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Manovrando dietro le quinte, nel 1917 Weizmann getta le basi dello Stato d'Israele

di Francesco Lamendola - 10/03/2009

 


Il grande pubblico occidentale a malapena conosce il nome di Chaim Weizmann (1874-1952), l'uomo politico ebreo che, dal 1949 e fino alla morte, ricoprì la carica di primo presidente della Repubblica d'Israele. Eppure si tratta di una delle poche personalità politiche che hanno svolto un ruolo realmente decisivo non solo nella storia del mondo contemporaneo, ma che hanno potentemente contribuito a creare la realtà in cui viviamo, così come essa è, influenzando direttamente le nostre vite e il nostro stesso futuro.
Egli riuscì a svolgere un ruolo così eminente agendo, in gran parte, all'ombra delle diplomazie occidentali, e in particolar modo di quella della Gran Bretagna, la quale, nel contesto della prima guerra mondiale, come potenza imperiale destinata non solo a conquistare la Palestina, strappandola ai Turchi, ma anche a svolgere un ruolo decisivo nella sistemazione del mondo al termine del conflitto, nella Conferenza di Versailles (insieme alle altre potenze vincitrici), era in grado di assumere un ruolo determinante negli sviluppi dell'idea sionista e nel gettare le basi del futuro Stato d'Israele.
Così come, in realtà , avvenne; e proprio come Weizmann aveva previsto.
Abbiamo già avuto modo di osservare che, nella fase finale della prima guerra mondiale, e, poi, durante i lavori della Conferenza di Versailles, si crearono le condizioni adatte perché alcuni uomini politici spregiudicati e decisi, a nome di piccoli gruppi che rappresentavano solo se stessi, ma svolgendo un'efficace opera di propaganda e di persuasione presso i Tre Grandi e i loro consiglieri, fossero in grado di svolgere una parte determinante nella ricostruzione politica postbellica e nella definizione dei nuovi assetti mondiali.
Tale, ad esempio, fu il ruolo svolto da un oscuro professore dell'Università di Praga, Tomáš Masaryk, il quale, affermando di parlare a nome dei Cechi e perfino degli Slovacchi (i quali non avevano mai avuto niente a che fare con i primi, in tutta la loro storia), riuscì a convincere il presidente americano, Woodrow Wilson, della necessità di creare un forte Stato cecoslovacco mediante la distruzione del secolare Impero austro-ungarico, che egli ebbe la notevole abilità di presentare, all'ingenuo e cattedratico inquilino della Casa Bianca, come l'ultima, esecrabile roccaforte del clericalismo e dell'assolutismo (egli era un massone di alto grado e trovò in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti l'appoggio delle Logge massoniche che ne condividevano la concezione politica e il suo logico corollario, ossia quel motto: «Austria delenda est», che era già stato di Giuseppe Mazzini).
Ne abbiamo recentemente parlato nell'articolo «Dietro la fine dell'Austria e le premesse di un'altra guerra mondiale, il cattivo genio di T. Masaryk», consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice), per cui non ci soffermeremo ulteriormente sul suo caso.
Weizmann svolse, per il popolo ebreo, o meglio per quella esigua minoranza di ebrei d'Europa che condividevano le idee sioniste, un ruolo analogo a quello svolto dal professor Masaryk per quella esigua minoranza di intellettuali cechi che, tra il 1914 e il 1918, decisero di dar vita a un proprio Stato nazionale, separandosi per sempre dall'Austria e decretando la scomparsa totale di quel vecchio e collaudato organismo politico multinazionale.
Prima di lui, l'idea sionista - nata con l'ebreo ungherese Theodor Herzl ed espressa nel primo Congresso mondiale sionista del 1897, non era stata che il sogno di pochissimi uomini, considerati da tutti più o meno dei visionari; dopo di lui, si crearono le concrete condizioni perché quel sogno si traducesse in realtà.
Ma chi era, in realtà, Chaim Weizmann, e attraverso quali vie diplomatiche egli riuscì a insinuarsi nella fiducia del conservatore Lord Arthur Jones Balfour(1848-1930), Ministro inglese degli Esteri dal 1916 al 1919 (e già Primo ministro dal 1902 al 1905), un uomo che aveva fama di non credere a nulla e di non fidarsi di nessuno e che, tuttavia, finì per essere completamente dominato da quell'intelligentissimo professore venuto da una sconosciuta cittadina dell'Europa orientale denominata Pinsk?

