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Indonesia, i combattenti di Allah del grande arcipelago

di Fabrizio Legger - 09/03/2009

Nel paese asiatico le milizie islamiste sono più agguerrite che mai
È il più popoloso paese musulmano ma non è uno Stato islamico

L’Indonesia, con i suoi 190 milioni di abitanti, è il paese musulmano più popoloso del pianeta. Al suo interno, le religioni non islamiche sono esigue minoranze (cristiani nelle Molucche e a Timor, indù a Bali, buddisti a Giava), ma l’Indonesia non è uno Stato islamico. Eppure, negli ultimi vent’anni, sono sorti gruppi, movimenti e partiti che vorrebbero fare dell’Indonesia un nuovo Pakistan o un nuovo Iran. Si tratta del bellicoso Laskar Jihad, del Fronte di difesa dell’Islam, del Fronte Hezbollah d’Indonesia e del Fronte d’Azione Unita degli Studenti Musulmani d’Indonesia (questi i principali, poi ve ne sono molti altri minori). Questi tre gruppi, che possono contare su migliaia di militanti, sull’apporto dottrinale di imam e ulama, sull’esperienza di combattenti islamici che hanno praticato il Jihad in Bosnia, Afghanistan, Cecenia e Iraq, e su ingenti finanziamenti che giungono loro da Arabia Saudita ed Emirati Arabi, costituiscono la vera e propria “punta di diamante” dell’islamismo radicale in Indonesia. Verso la fine degli Anni Ottanta, militanti del Fronte di Difesa dell’Islam hanno affiancato le truppe indonesiane in Irian Jaya, per combattere la ribellione dei Dani guineani contro il potere indonesiano, e si sono macchiati di stragi non solo di ribelli ma anche dei civili indigeni che li sostenevano. Nel 1999, centinaia di giovani militanti del Fronte d’azione Unita degli Studenti Musulmani d’Indonesia si sono recati volontari a Timor Est, per dare man forte alle milizie indonesiane impegnate a combattere i ribelli indipendentisti e cristiani del Fretelin, intervento risoltosi in un colossale bagno di sangue da cui è però scaturita l’indipendenza di Timor Est. Infine tra il 2000 e il 2002, i militanti del Laskar Jihad sono stati i protagonisti della sanguinosa Guerra delle Molucche, dove hanno combattuto i ribelli cristiani, praticando una vera e propria “caccia al cristiano” autoctono ma anche al turista occidentale (soprattutto americani, britannici, olandesi e australiani). Oggi, questi movimenti islamici indonesiani sono più agguerriti che mai: i loro imam e le loro guide spirituali fanno comizi infuocati incitando alla islamizzazione integrale della società indonesiana, i loro militanti reduci dal Jihad in Afghanistan, Iraq e Cecenia esaltano i giovani raccontando le eroiche imprese dei mujaheddin contro gl’infedeli, mentre nelle università gli studenti islamisti riescono a fare sempre nuovi proseliti, grazie anche ai petroldollari che tramite le confraternite islamiche giungono loro dalle centrali dell’islamismo wahhabbita in Arabia Saudita.
L’intero arcipelago indonesiano è dunque stretto nella morsa di un islamismo radicale molto oltranzista e molto bellicoso, il che spiega perché tanto a  Sumatra quanto nelle Molucche, tanto nelle Celebes quanto nel Borneo, siano sorti in quest’ultimo decennio gruppi armati autoctoni ben intenzionati a difendersi dalle aggressioni dei sempre più bellicosi militanti islamici indonesiani (nel Borneo, sono scesi in armi persino i dayachi, di salgariana memoria, i quali si sono scontrati più volte con le milizie islamiche e hanno ripreso a tagliare teste, questa volta non dei colonialisti anglo-olandesi, bensì degli islamisti radicali che vorrebbero forzatamente convertirli al Verbo del Profeta. Il governo indonesiano fa poco per contrastare questa dilagante marea islamica, sebbene continui a dichiararsi alleato degli Usa e dell’Occidente, forse perché in seno agli stessi partiti di governo ci sono elementi di spicco che non vedono di cattivo occhio una lenta ma progressiva islamizzazione dell’arcipelago, forti anche del fatto che l’Indonesia (per il suo peso economico nell’area, per la sua vastità territoriale e per la sua densità di popolazione) non può certo subire un trattamento come quello riservato dagli Usa all’Afghanistan dei Talebani o all’Iraq di Saddam Hussein. Così, quasi in sordina, la “marea islamica” continua a montare nel Mar di Giava, nel Mar di Celebes, nel Mar di Banda, nel Mar di Malacca e in tutto l’immenso spazio terracqueo dell’Indonesia, il più popoloso paese islamico, che conserva ancora uno Stato laico, forse, ancora per poco tempo. Se l’avanzata islamica proseguirà con questi ritmi, tra qualche decennio l’Indonesia potrebbe diventare un nuovo Iran o un nuovo Pakistan, dove a dettare legge, sotto le verdi bandiere del Profeta, saranno solo il Corano, la Sharia e le sentenze indiscutibili degli imam e degli ulama!