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Lo sviluppo delle scienze antiche in rapporto con l'abbandono della metafisica

di Francesco Lamendola - 09/03/2009


 

Alessandria d'Egitto, fondata nel 332 da Alessandro Magno e poi trasformata in pochi anni, dal 305, in un centro culturale - oltre che politico - di prim'ordine ad opera di Tolomeo I, fin dai suoi primi decenni di vita si era arricchita di due istituzioni formidabili: il Museo e la Biblioteca, che ne fecero il centro d'irradiazione ed il polo d'attrazione di gran parte della ricerca scientifica dell'età ellenistica, e produsse analoghi iniziative da parte degli altri sovrani eredi dell'Impero di Alessandro: i Seleucidi ad Antiochia di Siria, gli Attalidi a Pergamo, in Asia Minore, e gli Antigonidi a Pella di Macedonia.
Il ministro di Tolomeo I, Demetrio Falereo, un ateniese già governatore di Atene, che era stato formato alla filosofia aristotelica da Teofrasto, convinse il sovrano a fondare in Alessandria un vasto edificio da destinare agli studi e dedicato alle Muse, il Museo, sul modello di quello già fondato in Atene presso il Peripato, e che lo stesso Demetrio aveva contribuito a realizzare. Esso comprendeva una ricca biblioteca, per allestire la quale furono fatti venire dalla Grecia e da ogni regione del mondo allora conosciuto copie di tutte le opere più significative riguardanti ogni ramo del sapere umano.
Demetrio Falereo, inoltre, chiamò ad Alessandria, per procedere all'organizzazione della nuova istituzione, il filosofo aristotelico Stratone di Lampsaco, il quale venne portando con sé, dalla Grecia, numerosi materiali scientifici e una quantità impressionante di volumi, dando una spinta decisiva alla nascita e allo sviluppo del Museo e della Biblioteca.
Alla fine, la Biblioteca di Alessandria avrebbe raggiunto la cifra impressionante di settecentomila volumi su papiro, ciascuno dei quali, per renderne agevole la consultazione, venne contrassegnato da una scheda con il nome dell'autore, il titolo dell'opera e alcuni altri dati essenziali; sicché si può affermare, senza timore di esagerare, che non solo le biblioteche moderne, ma lo stesso libro, così come lo conosciamo oggi, è un prodotto della grandiosa iniziativa realizzata ad opera degli studiosi del Museo alessandrino.
Come è noto, la Biblioteca di Alessandria venne distrutta, successivamente, in tre fasi: con l'incendio del 48 a. C., durante il «bellum alexandrinum» di Giulio Cesare, alleato di Cleopatra; nel 390, per opera di una folla di cristiani fanatizzati dal vescovo Teofilo (gli stessi che assassinarono Ipazia, l'ultima significativa personalità del neoplatonismo ad Alessandria); e, infine, nel 642 d. C. allorché gli Arabi conquistarono la città e, nel nome di Allah e del profeta Mohammed, abbatterono il dominio bizantino nella valle del Nilo.
Il Museo, a sua volta, era molto di più di un semplice antenato degli attuali musei di scienze naturali, dal momento che comprendeva un giardino zoologico, in cui erano state riunite le specie animali più svariate ed esotiche (soprattutto per volontà di Tolomeo II Filadelfo); un giardino botanico altrettanto prezioso, quanto a varietà e dovizia di piante; un osservatorio astronomico, o meglio, una serie di osservatori per le osservazioni astronomiche; un certo numero di sale anatomiche, nelle quali si praticavano la dissezione dei cadaveri, nonché la vivisezione degli animali e anche di esseri umani, prelevati dalle carceri reali fra i criminali già condannati (cfr. il nostro precedente articolo «Celso, la vivisezione umana e le aberrazioni della medicina moderna», consultabile anch'esso sul sito di Arianna Editrice).
Tutto questo fervore di attività ruotava attorno ad alcune decine di ricercatori che, stipendiati dal governo, potevano dedicarsi interamente alle loro attività scientifiche e intrattenersi in dotte conversazioni con gli stranieri colti che giungevano dalla Grecia e dagli altri regni dell'Asia, attratti dalla fama e dal prestigio di quello straordinario centro di cultura. 
