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La Meccanica Quantistica: un prototipo di scienza partecipatoria

di Michel Bitbol - 10/03/2009

In verità, lo straordinario isomorfismo che abbiamo appena documentato ha inoltre stimolato un senso di vaga analogia, se non di identità, tra i due problemi. Molti tentativi di incorporare il problema mente-corpo e il problema della misura in meccanica quantistica sono stati fatti in passato, nel nome di questo isomorfismo. Un primo gruppo di autori, da C.G. Darwin (Darwin, 1929) a E. Wigner (Wigner, 1979), avevano contato su una visione dualistica del problema mente-corpo per dare al problema della misura una "soluzione" dubbia: il collasso della funzione-d'onda per opera di un atto di consapevolezza cosciente. Un secondo gruppo di autori, specialmente H. Stapp (Stapp, 1993) e R. Penrose (Penrose, 1994), si aspettano in meccanica quantistica una "soluzione" riduzionistica del problema mente-corpo. Specialmente la tesi di Stapp è affascinante a questo riguardo, per il fatto che essa conta sulla pura fusione dell'attualità dei microfenomeni sperimentali (e della loro controparte formale, cioè lo stato di riduzione), con l'attualità dell'esperienza cosciente. Secondo Stapp, un atto cosciente è il "sentire" della riduzione di uno stato quantico generale del cervello (Stapp, 1993, pp. 43, 149, 153)[xxiv]
Ma alla luce della nostra analisi, tutti questi approcci derivano da un duplice errore e da una duplice confusione: (i) confondere il punto cieco della conoscenza oggettiva con una entità mancante (materiale o mentale), e (ii) il tentativo confuso di collocare questa falsa "entità" da qualche parte all'interno di un dominio di conoscenza la cui reale esistenza presuppone l'istituzione e il mantenimento del corrispondente punto cieco.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo esplorato due "soluzioni" trasversali del problema difficile della coscienza. Queste due "soluzioni" erano profondamente mescolate, ma possono essere separate come segue. La prima si concretizza in un rilassamento delle tensioni e ci permette di essere penetrati dal senso di mistero che si genera proprio dal fatto di "esser-ci", in questa situazione speciale umana e individuale. La seconda consiste nell'impegnarsi in un programma di ricerca, in continuo sviluppo, circa i correlati neurali ( o condizioni necessarie) dei contenuti esperienziali, senza preoccuparsi di cercare una spiegazione dell'esperienza cosciente attraverso processi neurali. Come ho tentato di mostrare, lontano dall'essere incompatibili l'una con l'altra, le due vie emerse sono verosimilmente complementari (nel senso usuale, non bohriano). Di conseguenza, nonostante la cieca fede materialista nell'onnicomprensivo potere della scienza, la seconda via è permanentemente destinata ad assumere la prima come la sua tacita ancora creativa presupposizione. Ma allo scopo di raggiungere una visione più chiara di questa complementarità, sono richieste alcune considerazioni più precise riguardo ai due orientamenti di pensiero.
Tanto per cominciare, è interessante notare che un atteggiamento "atarassico" nei confronti del problema della coscienza è stato assunto non solo dopo ma anche prima dell'avvento delle neuroscienze cognitive. Perciò, seguendo il "monismo neutro" di E. Mach, o l'empirismo radicale di W. James e di B. Russel, R. Carnap assunse " (...) ciò che è epistemologicamente primario, ovvero le esperienze stesse nella loro totalità e unità indivisa" (Carnap, 1967, §67) come "base" del suo primo comportamentismo costruttivista. Secondo il giovane Carnap, optare per qualsiasi altra scelta, per es. tentare di spiegare ogni cosa (incluso l'esperienza cosciente) su di una base fiscalista, equivarrebbe a sviare, perché significherebbe invertire l'"ordine epistemico" che di fatto va dal retroterra esperienziale alle entità costruite. Ciò è garantito, spiegando l'esperienza come già avviene, attraverso una definizione al di fuori della portata delle scienze oggettive. Infatti le spiegazioni scientifiche possono usare solo concetti costruiti, e perciò fin dall'inizio non sono in grado di giustificare il materiale usato per le loro costruzioni. Similmente, Carnap ha sottolineato che una spiegazione scientifica del "parallelismo psicofisico" è per definizione irraggiungibile. La metafisica tenta di fornire spiegazioni speculative, postulando una terza entità sostanziale di cui le due serie sono meri aspetti. In contrasto, la scienza oggettiva non può fare più che constatare che "(...) sequenze parallele di questo tipo possono essere prodotte come costrutti". In altri termini, non si può andare oltre il mostrare che una corrispondenza reciproca può essere imposta tra le serie psicologiche e le numerose serie fisiche (inclusa quella neurofisiologica). Comunque, " (...) questo non significa che ci sia una lacuna nella scienza: una questione che va oltre, non può persino essere formulata all'interno della scienza" (Carnap, 1967, §169). Qui il punto cieco costitutivo della scienza è pienamente riconosciuto. Ma nello stesso tempo viene prontamente messo al sicuro da ogni manifesta lacuna.
