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Elezioni in Libano: le grandi manovre dell'Occidente

di Dagoberto Husayn Bellucci - 12/03/2009

 


Il Libano si dirige verso le consultazioni elettorali del prossimo giugno in
un crescendo di accuse e contro-accuse tra il fronte filo-occidentale, raccolto
attorno alla Corrente Futura della famiglia sunnita degli Hariri, e il blocco
dei partiti nazionalisti che sostengono la Resistenza guidati da Hizb'Allah.
Dopo il lungo braccio di ferro che per un anno e mezzo ha bloccato la
politica libanese, portando nel dicembre 2006 i sostenitori del partito di
Sayyed Hassan Nasrallah ad occupare il centro della capitale Beirut, e le
provocazioni, dopo la stagione degli attentati jihaidisti e la rivolta al campo
profughi palestinesi di Nahr el Bared (di cui sarà avviata in questi giorni
infine la ricostruzione) della cellula filo-Al Qaeda di Fatah al Islam
collegata a non meglio identificati ambienti della galassia "fondamentalista"
sunnita (ma sicuramente finanziata dalla stessa famiglia Hariri attraverso la
Banca Mediterraneè) il paese dei cedri ritorna in primo piano nell'agenda della
diplomazia internazionale e si avvia verso una difficile campagna elettorale
che sicuramente non sarà esente da contrapposizioni e probabilmente nuove
tensioni.

L'obiettivo delle forze filo-atlantiche, più o meno collegata agli Stati
Uniti d'America e all'Occidente (ieri a doppio filo alleatesi con
l'amministrazione Bush oggi alla 'finestra' in attesa di nuove istruzioni
dall'amministrazione Obama), neanche velato è quello di bloccare a tutti i
costi la preannunciata vittoria elettorale del partito sciita di Hizb'Allah che
- sia a livello di consenso popolare che di previsioni sul voto di giugno -
risulta il favorito nei sondaggi e potrebbe riuscire, assieme ai suoi alleati
maroniti del movimento Tayyar del Gen. Michel Aoun e all'insieme dei movimenti
dell'Opposizione Nazionale a raggiungere una maggioranza parlamentare che
garantirebbe finalmente un regolare svolgimento della vita politica nazionale
dando al blocco della Resistenza la possibilità di decidere in sede di
Consiglio dei Ministri quali siano le misure più urgenti per risollevare le
sorti, economiche e sociali, di un paese uscito a pezzi dall'aggressione
sionista dell'estate 2006 e dalla strategia della tensione che - praticamente
dall'autunno 2004 (quando venne varata la risoluzione del Consiglio di
Sicurezza Onu nr 1559) - l'Establishment sionista-statunitense, le lobby della
politica internazionale e quelle neoconservatrici hanno condotto contro
l'indipendenza e l'autonomia del Libano.

Indipendenza ed autonomia che potranno essere salvaguardate solo ed
esclusivamente - come ha ribadito non più di una settimana or sono parlando
alla televisione Al Manar il segretario generale di Hizb'Allah, Nasrallah -
"difendendo il diritto del popolo libanese alla resistenza contro qualsiasi
tentativo, interno o esterno, di intromissione nella politica nazionale" e
"mantenendo l'allerta ai confini meridionali" dove operano i contingenti
internazionali dell'Unifil e l'esercito libanese per evitare che nuovi attacchi
siano lanciati da "Israele" che - dopo i massacri di Gaza - non rinuncia alle
provocazioni e continua a inviare messaggi minacciosi.

Ma il Libano non è Gaza! Questo i dirigenti del Partito di Dio lo hanno
ribadito più volte anche durante le settimane infernali nelle quali "tsahal",
l'esercito d'occupazione sionista, lanciava impunemente i suoi raid criminali
contro Hamas e la resistenza palestinese nella striscia di Gaza. Una battaglia
quella di Gaza che ha confermato - come riconosciuto dal leader del movimento
islamico palestinese a Beirut , dr. Osama Hamdan - l'impossibilità dei sionisti
di distruggere i diritti della popolazione palestinese e il sogno di costituire
uno Stato palestinese indipendente come riconosciuto da decine di inapplicate
risoluzioni delle stesse Nazioni Unite.

Oggi gli occhi dell'opinione pubblica libanese invece sono puntati sui giochi
della politica interna che è tornata in primo piano dopo mesi di relativa calma
e tranquillità e il varo, nella primavera scorsa, di un governo di unità
nazionale al quale ha preso parte anche lo stesso movimento sciita siedendo al
tavolo del consiglio dei ministri presieduto dal premier Fouad Siniora
all'indomani della "battaglia di Beirut" che vide gli uomini del partito di Dio
ed i loro alleati sciiti di 'Amal occupare le strade della capitale libanese
per settantadue ore.