Di origine russa, Weizmann si era naturalizzato inglese nel 1910 ed era stato professore di biochimica presso l'Università di Manchester. Divenuto uno dei maggiori esponenti del movimento sionista nel 1914, in tale veste, il 2 novembre 1917, egli ottenne dal Governo britannico il rilascio della famosa Dichiarazione Balfour, relativa alla creazione di un «focolare nazionale» (non venne usata la parola Stato) degli Ebrei in Palestina, che costituisce una pietra miliare nella marcia del sionismo verso la formazione dell'agognato Stato d'Israele.
Divenuto poi presidente dell'Organizzazione sionista mondiale, carica che ricoprì dal 1921 al 1931, indi dell'Agenzia ebraica, dal 1935  al 1945, Weizmann fu capo provvisorio dello Stato d'Israele nel 1948 e infine, come si è detto, primo presidente della Repubblica. Una carriera sbalorditiva e un'opera politica gigantesca, per uno sconosciuto professore di chimica trapiantato dalla Russia all'Inghilterra e di cui ben pochi, fuori dell'ambiente sionista, avevano mai sentito parlare, almeno sino all'epoca della prima guerra mondiale.

La storica inglese Margaret MacMillan, autrice di un recente ed ampio saggio sulla conferenza di Versailles, «Sei mesi che cambiarono il mondo. Parigi 1919», così ne delinea la figura e l'opera svolta per conquistarsi la fiducia del Ministro degli Esteri britannico (titolo originale: «Peacemakers», 2001; traduzione italiana di Anna Maria Sioli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2006, pp. 521-28):