Gli scienziati del Museo tenevano anche corsi di insegnamento, ma questo aspetto della loro attività era rivolto ad una ristretta cerchia di specialisti che, a loro volta, avrebbero dovuto aiutarli e, nel tempo, sostituirli alla guida della prestigiosa istituzione. L'insegnamento, pertanto, non era finalizzato alla formazione di una classe greco-egiziana colta, quanto piuttosto alla formazione specialistica del personale gravitante attorno al Museo, inteso come centro di cultura elitario e sostanzialmente staccato dal contesto sociale della città e del regno d'Egitto.
In questo senso, il rapporto di relativa estraneità che venne a delinearsi fra il personale del Museo e la società di Alessandria rispecchiava il più generale fenomeno della frattura fra individuo e collettività, tipico dell'Ellenismo, e dal complessivo sentimento di estraniazione del cittadino dalla politica e dalla vita pubblica, dopo che - con l'insorgere dell'egemonia macedone - il modello materiale e spirituale della «polis» era entrato irrimediabilmente in crisi.

Una visione ormai pressoché consolidata della storia della filosofia antica vorrebbe che la nascita delle scienze «particolari» (astronomia, botanica, zoologia, geografia, ecc.) si sia verificata nell'ambito delle politiche  culturali dei regni ellenistici, e specialmente dei Tolomei d'Egitto, consumando un distacco, anzi, una vera e propria «lacerazione» rispetto al filone sono ad allora prevalente della filosofia greca, di cui Atene continuava a restare il centro propulsore, basato sulla ricerca dei supremi perché e delle cause prime e, pertanto, sulla metafisica.
In quest'ottica, la «deviazione» dei «filosofi naturali» di Alessandria, e più precisamente del Museo e della Biblioteca voluti da Tolomeo I Sotér, avrebbe rappresentato la svolta decisiva della cultura occidentale: ossia la separazione tra scienza e filosofia, che non esisteva in Platone e Aristotele e che, d'allora in avanti, sarà, invece, una costante dei successivi sviluppi, accentuandosi sempre più, mano a mano che ci si avvicina alla modernità e ci si inoltra in essa.

Tale, ad esempio, è la rappresentazione delineata da Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero («Protagonisti e testi della filosofia»Paravia, 2000, vol. A, tomo 1, pp. 373-74), che pure mettono in risalto il persistere, anche nello sviluppo delle scienze particolari, di uno tenace «sfondo» filosofico, retaggio della loro origine dal tronco principale della filosofia greca.

«Tutto questo rigoglio delle discipline particolari [in ambiente ellenistico-orientale, e specialmente ad Alessandria) si accompagna ad una forma di divisione del lavoro e di professionalismo, che mete capo al cosiddetto fenomeno della "specializzazione", alla divisione del sapere in una molteplicità di branche coltivate con competenza da una serie di specialisti dei relativi campi d'indagine. Non solo le singole discipline vanno organizzandosi in forma autonoma, prove di concreti rapporti reciproci, ma considerate nel loro insieme sembrano avere ormai perduto ogni relazione con la filosofia. Mentre nell'età classica della cultura greca i grandi filosofi (vedi Platone e Aristotele) trattavano con perizia anche di matematica, fisica e scienze naturali,  e lo scienziato era sempre anche un filosofo, nell'età ellenistica i filosofi trascurano  le indagini scientifiche restringendo  i loro interessi alle interpretazioni generali dell'universo, della conoscenza e della morale, mentre gli scienziati manifestano la propensione ad occuparsi di problemi specifici, al di fuori di ogni connessione con il discorso filosofico. Tale divorzio culturale trova riscontro anche nella dislocazione geografica della cultura, che fa capo a due centri: Atene, antico centro di studi filosofici, e Alessandria, nuovo centro di ricerche scientifiche o, comunque, specialistiche.