Fino a un certo punto, Carnap era sulla strada giusta. Le sue vedute sono efficienti specialmente nello sminuire il conflitto ricorrente tra la Nagel-Jackson-Chalmers dichiarazione d'incompletezza della scienza naturale e la rivendicazione eliminativista o riduzionista di completezza. Infatti, la posizione di Carnap può essere caratterizzata come una via di mezzo bilanciata: Sì, c'è un punto cieco; no, non c'è alcuna lacuna. O, parlando più precisamente: Sì, c'è un'incompletezza costitutiva; no, non c'è un'incompletezza epistemica.
(a) Incompletezza costitutiva.
La scienza oggettiva non può comprendere il truismo (la verità evidente) che tu sei tu; un essere umano, non un pipistrello. Per di più, in quanto modalità di conoscenza, la scienza oggettiva è completamente estranea alla circostanza che tu possa mai essere un pipistrello. Infatti, in quel caso, nessun elemento di conoscenza verrebbe guadagnato con un cambiamento della tua identità e della tua specie. Anche essendo un pipistrello, non sapresti ancora "che cosa si prova a essere un pipistrello"; saresti soltanto immerso in esso. La conoscenza (oggettiva) richiede una distanza, mentre "che cosa si prova a essere un pipistrello" presuppone il ritrovarsi nell'esser-ci.
(b) Completezza epistemica.
E' chiaro che la scienza oggettiva non perde nessun dato di tipo fattuale, nessun elemento di conoscenza, come conseguenza del tipo elusivo di incompletezza menzionato nel punto (a). Infatti la scienza oggettiva potenzialmente comprende ogni caratteristica strutturale dell'esperienza, e la struttura rappresenta tutto ciò che può essere saputo relativamente a "ciò che si prova a essere un pipistrello". Il resto è pura partecipazione.
Ricapitolando: sì, l'argomento di Nagel-Jackson-Chalmers suona perfettamente; no, la difesa eliminativista o riduzionista della scienza oggettiva non è sbagliata. Questa è una lezione cruciale da imparare dal primo sistema costruttivista di Carnap.
Comunque, molte obiezioni possono essere mosse contro questo sistema costruttivista. Esse sono state formulate da molti autori, incluso il Carnap della maturità. Una obiezione fondamentale riguarda i cosiddetti elementi della costruzione. Nonostante Carnap abbia criticato Mach per aver chiamato "elementi" una gamma di entità astratte (per es. i dati di senso), le sue indivise "esperienze elementari" non se la passano meglio. Infatti dopo tutto, come è stato ripetutamente sottolineato dopo Wittgenstein, ciò che si dice circa le esperienze non può essere considerato primitivo. Anzi, si tratta del più elaborato tipo di discorso, perché basato sulla retrostante accettazione del linguaggio ordinario e sul riferimento a oggetti pubblici. L'esperienza può essere giustamente considerata primaria dal punto di vista fattuale, ma secondaria dal punto di vista discorsivo. Prenderla come base essenziale in una teoria discorsiva è perciò fortemente discutibile. Questo può spiegare perché le concezioni che assumono l'esperienza come il loro incondizionato punto di partenza non siano mai state molto popolari nonostante siano intuitivamente attraenti. Un'altra obiezione è che Carnap, così come molti altri filosofi, non ha niente da dire riguardo a come una reciproca corrispondenza possa essere implementata tra serie psicologiche e fisiche. Il programma di disciplina esperienziale, che è così centrale nella neurofenomenologia di Varela, viene completamente saltato da Carnap.