«Alto, con una calvizie incipiente e una barbetta a punta, Weizmann somigliava a "un Lenin ben pasciuto" e già allora mostrava grande sicurezza: non solo criticava i veterani del movimento sionista, accusandoli di essere troppo timidi,  ma dissentì pubblicamente dalla proposta di Herzl di acquistare l'Uganda dalla Gran Bretagna per costituirvi uno Stato ebraico. Era infatti convinto,  come alla fine lo sarà la schiacciante maggioranza del movimento sionista, che l'unico insediamento possibile fosse in Palestina, all'epoca una piccola e arretrata provincia  dell'impero ottomano: lì infatti si trovavano i luoghi sacri e i resti dell'ultimo regno ebraico, distrutto dai Romani. Quando gli venne chiesto di spiegare perché gli ebrei avessero diritto alla Palestina, rispose semplicemente: "La memoria è un diritto".
Weizmann disprezzava gli ebrei assimilati e coloro che non sostenevano il sionismo: erano ciechi, anzi, ancor peggio, non avevano il senso della patria. A proposito degli ebrei tedeschi che aveva conosciuto da studente ebbe a dire: "Il punto essenziale che  vene trascurato da molti ebrei e che costituisce invece l'aspetto cruciale della tragedia ebraica è il fatto che quegli ebraiche dedicano le loro energie e la loro intelligenza alla Germania lo fanno in quanto tedeschi e finiscono in tal modo per arricchire la Germania anziché il popolo ebraico, da cui invece si allontanano." Un focolare per gli ebrei in Palestina era a suo parere essenziale. "La Palestina e la creazione della nazione ebraica dall'interno, con i suoi valori e le sue tradizioni, rafforzerebbero la posizione degli ebrei e creerebbero un tipo di ebreo al 100%.
Nel 1914 Weizmann si era stabilito a Manchester come docente di biochimica all'università.  Si era anche fatto strada nell'organizzazione sionista, ormai forte di 130.000 iscritti in regola con le quote, ma non aveva  ancora raggiunto la posizione che riteneva di meritare. Gli ebrei dell'est lo consideravano infatti troppo anglicizzato, quelli inglesi troppo russo; inoltre, con le critiche mosse a Herzl, aveva ferito molti esponenti della vecchia generazione, offendendo nello steso tempo molti coetanei con il suo sarcasmo e l'intolleranza  nei confronti dei seccatori. Più che discorsi teneva lezioni, calate dall'alto della sua superiorità. Abba Eban, il futuro ministro degli Esteri israeliano, che aveva lavorato per Weizmann, avrebbe detto di lui: "Rivelava la parsimonia di eloquio e di emozioni tipica dello scienziato, un forte senso della realtà e un'insistenza quasi crudele nel raccontare al suo pubblico ebraico quanto sarebbe stato difficile e complesso il loro compito di sionisti". Alla fine divenne il leader del sionismo perché non vi era nessun altro che potesse  assumere quel ruolo. Spesso si scoraggiava, minacciando di dimettersi, ma non rinunciò mai all'obiettivo di lungo termine che si era dato: la creazione di uno Stato ebraico in Palestina. Forse il suo principale  contributo al sionismo fu la straordinaria capacità di conquistare  alla propria causa figure di primo piano all'interno all'interno sia della comunità ebraica, sia della classe dirigente di tutto il mondo.  Come ebbe a dire a un avversario politico, "partendo da zero, io, Chaim Weizmann, uno "yied" [ebreo] di Pinsk e solo un quasi professore di un'università di provincia, ho organizzato il fuor fiore del popolo ebraico in vita di un progetto che probabilmente Rotschild (Lord) e i suoi ammiratori considerano folle."
Con la guerra Weizmann accelerò la sua attività, tanto che - secondo le sue stesse stime - ebbe duemila incontri con uomini politici, funzionari pubblici, diplomatici, chiunque potesse tornare utile al fine di assicurare la Palestina agli ebrei. Riuscì perfino a superare la distaccata avversione nei confronti degli stranieri e degli ebrei presente nelle classi superiori britanniche di fronte al suo "pacato entusiasmo", alla "straordinaria solennità del suo atteggiamento" ci si dimenticava, osservò sorpreso Cecil,  del suo "aspetto piuttosto repellente e perfino sudicio". Weizmann lo conquistò, così come riuscì a guadagnarsi l'ancor più importante appoggio di Balfour, cugino di Cecil  e ministro degli Esteri dopo il 1916. Fu un'amicizia strana quella nata fra l'ardente ed impegnato ebreo  dell'est e il fascinoso uomo di mondo inglese che aveva sempre vissuto tra gli agi, ma di importanza cruciale  per Weizmann e per il sionismo. (…)
Balfour incontrò Weizmann per la prima volta nel 1906: "Fu quella conversazione con Weizmann a farmi capire che il patriottismo  ebraico era unico. L'amore per il loro paese non poteva essere soddisfatto dal progetto Uganda." Nel 1914 i due uomini si incontrarono di nuovo e, stando a quanto riferito da Weizmann, Balfour gli disse con evidente emozione: "State lavorando per una grande causa, mi farebbe piacere rivedervi più e più volte." Il ministro degli Esteri britannico non fu la sola conquista di Weizmann: Churchiull, Sykes e Charles Prestwich Scott divennero a loro volta suoi sostenitori e, soprattutto, lo divenne anche Lloyd George.
Non diversamente da Balfour, anche il primo ministro era cresciuto con la Bibbia "Mi era stato insegnato molto di più sulla storia degli ebrei che sulla storia del mio paese. Sapevo citare i nomi di tutti i re d'Israele, ma non erano forse in grado di  ricordare nemmeno una mezza dozzina di re d'Inghilterra e altrettanti re del Galles [Lloyd George era gallese, nota nostra]. E poi, gallesi ed ebrei non erano forse abbastanza simili, popoli entrambi religiosi, dotati di talento e amanti del sapere? Quando le truppe britanniche conquistarono Gerusalemme, Lloyd Geogrge si entusiasmò di fronte a quell'impresa "che generazioni di cavalieri europei non erano riusciti a realizzare." (…)
Durante la guerra, all'epoca del suo mandato come ministro degli Approvvigionamenti, Lloyd George amava dire di aver contratto un debito particolare nei confronti di Weizmann: la Gran Bretagna si era infatti ritrovata con un disperato bisogno di acetone,  essenziale per la produzione di esplosivi, e Weizmann  che casualmente stava studiando un processo per la sua produzione  su larga scala, con un gesto generoso lo aveva messo  a disposizione dei britannici per tutta la durata dei britannici e a titolo gratuito.  Quando Lloyd George gli aveva chiesto di accettare un'onorificenza dal re, la risposta di Weizmann era stata: "Io non desidero nulla per me", e solo di fronte all'insistenza del ministro aveva chiesto appoggio per la causa sionista.  Fu questa l'origine della famosa dichiarazione sul focolare nazionale  per gli ebrei in Palestina, scriverò in seguito Lloyd George  nelle sue memorie. I francesi avevano però un'altra teoria,  e cioè che una delle sue amanti fosse la moglie di un importante uomo d'affari ebreo.»