Dobbiamo tuttavia aggiungere che la scienza ellenistica, pur nettamente distinta dalla contemporanea filosofia,  non è priva con ciò di uno sfondo filosofico; se infatti sul piano dei contenuti si mantiene lontana dalle tematiche filosofiche, dal punto di vista delle sue strutture logico-concettuali e metodologiche rappresenta senza dubbio il punto di arrivo della lunga tradizione filosofica  che va dagli ionici fino ad Aristotele. La distinzione tra realtà ed apparenza, ra scienza ed opinione, l'universalità del concetto, il processo di astrazione, le indagini sulla logica, le riflessioni filosofiche sulla natura del numero, sullo spazio e sul tempo, sull'infinito, costituiscono, come vedremo, i presupposti della fioritura scientifica dell'età ellenistica. Ma perché le strutture logico-concettuali elaborate dalla filosofia potessero esplicare interamente le loro potenzialità, era necessario che trovassero applicazione negli specifici campi di indagine, abbandonando la loro genericità per assumere, in sua vece, universalità scientifica.. Ovviamente questo circoscriversi degli interessi porta con sé la perdita di quella visione globale ed unitaria dell'uomo e del mondo che aveva costituito il tratto distintivo della cultura classica. Il mondo della scienza nell'età ellenistica è decisamente un mondo più angusto, che ha perduto la ricchezza e la complessa problematicità dell'età classica.»

Ora, a parte il fatto che è molto opinabile l'affermazione secondo cui le singole scienze, in ambito ellenistico, si sarebbero organizzate al di fuori di concreti rapporti reciproci (sappiamo, infatti, che in diversi casi vi fu un utile scambio di informazioni e di ipotesi dall'una all'altra), la conclusione appare contraddittoria, perché, se da un lato si fa notare che era inevitabile che le strutture logiche e concettuali elaborate dalla filosofia, per potersi esplicarsi pienamente, uscissero dalla propria genericità e dessero vita a delle scienze specialistiche, dall'altro si riconosce che tale specializzazione portò al delinearsi di un orizzonte culturale più chiuso e ristretto, che aveva smarrito la ricchezza e la complessità della tradizione classica.
Oltre a ciò, il punto fondamentale sembra essere la contrapposizione esplicita, anche in termini geografici, tra filosofia e scienza, ossia tra i due poli culturali di Atene ed Alessandria. Ma si tratta di una interpretazione accettabile e storiograficamente convincente?
Vediamo.
Prendere per valido il modello qui sopra proposto, significa, in primo luogo, generalizzare l'atteggiamento filosofico di Platone e Aristotele, basato su una compresenza di speculazione metafisica e di attenzione per le singole scienze, prime fra tutte la matematica e la fisica; e, in secondo luogo, sostenere che esso continuò a costituire il filone principale del pensiero greco anche dopo il costituirsi delle singole scienze in discipline autonome.
Ora, né l'una cosa né l'altra sembrano reggere al vaglio di una critica spassionata ed equanime.
Anche prima di Platone e Aristotele vi erano stati importanti pensatori che avevano deliberatamente circoscritto il campo dei propri interessi alle questioni filosofiche generali, anzi, a singoli aspetti di esse, ad esempio all'etica o alla teoria della conoscenza. Valga per tutti l'esempio più illustre, quello di Socrate, di cui ci viene bensì tramandato che, da giovane, si fosse dedicato agli studi sul mondo fisico; ma la cui fama e la cui importanza, in realtà, sono legate esclusivamente alla sua appassionata ricerca intorno ai problemi spirituali dell'uomo e, in particolare, al «conosci te stesso»,  cui già esortava l'Oracolo di Apollo.
Inoltre, le principali «nuove» filosofie ellenistiche - epicureismo, stoicismo, scetticismo - concentrarono i propri interessi intorno ai problemi etici e spirituali, proprio come aveva fatto Socrate; e, se si dotarono anche di sistemi di fisica, lo fecero o prendendo a prestito dottrine precedenti (come l'atomismo di Democrito, nel caso dell'epicureismo), o rielaborando dottrine antiche in forma moderna (come il panteismo, la visione ciclica del mondo e il provvidenzialismo, nel caso dello stoicismo). Perfino i seguaci dell'Accademia e quelli del Liceo non fecero altro che tramandare le acquisizioni fondamentali dei rispettivi fondatori, mostrando una scarsissima originalità e capacità di rielaborazione.
Sarebbe più esatto, pertanto, affermare che il tanto decantato «divorzio» tra filosofia e scienza in età ellenistica non è, in realtà, che un effetto di prospettiva, dovuto alla circostanza che, dopo Aristotele, l'età dei grandi sistemi speculativi aveva concluso il suo ciclo, proprio nel medesimo tempo in cui, ad Alessandria (ma anche a Pella, Pergamo ed Antiochia) nasceva un nuovo atteggiamento scientifico, basato sulla specializzazione e sulla concretezza della ricerca, che fu a sua volta un riflesso, e non la causa, dell'esaurirsi della «spinta» metafisica del pensiero greco.