Così, torniamo ora alle più recenti varietà di attitudini "atarassiche" libere da queste mancanze. Scostandosi dalla tradizione empirista radicale, H. Putnam è molto attento nel criticare le nozioni filosofiche popolari di dati di senso ed esperienza privata. Egli ha sistematicamente riabilitato espressioni comuni quali "appare ad A che l'oggetto X è bianco", invece dell'idioma filosofico "che sono ‘bianco' i dati di senso nella mente/cervello di A". Al contrario di Carnap, Putnam non ascrive all'esperienza alcuno stato teoretico fondamentale; egli piuttosto invoca una posizione "realista naturale" attorno al senso comune e al linguaggio ordinario. Di più, quando alla fine egli accetta di affrontare "il mistero del mentale", Putnam rifiuta ogni prospettiva di spiegazione, attraverso la derivazione o l'"emergenza" da una base fisica. Egli equipara questo mistero al mistero dell'esistenza dell'"universo fisico stesso" (Putnam, 1999, p.174), del quale non abbiamo niente da dire perché è la condizione di tutto il resto. Questa identificazione può essere presa come un riconoscimento obliquo e non-ambiguo che l'esperienza è (in ultimo) tanto primitiva quanto l'universo. Secondo Putnam, non appena si nega uno statuto scientifico (e/o significativo) alla domanda "perché c'è un universo fisico piuttosto che niente?", si dovrebbe negare uno statuto scientifico (e/o significativo) alla domanda "perchè c'è esperienza piuttosto che niente?". Una ragione per questo comune rifiuto è verosimilmente il fatto che queste due domande sono strettamente in relazione. Dopo tutto, il tipo di domanda (non-scientifica e/o non-significativa) che inquadra meglio tale questione è: "perché c'è l'esperienza-di-un-universo-fisico piuttosto che niente?" o anche "perchè c'è (questo indiscriminato) qualcosa piuttosto che assolutamente niente?". Ogni slittamento tra l' "esperienza" e l' "universo fisico" in questo contesto è destinato ad essere un sottoprodotto dualistico (discutibile) dell'analisi filosofica. Se qualsiasi domanda sul "perchè?" dell'esistenza dell'universo fisico esperito è scientificamente senza significato, allora così è, automaticamente, per qualsiasi domanda sul "perché?" dell'esistenza dell'esperienza di un universo fisico.
Per riassumere, la posizione di Putnam combina (i) la negazione esplicita dello stato teoretico di base delle entità esperienziali in uno stile Wittgensteiniano, e (ii) l'implicita presupposizione dell'esperienza come onnipervasivo e non problematico sottofondo di ogni sviluppo teoretico e discorsivo. Il punto (ii) dell'approccio di Putnam ci guida ora verso la seconda direzione emersa: esattamente pratica; connessa appunto allo sviluppo dell'interrogare scientifico. In verità un'eccessiva focalizzazione sulla pratica scientifica può generare illusioni e asimmetrie, nel momento in cui ci spinge a negare ciò che non è (e non può essere) l'oggetto di indagine di una qualche realtà. Ma un piccolo sforzo riflessivo è necessario per realizzare che quelle pratiche verbali o sperimentali che non hanno niente da dire sull'esperienza situata, sono ciononostante inestricabilmente incastonate con questa esperienza situata. Le pratiche perciò possono esprimere il loro retroterra esperienziale (o mostrare indirettamente qualcosa di esso), ma possono anche dargli forma. Le pratiche possono essere studiate con questo spirito, e possono essere complementate allo scopo di aumentare la loro capacità a mostrare o a modellare.
Wittgenstein è stato il primo consistente esponente di questo programma di ricerca cripto-fenomenologico. Egli era consapevole di poter essere facilmente accusato di trascurare " (...) ciò che accade al di là del dire", cioè "l'esperienza o qualunque cosa tu possa indicare con questo termine (...) ovvero il mondo dietro le pure e semplici parole" (Wittgenstein, 1968b). Ma egli insisteva sul fatto che, proprio perché ciò accade indipendentemente dal dire (poiché è universalmente presupposto), egli non potesse fare altrimenti[xxv]. Come poter descrivere ciò che è la tacita presupposizione di ogni descrizione senza violare le regole costitutive del linguaggio? L'accusa di negligenza è stata perciò vista essere irrilevante: "Ciò che mi rimproveri non è come se dicessi: ‘Nel tuo linguaggio, tu stai solo parlando!' " (Wittgenstein, 1968b). Di conseguenza (vedi la sezione 1), Wittgenstein si è concentrato su come una complessa forma di vita che includa l'esperienza in prima persona, la comunicazione intersoggettiva e la caratterizzazione oggettiva del comportamento, possa fissare le regole d'uso di una terminologia espressiva. Questa terminologia dischiude e modella allo stesso tempo un insieme di ambiti esperienziali.