Una prova di forza mai dimenticata che fece tornare sui loro passi i
dirigenti filo-americani dell'ex maggioranza del 14 marzo: dal druso Jumblatt
allo stesso Hariri. In quell'occasione i rapporti di forza dimostrarono
l'assoluta superiorità di Hizb'Allah e dei loro alleati che - sia nella regione
a maggioranza drusa dello Chouf che nella zona settentrionale attorno a Tripoli
a maggioranza sunnita - non si limitarono a contrastare le provocazioni dei
loro avversari ma imposero, "manu militari", il ritorno ad una normalità dopo
una serie di innumerevoli incidenti e attacchi subiti nei mesi precedenti. Una
normalità che è premessa necessaria per questo paese dove - per troppi anni -
la dipendenza dall'estero e le interferenze delle potenze straniere hanno
rappresentato il modus vivendi e dove i clan delle principali fazioni libanesi
hanno , appoggiandosi a Washington e ai suoi alleati europei, cercato di far
precipitare la situazione portando il Libano vicino al baratro di una nuova
guerra civile, versione aggiornata di quanto per quindici anni il paese dei
cedri ha subito tra il 1975 e il 1990.

Una strategia fallita anche per il senso di grande responsabilità nazionale
dimostrato dai partiti dell'Opposizione che, a cominciare da Hizb'Allah, non
hanno accettato di cadere nella trappola di un conflitto di natura etnica o
confessionale che era stato preparato ad arte dagli ambienti della politica
neoconservatrice statunitense sul modello di quanto attivato in Afghanistan ed
Iraq e sfruttando le tradizionali divisioni della società multiconfessionale
libanese.

Hizb'Allah si avvia dunque a vincere le prossime elezioni politiche, previste
per il 7 giugno, con la sicurezza di riuscire a dare un'impronta diversa
all'amministrazione e al governo del paese che ha urgente bisogno di ritrovare
- dopo anni di tempeste e problemi irrisolti - serenità e prosperità. Ci sono
interi settori, dal turismo alla pesca passando per gli investimenti stranieri,
che hanno assoluto bisogno di certezze per rilanciare l'economia disastrata di
questo paese da sempre nel mirino della Plutocrazia Mondialista anche a causa
della sua posizione geopolitica strategica di concorrente numero 1 di "Israele"
e di possibile - com'era quarantacinque anni or sono - potenza finanziaria
dell'intero Vicino Oriente.

Recentemente il vice-segretario di Hizb'Allah , sheick Naim Qassem, ha
previsto che la vittoria arriderà al partito di Dio e agli alleati
dell'Opposizione proponendo , dopo che saranno resi pubblici i risultati di un
test elettorale vitale per tutti i partiti libanesi, la creazioni di un governo
di unità nazionale con una solida maggioranza parlamentare.

"Avremo un governo di larghe intese in Libano indipendentemente da chi
vincerà o perderà le elezioni" ha dichiarato il numero 2 di Hizb'Allah
lanciando un segnale in direzione soprattutto del movimento Future della
famiglia Hariri principale par
tito della comunità sunnita verso la quale i
dirigenti del partito di Dio hanno sempre guardato con interesse per evitare
inutili e nocivi bagni di sangue di un conflitto inter-confessionale tra
musulmani che ha rappresentato per anni il rischio principale per la società
libanese.

Sheick Naim Qassem ha proseguito sostenendo che "stavolta non sarà possibile
alcuna interferenza esterna" sulle elezioni dando per scontato che i paesi
occidentali non potranno attuare, in caso di una vittoria di Hizb'Allah data
per certa dai principali analisti di politica libanese, lo stesso tipo di
boicottaggio che venne applicato nei confronti di Hamas vincitore delle
elezioni palestinesi nel 2006 e confermando - come già uscito sui principali
media nazionali - che il partito di Dio sta intessendo una serie di rapporti
con le cancellerie europee proprio per assicurare una legittimità e regolarità
al di là di ogni minimo dubbio sullo svolgimento e esito delle prossime
consultazioni estive.

Già il Foreign Office britannico ha diramato la scorsa settimana una nota
nella quale si sottolineava che una delegazione esteri del Governo Brown aveva
avviato rapporti con Hizb'Allah. Altre delegazioni europee stanno in queste ore
procedendo ad una politica di "avvicinamento" verso quello che potrebbe
risultare il principale partito politico libanese predestinato a guidare il
futuro esecutivo di Beirut dal prossimo giugno. "Esistono e sono stati presi
contatti con delegazioni europee e istituzioni internazionali - ha dichiarato
Sheick Naim Qassem - Abbiamo le garanzie che i paesi occidentali dialogheranno
con qualsiasi vincitore delle prossime elezioni libanesi."