A proposito dei Francesi, giova ricordare che, inizialmente, l'accordo Sykes-Picot tra la Gran Bretagna e la Francia (16 maggio 1916) prevedeva che, nella futura spartizione del Medio Oriente tra le due potenze, la Palestina sarebbe rientrata nell'area di pertinenza della seconda; ma Weizmann non si fidava di Parigi, sicché si può avere una prova indiretta della sua straordinaria capacità di manipolatore dietro le quinte dal fatto che, alla fine, riuscì a convincere i suoi protettori inglesi che era nell'interesse dell'Impero britannico tenere per sé la Palestina, una volta che il generale Allenby l'aveva conquistata nel corso della campagna contro l'esercito turco.
Egli descrisse loro una futura Palestina ebraica come un elemento essenziale per la strategia e per l'economia dell'Impero: assicurò che avrebbe costituito un fattore di stabilità e, al tempo stesso, un validissimo elemento di controllo della delicata regione che va dalla Turchia al Mar Rosso, vitale per il passaggio delle navi inglesi da e per le Indie, attraverso il Canale di Suez. Descrisse in toni idilliaci una sorta di "Belgio del Vicino Oriente", prospero e politicamente fidato, la cui esistenza sarebbe andata a tutto vantaggio dell'Impero britannico.
Weizmann ebbe, peraltro, la straordinaria abilità di glissare su due aspetti fondamentali della questione: il rapporto politico con la Gran Bretagna e la sorte riservata alla popolazione araba della Palestina.
Per quanto riguarda il primo aspetto, egli non disse o fece mai nulla che potesse mettere in allarme i suoi potenti protettori, come alludere a una volontà di indipendenza dello Stato di Israele: presentò sempre il «focolare nazionale» ebraico in Palestina come una pedina del sistema imperiale britannico, essenziale per la sua difesa.
Quanto alla seconda questione, egli non sostenne mai che la Palestina sarebbe dovuta diventare uno Stato ebraico, ma che ebrei ed arabi avrebbero potuto convivere in essa pacificamente e laboriosamente.
L'unico, forse, che non riuscì ad incantare con la sua parlantina fu Lord George Curzon, governatore generale dell'India dal 1899 al 1905 , ministro nel 1915 e membro del Comitato di guerra dal 1916, nonché futuro ministro degli Esteri come successore di Balfour. Egli era uno dei pochi dirigenti inglesi che avesse visitato la Palestina di persona e che, pertanto, fosse in grado di esprimere una opinione in merito a ragion veduta. Fu lui a porre la scomoda e franca domanda: «Che ne sarà della popolazione locale in Palestina?» (riportata nella biografia di Curzon di D. Gilmore, 1994).
Era una domanda sensata, ma nessuno, all'epoca, fra i circoli dirigenti britannici, sembra essersela posta, ad eccezione di Lord Curzon. E di Lord Montagu (quest'ultimo di religione ebraica), il quale ultimo vedeva nella creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina un pericoloso elementi di richiamo per i sudditi ebrei della Gran Bretagna, che avrebbe creato un vero e proprio conflitto di fedeltà tra la patria adottiva e quella di origine.
Fu così che il Gabinetto di guerra britannico accolse le tesi di Lord Balfour, cosa che fu annunciata da Sykes all'infaticabile propagandista sionista con la celebre frase: «Signor Weizmann, è un maschio!». Dopo di che, Balfour comunicò la decisione del Governo britannico di autorizzare la costituzione di un focolare ebraico in Palestina, e di volersi adoperare attivamente in tal senso,   in una lettera all'ebreo inglese Lord Rotschild,.
L'indomani della comunicazione ufficiale del documento noto come «Dichiarazione Balfour», il «Times» titolava: «La Palestina agli ebrei».Lo scaltro Weizmann, dal canto suo, si prodigava a dichiarare che gli ebrei non desideravano affatto creare un loro Stato in Palestina, «per il momento».
Ma ormai il dado era stato tratto, e sia la stampa, sia gli ambienti diplomatici parlavano del futuro insediamento ebraico in Palestina come di un vero e proprio Stato. Nell'esercito britannico, alcune unità dei Fucilieri Reali composte da ebrei andarono a formare un corpo speciale, comunemente noto come Legione ebraica, per impulso di un giornalista ebreo russo, Vladimir Jabotinsky.  
Nell'estate del 1918, alla presenza del generale Allenby, il conquistatore della Palestina, Weizmann ed altri esponenti sionisti posero la prima pietra dell'Università ebraica di Gerusalemme, su di un terreno da loro acquistato.
Poco dopo,  lo stesso Weizmann ebbe formale mandato dal Governo britannico di recarsi in Palestina alla testa di una speciale commissione ebraica la quale, pur avendo, nominalmente, solo compiti di collegamento con le autorità britanniche, cominciò a comportarsi come un governo in via di formazione.
La strada che avrebbe condotto, nel 1948, alla proclamazione dello Stato d'Israele, era stata spianata.
Ma oggi, come allora, la scomoda domanda di Lord Curzon, «Che ne sarà della popolazione locale in Palestina?», attende ancora di avere una risposta.