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Promesse di aiuti per Gaza. Ma cosa avverrà concretamente?

di Patrice Claude - 08/03/2009



 
Quattro miliardi e mezzo di dollari. E’ la somma
promessa su due anni, lunedì 2 marzo, dall’Europa, gli Stati Uniti, l'Arabia saudita, gli Emirati arabi e diverse decine di altri Paesi donatori per la ricostruzione della striscia di Gaza devastata a gennaio da 22 giorni di bombardamenti israeliani. 

I palestinesi, rappresentati alla conferenza di Sharm el Sheikh (Egitto) da Mahmoud Abbas e dai suoi alleati dell’Autorità "autonoma", che non ha più alcun ruolo a Gaza dopo la guerra del giugno 2007 con i suoi rivali del Movimento della resistenza islamica (Hamas), chiedevano 2,8 miliardi, di cui 1,33 per la ricostruzione vera e propria di migliaia di abitazioni, fabbriche, depositi, ministeri, edifici pubblici e caserme distrutte da Israele al prezzo di 1330 morti palestinesi.

I diplomatici dei 75 Paesi rappresentati alla conferenza convocata dall’egiziano Hosni Moubarak si sono congratulati della generosità mostrata. I 4,481 miliardi di dollari promessi "oltrepassano le nostre attese", ha detto il capo della diplomazia egiziana, Ahmed Aboul Gheit.

Vanno ad aggiungersi ai 7,4 miliardi di dollari promessi su tre anni dai donatori della “conferenza di Parigi" (per lo più gli stessi) di cui 3 miliardi sono già stati sbloccati lo scorso anno, essenzialmente per pagare i funzionari palestinesi e sostenere uno sviluppo economico che, a causa dei blocchi e delle barriere militari israeliane, nella Cisgiordania occupata langue.

Oltre che con l’assenza dei due principali protagonisti a Sharm el Sheikh, ossia Israele e Hamas, l'ambizione annunciata di ricostruire Gaza si scontra con almeno tre problemi immediati.

Il primo problema, sottolineato da Tony Blair, inviato speciale del "Quartetto" (Stati Uniti, Unione europea, Onu, Russia) da oltre due anni e che ha effettuato la sua prima visita di sempre a Gaza la settimana scorsa, è che tuttora non vi è un accordo ufficiale di tregua tra Israele e gli islamici che governano il territorio.

I cessate il fuoco unilaterali dichiarati dall’una e dall’altra parte il 18 gennaio sono fragili, e dei razzi lanciati dall’ala combattente del movimento continuano a cadere – ancora lunedì – nel sud dello Stato ebraico, suscitando nuove minacce bombardamenti di massicci. "I soldi sono utili - ha detto Tony Blair - ma se non abbiamo un accordo politico, il ciclo distruttivo ricomincerà".

Il secondo problema deriva da questo stato di fatto. A partire dalla espulsione della Autorità palestinese da Gaza nell’estate 2007, Israele ha imposto un blocco quasi totale a un milione e mezzo di palestinesi che vivono in questa stretta striscia di terra (40 per cento di disoccupazione, 80 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà).

Tutti gli appelli, compreso quello degli Stati Uniti, ad aprire i punti di passaggio tra Israele e il territorio per lasciar passare almeno gli aiuti umanitari, si sono scontrati col rifiuto dello Stato ebraico.

"Situazione intollerabile", si è lamentato, lunedì, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. "Il nostro obiettivo prioritario e indispensabile è di aprire questi punti di passaggio", ha chiarito.

L’obiettivo è stato ripreso dai donatori nel loro comunicato finale: "Facciamo appello all’apertura immediata, totale e incondizionata di tutti i punti di passaggio".
Perché come si fa a ricostruire Gaza quando Israele impedisce tutte le importazioni di cemento, d’acciaio e di ogni altro materiale da costruzione? "Non riusciamo nemmeno a far entrare tutti gli alimenti e I medicinali di cui abbiamo bisogno per la popolazione", protesta John Ging, rappresentante dell’agenzia Onu di sostegno ai palestinesi. Il territorio "non deve essere più una prigione a cielo aperto", ha aggiunto Nicolas Sarkozy davanti ai giornalisti.

Altra questione posta nella conferenza di Sharm el Sheikh: come trasformare i progetti in realtà se i donatori si rifiutano di lavorare con l’autorità che controlla Gaza, ossia Hamas ?

I
negoziati in corso in Egitto tra l'Olp di Mahmoud Abbas e la resistenza islamica, in vista della formazione di un governo palestinese di unità nazionale entro la fine di marzo, potrebbero, se andranno a buon fine, superare questa difficoltà.

Ma, e Hillary Clinton che era alla sua prima uscita nel mondo arabo dopo la sua nomina a segretario di Stato di Obama l’ha ripetuto lunedì: "Hamas conosce le condizioni: rinuncia alla violenza, riconoscimento di Israele, rispetto degli accordi passati”. Tutte cose che l'Olp ha accettato già da 16 anni, replicano gli islamici, che hanno buon gioco nel sottolineare che, tuttavia, il sogno di uno Stato palestinese indipendente non è mai stato così lontano.

(Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq)

Le Monde