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Stretta cinese sul Tibet "arrestati cento monaci"

di Marco Del Corona - 10/03/2009

 

Sono i giorni del Tibet. Cinquant`anni fa esatti ebbe inizio la sommossa che portò alla fuga in India del Dalai Lama e alla revoca della blanda autonomia concessa da Mao Zedong quando occupò la regione fra il 1950 e il`51. Un anno fa cominciarono i moti che poi esplosero nelle sanguinose proteste del 14 marzo 2008. Con mostre e iniziative per esaltare il progresso della provincia, le autorità cinesi hanno dispiegato un imponente apparato propagandistico, reso più intenso dalla concomitanza dell`Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza consultiva. Soprattutto, è stata rafforzata la presenza militare e di polizia in Tibet e nelle aree tibetane confinanti del  Qinghai, del Gansu e del Sichuan. Organizzazioni non governative sia filo-tibetane sia indipendenti (Amnesty International, Human Rights Watch) hanno diffuso comunicati e dossier che denunciano la repressione cinese e contestano la reticenza della leadership sul reale bilancio dei disordini dell`anno scorso. La International Campaign for Tibet, ad esempio, sostiene che in un anno si siano perse le tracce di 1.200 tibetani: missing. Del clima di tensione hanno fatto le spese due giornalisti italiani. Beniamino Natale, corrispondente dell`Ansa, e Gabriele Barbati, di Sky Tg24, sono stati intercettati, bloccati e interrogati in due riprese nel Qinghai. Dopo un primo fermo di un paio d`ore domenica, ieri i due avevano raggiunto il monastero di An Tuo (Lutsang in tibetano), dove avevano avuto conferma che almeno 1og lama erano stati arrestati dalla polizia nei giorni scorsi. Identificati, Nata- le e Barbati sono stati sottoposti a tre ore di domande in una stazione di polizia. In serata erano in hotel nel capoluogo Xining. Sempre nel Qinghai, la giornata si era aperta con la notizia di un attacco a due auto della polizia in una contea tibetana con ordigni esplosivi. Nessun ferito, ma l`episodio, con altri, fornisce un quadro meno rassicurante di quanto rivendicano invece le autorità di Pechino. Il numero delle pattuglie militari è stato incrementato «contro possibili azioni d i disturbo da parte di seguaci del Dalai Lama e di gruppi occidentali per l`Indipendenza del Tibet"», secondo la formula della stampa ufficiale. Interrotte le comunicazioni con i cellulari, chiusa la regione ai giornalisti. All`estero, mobilitazione dei gruppi più radicali della diaspora. Inoltre, sono stati rafforzati i controlli lungo la frontiera himalayana con India, Nepal e Bhutan. Anche il presidente Hu Jintao, che tra il 1988 e il `92 fu segretario del Partito a Lhasa, è intervenuto: «Serve una Grande Muraglia contro il separatismo». Neppure le acque intorno alla Cina sono calme. Washington ha denunciato manovre intimidatorie da parte di 5 navi da guerra di Pechino contro una sua unità, domenica, 120 chilometri a sud dell`isola di Hainan che delimita a est il golfo del Tonchino (al Pentagono la circostanza avrà risvegliato qualche lontano ricordo...). La Casa Bianca ha protestato: «Le nostre navi visitano regolarmente le acque internazionali dove questi incidenti sono accaduti - ha detto il portavoce Robert Gibbs -. Continueremo ad operare in queste acque internazionali e ci aspettiamo che la Cina rispetti le leggi sulla navigazione». Il titolo a tutta pagina del China Daily ieri mattina era di ironico tempismo: «La Marina non pone minacce ad altri». L`alto ufficiale intervistato parlava della Somalia e del progetto di una portaerei cinese. Nei giorni del Tibet anche il mare, ha cominciato ad agitarsi.