Ha scritto in proposito Francesco Adorno ne «La filosofia antica» (vol. II, Milano, Feltrinelli, 1961, 1991, pp. 249-254):

«Cleante aveva definito la scienza conoscenza delle cose umane e divine, e tra le parti della filosofia aveva posto la teologia: l'ordine umano, la virtù dell'uomo consisteva per lui nel realizzare se stessi, in quanto tale realizzazione, se consapevoli, significava realizzare ad un tempo la legge e Dio, per cui, anche se in contenuti doversi e in conclusioni metafisica, mente diverse, tornava a farsi viva l'impostazione del Platone delle "Leggi" o, almeno, quella stessa religiosità che, se per un lato poteva servire come strumento politico con cui giocare sulle masse incolte,  legate ai vecchi dei, ai vecchi riti e culti,  dall'altro lato rispondeva a certe esigenze d'evasione dalla vita mondana, che, senza dubbio, si facevano sempre più vive soprattutto in Atene,  durante il III secolo. Esse in seguito dettero luogo a molte forme di irrazionalismo religioso, che si tradussero poi  (II-I secolo a. C.) in tentativi di gnosticismo simbolico, per il quale si curarono sia certe espressioni di Platone.,  sia certe espressioni ed aspirazioni di alcuni stoici sia una certa interpretazione della tradizione pitagorica,, in una sistemazione di antiche tradizioni cultuali diverse, che facevano capo ai Misteri e particolarmente al Dionisismo è appunto in quest'epoca e anche oltre che si viene costituendo la teologia orfica, che rifiorisce l'astrologia,  che nasce il "pitagorismo", che si vien sistemando la magia.
Tuttavia, a fianco di Cleante, con Arcesilao e più tardi con Carneade, in un ambiente che, accettate certe condizioni politiche,  lontano dall'immediata presenza dei sovrani residenti a Pella, aveva, nell'ambito delle Scuole, che vennero così a costituire veri e propri  centro politici, una sua libertà culturale, il filosofare poteva essere inteso come consapevolezza critica della validità  delle opinioni, tutte discutibili sul piano di una loro pretesa assolutezza Sembra così interessante ricordare che né per Arcesilao né per Carneade si trovino testimonianze che parlino di loro critiche o polemiche  nei confronti delle scienze o delle opinioni scientifiche che fioriscono contemporaneamente (III secolo) nell'ambiente del Museo di Alessandria, mentre essi se la prendono con quel tipo di scienza (stoica) che pretende  di determinare in assoluto le strutture della realtà, spacciandosi per fisica..
Ora, a parte la situazione politica di Alessandria, che forse non permise la discussione filosofica nei termini in cui si svolse ad Atene, permettendo invece, anche per le possibilità economiche permesse dai sovrani al Museo, ricerche particolari, sta di fatto che se da un lato il filosofare si pone come limitazione critica delle capacità umane rispetto alla costruzione e conoscenza del tutto (dalla scuola di Aristotele ai Megarici, ai Pirroniani, ad Epicuro stesso e a Zenone di Cizio,  ad Arcesilao), dall'altro lato, ma sempre entro i termini di tale consapevolezza critica, filosofia diviene la matematica, la geometria, la medicina empirica, l'astronomia, , la geografia, la meccanica e così via, valide in quanto di ciascuna si colgano le condizioni che ne permettono la costruzione,  che le facciano divenire appunto matematica, geometria, astronomia, geografia. In altri termini non è tanto che Euclide, o Eratostene, o Apollonio di Perga, o Archimede, abbiano fatto delle scoperte in geometria, in fisico-meccanica, in matematica, quanto ch'essi, determinando certi postulati di discorsi, validi entro i termini, i confini ("hóroi") di quei discorsi stessi, hanno dato luogo a quella geometria, a quella astronomia, a quella meccanica, e così via.