Come ho menzionato precedentemente, anche Varela si è concentrato sulle pratiche, piuttosto che su illusorie spiegazioni teoretiche dell'esperienza cosciente. Il suo specifico suggerimento consisteva nel complementare la gamma di pratiche standard della scienza con una attenzione disciplinata, e nel connettere l'esito in prima persona di questa attenzione con le invarianze neurobiologiche. Tali pratiche sofisticate chiaramente hanno un'attitudine svelante (attraverso la loro componente "descrittiva" fenomenologica), ma si focalizzano anche sul modellare l'esperienza (i) attraverso la riduzione fenomenologica sulla quale esse si basano, e (ii) attraverso il feedback circolare neurofenomenologico che esse istituiscono. Lontano dal generare una sorta di miopia oggettivistica, il motto "sviluppare proprio l'interrogare scientifico" prende parte a un progetto più ampio in cui la soggettività viene riconosciuta sia come un retroterra ubiquitario sia come un partner dialettico. Per concludere, dobbiamo capire che adottando tale attitudine, Varela ha promosso un salto epistemologico che può solo essere comparato con il Darwinismo.
Prima di Darwin, la scienza naturale era metodologicamente ristretta a fatti riproducibili e alla necessità di una descrizione basata su leggi. Ogniqualvolta la contingenza vi entrava, essa era importata da un ambito non scientifico (per es. dalla teologia dove era presente il finalismo). Ma Darwin incluse la contingenza nel dominio scientifico estendendo i metodi della scienza a una storia naturale fatta di variazioni casuali (genotipiche e fenotipiche) più la "selezione del più adatto". Questo metodo risultò così potente che alcuni autori recentemente hanno offerto una spiegazione darwiniana di un tipo di contingenza onnipervasiva: quella delle leggi della natura stesse (Smolin, 1999).
Similmente, fino ad ora, la scienza naturale (nel senso della Naturwissenschaften tedesca) bandiva intrinsecamente la soggettività, o più in generale la situatità, e le stesse procedure di "simulazione" intersoggettiva o intersituazionali. Essa era costitutivamente (e per eccellenti ragioni epistemologiche) estranea a quella che possiamo chiamare la contingenza ultima: che tu sei tu, con questa nascita, questa biografia, questo genotipo, questi progetti, questi punti di vista, questo modo di vedere le cose, questi sentimenti ... questa situazione. Non il secco fatto (terza persona) che ci sia una tale entità nel mondo comune, ma la banalità generante timore riverente (prima o seconda persona) che tu coincidi con questo unico centro di prospettiva, che tu sei il centro di coordinate del tuo mondo locale. Questo strutturalmente escludeva un aspetto della scienza naturale cui tradizionalmente veniva data importanza (per un motivo o per l'altro) dalle scienze dello spirito (Geisteswissenschaften), nel loro più specifico senso tedesco. Ma attualmente siamo testimoni di una molteplice tendenza a una fertilizzazione reciproca delle due Wissenschaften incompatibili in passato. Dopo la contingenza storica e ordinaria, il "comprendere" ermeneutico, con la sua capacità di affrontare quella che ho chiamato la "contingenza ultima", si sta insinuando in molti livelli della scienza (nonostante la caricatura di Sokal). La ragione di questo fatto è che il programma di "naturalizzazione" richiede imperativamente una mai avvenuta prima rottura (e un ampiamento) della rete procedurale della scienza naturale allo scopo di superare il momentaneo fallimento delle varie forme di riduzionismo. Nel campo della scienza della mente, l'implicita ermeneutizzazione della scienza oggettiva da parte di P. Churchland (ispirata da Kuhn), rappresenta un mezzo riconoscimento di questo bisogno. Ma il programma di Varela di sviluppare vincoli reciproci tra le descrizioni in prima persona e quelle in terza persona sembra essere la prima diretta formulazione della tendenza ad espandere l'area di entrambe le Wissenschaften unificando le loro branche precedentemente separate a un livello metodologico più alto. Varela ha posto chiaramente il disegno e i principi del progresso epistemologico.
Come ho mostrato nella sezione 3, le sue idee furono anticipate solo dalla meccanica quantistica (anche se criticamente, nel modus operandi del formalismo e in una delle sue interpretazioni). Infatti, nella struttura della meccanica quantistica, la svolta metodologica, che consiste nell'includere sia i resoconti situati sia le entità invarianti in un processo non riduttivo di sintonizzazione fine, è già stata messa in pratica. Poche decadi ancora (e un po' più di lavoro circa i fondamenti) possono essere necessari per realizzare questo in modo più convincente. Qui come nella scienza della mente, ci sono ancora delle resistenze. Ma la caduta delle resistenze che si generano in entrambe le discipline è probabile che venga drammaticamente promossa da una piena presa di coscienza della loro origine comune.

