è lontana.
A questo punto ci troviamo di fronte al formarsi del secondo ciclo della vita umana, quello di dieci anni. Infatti il settantesimo anno di vita è composto di sete cicli di dieci anni ciascuno, e ogni ciclo è retto da uno dei sette pianeti della vecchia astrologia.
Nel suo romanzo filosofico-allegorico "El criticón"  ("Il criticone", 1642-1648), il celebre scrittore spagnolo Baltasar Gracián y Morales parla anche di una "ruota del tempo" e cita questi cicli di dieci anni della vita umana e le loro caratteristiche planetarie. Come nei cicli di sette anni, anche in quelli di dieci i cronocratori dei pianeti dominano sui singoli cicli nella successione del loro allineamento nelle sfere del sistema geocentrico: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Ogni pianeta è Signore di un decennio della vita umana., alla quale impone la propria marcatura o caratteristica astrologica: "Al termine del decennio di Saturno la Luna riprende la signoria, e l'uomo, abbattuto ed esausto, è di nuovo come un fanciullo o uno scimmiotto. Così la vita umana si evolve in un cerchio e divora la sua coda come il serpente, di modo che la ruota è un geroglifico ingegnoso della vita umana.
Circa due secoli dopo il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860) riprese la teoria dei cicli decennali di vita nelle note alla sua "Lebensweisheit" "Il corso della vita individuale non è predeterminato dai pianeti, come ritiene l'astrologia, tuttavia la vita dell'uomo è connessa in certo qual modo ai pianeti e a una data età corrisponde anche un determinato corpo celeste o pianeta., secondo un'esatta successione": successione che Schopenhauer modifica alquanto, comunque, rispetto a quella usuale in astrologia. Il filosofo vive in tutt'altra epoca rispetto a quella di Gracián, e l'astrologia entra nella sua fase moderna. Così egli non soltanto esclude della sua considerazione la Luna e il Sole (evidentemente nel tentativo di "purificare" la serie dei pianeti dai Luminari e quindi anche dalla concezione geocentrica), ma mette ai posti vuoti quattro asteroidi (pianetoidi), e allunga la sequenza al di là di Saturno con due altri pianeti, Urano e Nettuno, scoperti al suo tempo (quando ancora non si conosceva Plutone).
Le riflessioni di Schopenhauer sono illuminanti. Tuttavia dobbiamo essere ancora più conseguenti di lui e restituire ai pianeti ciò che loro compete. Occorre restaurare la dignità della concezione geocentrica della sequenza planetaria, indispensabile per l'astrologia, e reintegrare nella serie anche il Sole e la Luna. Escludendo gli asteroidi - corpi celesti utilizzati solo da pochi "estremisti" dell'oroscopia moderna - e infine aggiungiamo Plutone. Abbiamo così una nuova serie astrologica di dieci pianeti: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, saturno, Urano, Nettuno e Plutone. Né più, né meno. Se ogni pianeta domina un decennio della nostra vita, la serie copre cento anni senza ripetizioni. In ogni periodo di dieci anni i pianeti sono anche i Reggenti di ogni singolo anno, nella stessa successione. In questo modo otteniamo un "sistema planetario ciclico di cento anni", sistema che se utilizzato "in stile solare", cioè da un compleanno all'altro, ci fornirà molti dati interessanti per la vita, sia retrospettivamente, sia sul piano delle sue prospettive per il futuro.
La letteratura moderna ritorna ai periodi di sette anni. Lo scrittore ceco Jirí Mahen ne tratta nel XVIII capitolo del suo romanzo surrealista "L'avventura più bella": "Nella teoria dei sette anni c'è certamente qualcosa di molto serio. Gli scienziati affermano che l'uomo vive nell'arco di tempo che i suoi genitori e antenati hanno stabilito per lui. L'uomo non somiglia soltanto a suo padre o a sua madre, ma assume spesso il "ritmo vitale" del nonno materno e nel corso della vita è subordinato, senza saperlo, al proprio archetipo". (La cosa è confermata non soltanto dalla mia esperienza personale, ma anche dal perfetto accordo coi principi del determinismo oroscopico: il nonno di parte materna si ritrova nella prima Casa di ogni oroscopo individuale).
J. Mahen prosegue nelle sue considerazioni: parla della bionomia, disciplina che si occupa del computi dei periodi  nella vita umana; degli anni critici, multipli di sette; dell'alternanza di periodi favorevoli  e sfavorevoli, di giorni luminosi e bui con crisi  e impulsi periodici; per giungere infine alla teoria dei bioritmi di 23-28 giorni: "Oltre ai periodi giornalieri esistono  anche periodi annuali. Poco prima del loro compleanno o di quello delle persone più care e vicine, gli uomini possono essere assaliti  da malattie mortali e infine,  poiché il giorno e l'anno sono funzioni del pianeta Terra,  l'essere umano e ogni sostanza vivente dipendono dal suo moto…".
La sequenza dei reggenti planetari dei giorni della settimana trae origine dall'antica serie caldea dei pianeti, cioè dal loro susseguirsi nelle sfere geocentriche a partire da Saturno, il più lontano, fino alla Luna. Quando è distribuita in circolo a intervalli regolari, la sequenza dei Reggenti dei giorni si dispone ai vertici di un eptagramma (ovvero una stella a sette punte tracciata d'un solo tratto:[…],  e la sequenza ha inizio col Sole (domenica).
Anche il reggente dell'anno (Signore dei pianeti) ricompare in astrologia con un ciclo di sette anni secondo la serie caldea dei pianeti.  Reggente di un anno effettivo del calendario è infatti il pianeta il cui numero ordinale nella serie  corrisponde al resto della divisione per sete del numero dell'anno stesso. Così, per esempio, l'anno della scoperta dell'America, il 1492, diviso per sette  ha per resto 1, che nella serie corrisponde a Saturno […].