Sotto questo aspetto sembra difficile ripetere il vecchio luogo comune che mentre Atene rimase la capotale della filosofia e della retorica,  in Alessandria, al Museo, venne meno la filosofia, che dette il passo  alle scienze particolari, alle descrizioni, alla filologia.  In effetto, quelle scienze particolari, quelle descrizioni, quella stessa filologia, erano esse, entro i termini dello studio delle condizioni logiche dei vari tipi di discorso, quale si era delineato in seno alla scuola aristotelica da Teofrasto a Stratone di Lampsaco, il "fisico", a costituire l'indagine filosofica, la scienza nell'accezione aristotelica, o di deduzione  da principi evidenti per sé, formalmente veri e tali da dar luogo a un discorso coerente e necessario (su cui appunto si verrà costituendo il tipo di discorso  aritmetico-geometrico, indipendentemente dalla pretesa  che quel discorso coincida con il discorso del reale, com'era per certi platonici e, forse, per Platone stesso, e contro cui aveva polemizzato Aristotele), oppure di raccolta di materiale, dovuto all'osservazione diretta, e descrizioni, mediante cui determinare certi principii, o meglio regole, che permettano la classificazione di quelle stese osservazioni, in un ordine che renda razionale il rintraccio dei dati (medicina, astronomia, geografia, meccanica). (…)
Nel III secolo a. C. e nella prima metà del II , lavorarono ad Alessandria, si formarono presso il Museo, o comunque ebbero a che fare con esso, o con i primi discepoli di Aristotele, oltre Stratone di Lampsaco e il suo scolaro, il grande astronomo Aristarco di Samo,. Euclide (fiorito sotto ilo regno di Tolomeo I), i medici Erfilo di Calcedonia ed Erasicrato di Coo, Archimede di Siracusa e Apollonio di Perga, il geografo e matematico Eratostene di Cirene, tecnici e ingegneri come Ctesibio e il suo scolaro Filone di Bosanzio.
Naturalmente non è questo il luogo per soffermarci a descrivere e a esporre il contenuto dell'opera di ciascuno dei citati scienziati (rimandiamo alle singole monografie e alle storie della scienza). Ciò che, invece, qui sembra interessante, è ricordare che anche se ciascuno giunse a possibili conclusioni diverse, tutti accantonarono coi primi discepoli di Aristotele la pretesa della ragione a coglierei supremi perché, le supreme cause e i primi principii (e forse per ciò non ebbe seguito il tentativo di una "fisica" autonoma operato da Stratone di Lampsaco.
In altri ambienti, intanto, altri - da Pirrone e Timone e Zenone di Cizio a Epicuro ad Arcesilao, che, non si scordi, fu discepolo dell'astronomo Autolico e di Teofrasto, a Carneade - accantonavano proprio quella pretesa metafisica, dimostrando  dialetticamente le ragioni della sua insufficienza e puntavano quindi, liberati da quegli ordini precostituiti, sulla capacità umana a costruire il proprio mondo, (donde l'importanza ancora una volta data ala dialettica e alla retorica), potendo, appunto, l'uomo, mediante la retorica e la dialettica, ragionevolmente inserirsi nell'uno o nell'altro storico costume, modificandolo; o, prendendo le mosse dal fatto che l'uomo può inserirsi, modificandolo,  nel suo stesso mondo, senza che già tutto sia compiuto, facevano l'ipotesi che la stessa struttura della realtà non sia necessariamente costituita, ma sia dovuta al caso (Epicuro).
Sotto questo aspetto i filosofi di Atene (a parte Ceante) e i "filosofi" di Alessandria, o, comunque, gli "scientifici", si mossero sullo stesso piano, anche se i primo, o per mancanza di mezzi adeguati, o per una maggiore libertà, o, soprattutto, innestandosi sulla tradizione che aveva avuto inizio con i Sofisti, portarono il proprio discorso sulle condizioni dell'uomo e sulle sua possibilità di conoscenza e di azione (pratica), senza uscire dall'uomo stesso.  I "filosofi" di Alessandria, neppure essi uscendo dal piano umano, vennero, invece, determinando, nell'ambito di ciascuna ricerca, i principii propri a quella ricerca stessa, consapevoli della formalità dei principii, e che ogni scienza è valida, ma entro i termini dei suoi stessi principii, per cui a seconda del tipo di discorso può variare il metodo (dar luogo al discorso geometrico-aritmetico da condizioni logiche; o risalire all'osservazione dei dati e dalla loro raccolta a postulare regole comuni che indirizzino nuove ricerche, dando luogo ai discorsi che costruiscono la botanica, la meccanica, la geografia, la medicina), senza con questo che i risultati raggiunti metano in discussione la validità di ogni scienza, , ché, anzi, le une e le altre possono vicendevolmente trarre, dalle proprie conclusioni, tecniche operative che a loro volta possono determinare nuove teorie (Archimede).»