di Michel Bitbol
Traduzione a cura di Fabio Negro, Centro Studi ASIA
Revisione: Michel Bitbol

Note dell'autore:
[XVI] " (...) la nuova situazione in fisica ci ha così forzatamente richiamato alla mente la vecchia verità che noi siamo e spettatori e attori nel grande dramma dell'esistenza" (Bohr, 1987, p. 119).
[XVII] "La scienza naturale non ci descrive e spiega semplicemente la natura; essa fa parte dell'intergioco tra la natura e noi stessi; essa descrive la natura così come è esposta al nostro modo di indagarla" (Heisenberg, 1990, p. 69).
[XVIII] Perfino quelli che non sono interessati agli sviluppi puramente epistemologici dovrebbero considerare seriamente il bisogno di uno studio parallelo tra la meccanica quantistica e la scienza della mente senza un preconcetto di tipo fisico. Come M. Lockwood ha persuasivamente notato, "Mi sembra che il pregiudizio in favore della materia svuoti di ogni musicalità (bellezza? Fascino?) la ricerca scientifica di un fondamento. La meccanica quantistica ha spogliato la materia della sua solidità concettuale quasi tanto quanto della sua pura solidità. La mente e la materia sono in egual misura profondamente misteriose, filosoficamente parlando. E ciò che il problema mente-corpo richiede, quasi certamente, è una reciproca accomodazione: tale da richiedere un'aggiustamento concettuale da entrambi i lati del confine mente-corpo" (Lockwood, 1898, p. X).
[XIV] Misure non precise costituiscono un altro modo, più formale, di vedere che i due aspetti cosiddetti "esclusivi" sono entrambi presenti in qualche misura in ogni caso.
[XX] L'idea che le capacità di risolvere problemi, normalmente ascritte alla mente, siano effettivamente distribuite tra il corpo (umano o animale) e il mondo, sta attualmente guadagnando terreno. (Clark, 1997, p. 160-166; Thompson & Vaela, 2001).
[XXI] Vedi per esempio il programma di "Riduzione Oggettiva" di Penrose, in connessione con la gravitazione quantistica (Penrose, 1994). L'idea di una riduzione oggettiva spontanea è stata da prima sviluppata da G.C. Ghirardi, A. Rimini, & T. Weber nel 1986 ed è stata sostenuta da J.S. Bell.
[XXII] Il primo a suggerire questa idea è stato Schrödinger (Schrödinger, 1935). E' stata poi sviluppata in (Van Frassen, 1991; Omnès, 1994).
[XXIII] In un caso la descrizione neurofisiologica oggettiva di tipo primario, nell'altro il formalismo quantistico oggettivo.di tipo secondario.
[XXIV] Senza menzionare la mancanza di credibilità ontologica dello "stato di riduzione", si può facilmente notare, nello stile di Chalmers, che non c'è assolutamente alcuna ragione per associare questi supposti processi oggettivi chiamati "riduzione" con un "sentimento"
[XXV] " ‘Io ho coscienza' - ecco un enunciato su cui non è possibile alcun dubbio'. Perché quest'enunciato non dovrebbe voler dire la stessa cosa di quest'altro: ‘Io ho coscienza' non è affatto una proposizione?'" (Wittgenstein, 1967, §401).

Note del traduttore:
[48] "Che cosa sono i quanti, e da quando sono entrati nella nostra vita? Facciamo una breve digressione storica. Verso la fine dell'Ottocento negli stati industrializzati era in atto uno scontro fra due tecnologie, entrambe adatte in linea di massima a illuminare le strade. Era meglio usare il gas o la nuova scoperta, l'elettricità?... bisognava scoprire quale forma di illuminazione, a parità di costo, fornisse più luce...La strada più semplice è quella di confrontare direttamente le due fonti. Però si incontrano ben presto delle difficoltà, perché la luce emessa dipende da moltissimi fattori. Nel caso della luce elettrica, per esempio, varia a seconda della composizione e della forma del filamento, della quantità di corrente trasmessa, del gas con cui è riempito il bulbo e così via. Lo stesso si può dire per la luce a gas. Invece di confrontare direttamente le due fonti, quindi, è meglio cercare un confronto con una sorgente le cui proprietà non dipendano da questi parametri, una sorgente cioè che produca "luce ideale". E i fisici dell'epoca avevano scoperto proprio un