Previsioni che hanno preoccupato i partiti filo-americani del 14 marzo. Samir
Geagea , leader dell'ultra-destra maronita delle Forze Libanesi, ha sostenuto
che il rischio di una vittoria schiacciante di Hizb'Allah deve essere
"scongiurato" assicurando gli alleati che occorrerà "dar battaglia" durante la
campagna elettorale con tutti i mezzi possibili per evitare scenari definiti
"da brivido" negli ambienti direttamente o indirettamente collegati con
l'amministrazione statunitense. Proprio per evitare questa "catastrofe
nazionale" - come definita più volte da autorevoli esponenti del blocco
atlantista - Geagea si è recato in visita ufficiale in Kuwait - tradizionale
emirato alleato di Washington - dove ha avuto incontri cordiali con il capo
della diplomazia e l'emiro Sabah al-Ahmed al Jaber al Sabah. Il capo dell'ultra-
destra maronita ha sostenuto la necessità di una cooperazione regionale tra i
paesi arabi moderati e il futuro esecutivo libanese e , clamorosamente, ha
dichiarato la necessità di aprire a relazioni fondate su reciproca
collaborazione con la Siria alla quale , storicamente, gli ambienti radicali
della società cristiana-maronita hanno sempre imputato tutti i peggiori crimini
della storia, recente e passata, del paese dei cedri.

Un'apertura verso Damasco che avrà sicuramente ripercussioni nella campagna
elettorale e che , di fatto se reale, potrà soltanto portare maggiori benefici
all'intero paese. Ma alle parole dovranno poi seguire dei fatti concreti e
considerando che Geagea non è nuovo ad affermazioni opportunistiche sarà da
valutare , nei prossimi mesi, quali saranno i toni che utilizzerà il capo delle
Forze Libanesi durante le settimane che precederanno il voto. Fatto comunque
rilevante se si considera che le Forze Libanesi hanno per anni attaccato il
capo di Tayyar, Gen. Michel Aoun, accusandolo di "tradimento" e di aver
svenduto l'"indipendenza libanese" proprio a causa della sua alleanza con
Hizb'Allah e del riavvicinamento alla Siria considerato dall'ex Capo di Stato
oggi principale alleato del blocco sciita "fondamentale" per gli equilibri
geopolitici regionali.

E che sia soprattutto l'elettorato cristiano a far da ago della bilancia per
le prossime elezioni è un dato che dovrebbe far riflettere. Secondo il
quotidiano on line di Beirut, Now Lebanon" se da un lato Hizb'Allah è
maggioritario nel sud del paese e nella Valle della Beka'a sarà nelle zone a
maggioranza cristiana dove infurierà la battaglia elettorale: "a decidere il
voto saranno i cristiani" afferma nella sua analisi un politologo libanese
"controllando il 50% dei seggi parlamentari (malgrado siano minoranza nel paese
ndr) saranno loro a decidere chi vincerà le prossime elezioni" affermando che
sarà in particolar modo il distretto elettorale del Metn , dove l'influente
deputato filo-occidentale Michel Murr cercherà di strappare 8 seggi al Gen.
Aoun (già vincitore nella tornata elettorale dell'estate 2007), puntando ad una
strategia di riavvicinamento al partito "Tashnag" che rappresenta uno dei tre
movimenti della comunità armena libanese (la cui influenza è del 12%
all'interno della comunità cristiana) e dal quale conta di ottenere 6 seggi.
Un'incognita , quella di Tashnag, che già due anni or sono si rivelò fatale ai
calcoli della maggioranza filo-americana.

Najah Wakim, leader del Movimento per il Popolo (Haraqat Sha'ab) alleato di
Hizb'Allah, ha dichiarato , parlando alla televisione Al Manar, che "il voto
cristiano è determinante per il voto libanese" ma "i partiti nazionalisti sono
pronti ad affrontare la campagna elettorale in tutte le regioni certi di avere
la maggioranza dei consensi popolari" e sostenendo che "anche a Washington
hanno cominciato ad aprire gli occhi sul fallimento della loro politica
egemonica e sulla necessità di porre fine alla dottrina delle guerre
preventive" indicazioni che rivelano come "sarà possibile aprire un capitolo
nuovo nella storia del Libano e dell'intera regione".