Ci sembra che l'interpretazione di Adorno sia, nel complesso, più condivisibile di quella proposta da Abbagnano e Fornero.
Rimane, tuttavia, da rendere ragione del prevalere di una nuova concezione della scienza, che si distingue nettamente dalla precedente (a partire da quella dei filosofi ionici: Talete, Anassimandro e Anassimene), appunto, per il suo carattere eminentemente formalistico, ossia per una sorta di indifferenza alla portata generale dei suoi contenuti di verità.
Come ha giustamente sottolineato Adorno, gli scienziati alessandrini non si preoccupano della verità assoluta delle proprie ricerche, bensì della loro coerenza logico-formale; non solo: essi abbandonano decisamente l'orizzonte della metafisica, convinti come sono - esattamente quanto lo erano stati, prima di loro, i Sofisti - che non si danno alcun sapere assoluto e alcuna verità ultima, ma sempre e soltanto dei saperi relativi.
Si tratta di una svolta realmente epocale; che, con la sola eccezione del neoplatonismo, segna un cambiamento definitivo nella prospettiva del pensiero antico. Bisognerà aspettare, infatti, l'elaborazione filosofica del cristianesimo per giungere alla riconquista di un orizzonte totale della filosofia; ciò che culminerà nella grandiosa costruzione di Tommaso d'Aquino e nella Scolastica medioevale.
La domanda che dobbiamo porci, pertanto, è la seguente: quali furono le ragioni che influirono sull'abbandono della prospettiva metafisica e sul trionfo di una ricerca scientifica intesa essenzialmente come insieme di verità logico-formali?
Crediamo che, per tentare di rispondere a un interrogativo così impegnativo, sia necessario uscire dall'ambito specifico della filosofia ed ampliare l'orizzonte al generale atteggiamento, materiale e spirituale, della società e della cultura ellenistiche, di cui i secoli della romanità e lo stesso tardo-antico non furono che il prolungamento ideale.
Le mutate condizioni politico-sociali, proprie dell'ellenismo, avevano posto la domanda di una filosofia capace non solo (e non tanto) di fornire una visione complessiva del mondo, quanto di rasserenare l'animo e di fornirgli un criterio di verità pratica e di giusta condotta in mezzo al tumulto e ai turbamenti della vita. Non è certo un caso che le principali tendenze filosofiche del pensiero greco, dopo Aristotele, si indirizzino verso il campo dell'etica.
Il prevalere della logica formale nei sistemi scientifici elaborati in ambito alessandrino non è che l'altra faccia di questa medesima tendenza. Quello che conta non è la verità in sé, ma l'efficacia dell'operare e la capacità di produrre dei risultati; in altri termini, quello che conta è la validità di una determinata scienza all'interno degli orizzonti dei suoi stessi princìpi. Se la ricerca procede senza contraddizione rispetto ai propri fondamenti teorico-concettuali, allora essa deve ritenersi non già «vera» in assoluto, ma relativamente vera, il che è ritenuto sufficiente rispetto ai suoi presupposti ed ai suoi obiettivi.
Come si vede, vengono qui gettate le basi di quel pragmatismo e di quell'utilitarismo che troveranno la loro piena affermazione nella scienza moderna; nonché di quel tipico atteggiamento riduzionista,  in base al quale non ha importanza l'interconnessione armoniosa fra tutte le parti della realtà (substrato essenziale della «philosophia perennis»), ma soltanto la capacità di agire efficacemente su una singola parte di essa, come nel caso della medicina.
Siamo arrivati così alla conclusione che la scienza moderna è essenzialmente figlia della svolta ellenistica; la quale non è stata all'origine, ma, al contrario, è stata una delle manifestazioni del tramonto dell'orizzonte metafisico del pensiero occidentale.
Quanto tempo e quanti errori saranno ancora necessari perché torni in auge l'intuizione fondamentale di Platone, secondo il quale fare realmente filosofia è, sempre, manifestare la capacità di rapportarsi alla realtà come ad un tutto?