Non solo gli anni e i giorni erano subordinati ai rispettivi cronocratori (Signori o reggenti dei pianeti), ma anche ogni ora del giorno e della notte.  Dal sorgere al tramonto del Sol, il giorno solare - e allo stesso nodo anche la notte - era suddiviso nelle cosiddette ore planetarie, che nell'ambito dell'intera settimana erano subordinate l'una dopo l'altra alla signoria dei sete cronocratori. Anche questa successione rispetta l'ordine della serie caldea e ha inizio col giorno di sabato, la cui prima ora dopo il sorgere del Sole è governata da Saturno., la seconda da Giove e così via; l'ultima ora della notte di venerdì è posta sotto la signoria della Luna. Poi il ciclo si ripete. Da quando entrò in uso la serie caldea, particolare importanza è sempre stata annessa all'ira identificata con il Reggente della giornata.»

La teoria dei Cronocratori appare difficile da accettare all'uomo moderno, perché egli si è talmente allontanato dai ritmi della natura e si è talmente inorgoglito per le proprie conquiste intellettuali, da non riconoscere più alcun debito nei confronti dell'ordine cosmico. Abituato a vivere in un tempo e in uno spazio totalmente artificiali, dove ogni luogo si assomiglia (aeroporti, autostrade, periferie industriali) e dove si annullano le differenze tra giorno e notte, tra estate e inverno (con l'illuminazione elettrica e con la climatizzazione artificiale), l'uomo moderno non riconosce più il suo debito verso i ritmi cosmici e naturali e pretende di mangiare la frutta fuori stagione o di andare a fare gli acquisti alla domenica, come se queste fossero le cose più ovvie del mondo.
Il fatto è che l'astrologia, e la teoria dei Cronocratori che ne è uno sviluppo, non solo coinvolge l'intero creato nella vicenda umana e allarga l'orizzonte esistenziale alle dimensioni dell'universo, ma scaturisce dalla ferma convinzione che non tutto è lecito all'uomo, e non tutto è lecito in qualsiasi momento; che esistono dei limiti, corrispondenti ai ritmi di una realtà più grande, nella quale l'uomo è immerso e dalla quale egli è circondato.
Non si tratta di limiti arbitrari e «repressivi», ma di limiti che si originano dal fatto stesso che la natura è ordinata, e quest'ordine presuppone che vi sia un tempo per compiere certe azioni, e un tempo in cui bisogna astenersene; in altre parole, un ordine che è espressione di armonia, di un grande flusso vitale che l'uomo deve assecondare, anziché contrapporvisi. All'antropocentrismo brutale dell'uomo moderno, che vuole imporre i propri ritmi e le proprie leggi alla natura, si contrappone l'antichissima saggezza dei pastori della Caldea, dei contadini dell'antica Grecia e dell'antica Palestina, abituati a scrutare il cielo e a regolare il proprio lavoro con il variare delle costellazioni, e per i quali l'uomo è soltanto un ospite e un inquilino del pianeta in cui vive, non il suo signore assoluto.
Forse è questa la ragione principale per cui l'astrologia è caduta in discredito; parliamo dell'astrologia come visione del mondo e come forma di sapere filosofico, naturalmente, e non di quella sua pacchiana e penosa contraffazione che, oggi, compare sui rotocalchi illustrati sotto formai di oroscopi di massa, o che si ritaglia qualche spazio nella programmazione televisiva del mattino.
Chissà.
Quando gli uomini riacquisteranno un po' di umiltà e impareranno a tornare alla terra con amore e gratitudine, forse riscopriranno anche il fascino di questa scienza antichissima, che era già vecchia di secoli quando le Piramidi erano state erette nella valle del Nilo, e quando Platone e Aristotele costruivano i loro grandiosi sistemi di filosofia.
Abbiamo smarrito una forma di sapere elementare, ma autentico, di cui i nostri nonni - benché illetterati - erano ancora gli scruppolosi depositari, sostituendola integralmente con la visione del mondo basata sulla fiducia incondizionata nella tecnoscienza. Ma siamo sicuri di aver realizzato un progresso, allorché abbiamo gettato nel cestino della carta straccia una sapienza antichissima, che ha contribuito alla millenaria coesione spirituale della nostra civiltà?
Per concludere queste brevi riflessioni, vogliamo riportare un esempio che Will-Erich Peuckert, autore di uno dei migliori testi sull'astrologia, soleva fare ai propri studenti, per indurli a riflettere su questo aspetto della modernità  (in «L'astrologia»; titolo originale: «Astrologie», Stuttgart, 1960; traduzione italiana di Elika de Vargas Machuca, Roma, Edizioni Mediterranee, 1973, p. 18):

«Io sono cresciuto nella Bassa Slesia in una famiglia di contadini osservanti. Quando si preparava un temporale - a Kaiserwaldau sono spesso molto violenti - mia nonna raccoglieva i suoi tre nipotini, si barricava con noi, prendeva il libro dei cantici  e leggevamo preghiere e corali sul tempo, dato che il temporale era la voce di Dio. La nonna ci esprimeva allora la sua profonda convinzione: Iddio era in lite con l'umanità. In fondo si trattava del medesimo concetto espresso dalla Bibbia quando parla dell'apparizione di Dio nella tempesta sul Sinai: la "verità" di uomini cresciuti nel pensiero mitico.
Quando frequentai la scuola del villaggio, l'anziano cantore Meier ci dichiarò - ed anche per lui si trattava di una convinzione profonda - che il tuono costituiva un epifenomeno che si fa sentire allorché le elettricità positive e negative cercano di equilibrarsi. Aveva ragione, certissimamente; ma mia nonna aveva torto?»