Osama Safaa , analista di politica libanese, sostiene che i giochi elettorali
sono fatti quasi ovunque: dipende dal voto armeno l'esito della campagna
elettorale; "se gli armeni andranno con Murr vincerà il 14 marzo , in caso
contrario il risultato sarà a favore dell'altro schieramento" (quello di
Hizb'Allah). Consegneranno i cristiani-armeni il Libano ed il futuro del paese
all'Opposizione Nazionale guidata dal partito di Dio? E' probabilmente questa
la sola domanda che si stanno ponendo analisti ed esperti di politica libanese
da qualche settimana.

Un'incognita ed una paura per gli ambienti collegati all'amministrazione
statunitense che potrebbe nuovamente, come sempre negli ultimi anni,
interferire nelle vicende interne libanesi per scongiurare la vittoria di
Hizb'Allah e dei suoi alleati. Anche perchè a rischiare sono in tanti: dal
premier Siniora ai suoi alleati passando per i paesi arabi moderati in
particolare Egitto, Giordania e Arabia Saudita per i quali un Libano privo del
sostegno degli americani risulterebbe un Libano debole che scivolerebbe sempre
più nella sfera dell'orbita iraniana.

Un panorama che soprattutto Riyadh ed i paesi del Golfo intenderebbero
scongiurare ad ogni costo. Come spiega Timur Goksel, politologo dell' American
university, «i sauditi hanno fatto investimenti enormi in Libano. Beirut è la
loro via di fuga nel caso che nella penisola arabica tutto volga al peggio: non
lasceranno che bruci. E poiché anche l' altro prim' attore della scena
libanese, l' Iran, non ha interesse in una deflagrazione, il Libano potrà
conoscere scontri, turbolenze, nuovi attentati: ma non una nuova guerra
civile».

In questa contesa elettorale si inserisce anche, inevitabilmente, la recente
apertura del Tribunale Speciale per il Libano che dovrà giudicare i 4 generali
sospettati di aver ordito il complotto che portò all'attentato del 14 febbraio
2005 contro l'ex premier Rafiq Hariri. Una possibile "spada di Damocle" contro
l'indipendenza del paese, un'ingerenza straniera, un obbrobrio giuridico come è
stato definito da molti dirigenti dei partiti nazionalisti che vedono in questa
istituzioni l'ultima speranza alla quale potranno agganciarsi i partiti filo-
americani e le strategie "made in Usa" puntate contro la Siria e l'Iran nel
Vicino Oriente. Valutazioni che ovviamente vanno ad incidere anche nella
campagna elettorale contrassegnata fin da queste prime battute da un rinnovato
clima di scontro tra le due fazioni della politica nazionale. Un clima
sicuramente meno cupo di quello precedente la vittoria del candidato
democratico Obama alle elezioni americane ma sicuramente un clima che non fa
sperare niente di buono soprattutto considerando che l'indice
dell'amministrazione statunitense rimane puntato in direzione di Teheran e dei
suoi alleati (Siria e Hizb'Allah in testa).

Un clima che viene alimentato anche dalle continue provocazioni sioniste e
dalle dichiarazioni minacciose che arrivano da Tel Aviv dove la vittoria del
partito Likud dei falchi della Destra sionista non ha sicuramente colto
impreparati i libanesi e i paesi arabi confinanti e alzato la tensione in tutta
la regione. Tensione che può ulteriormente salire anche ai confini meridionali
del Libano dove, nella mattinata di mercoledì 11 marzo, si sono registrate
nuove avvisaglie di scontri tra miliziani palestinesi e i vicini israeliani.
L'esercito di Tel Aviv ha infatti denunciato il lancio di alcuni razzi
katiusha diretti contro la cittadina di Kyriat Schmona , a nord della Palestina
occupata, dove le sirene anti-aeree sono risuonate per avvertire la popolazione
del pericolo di attacchi aerei. Notizia che è stata smentita dalle autorità
libanesi. 

Tra nuove e vecchie tensioni, alimentando polemiche e lanciando allarmismi
inutili, la politica libanese si avvia verso l'appuntamento elettorale del 7
giugno prossimo con la certezza che queste elezioni segneranno inevitabilmente
uno spartiacque fondamentale dopo 5 anni di tensioni, conflitti e caos
interno.

Il Libano si trova, come spesso nel corso della sua travagliatissima storia
recente, ad un nuovo bivio: vincerà Hizb'Allah ed i suoi alleati come indicano
sondaggi e previsioni di tutti i principali media locali oppure avremo ancora
un parlamento governato dall'incertezza e dalla confusione prodotta dai partiti
filo-atlantici e filo-sionisti del fronte del 14 marzo? Una risposta per sapere
la quale occorrerà attendere altri tre mesi dopo i quali il futuro di questo
paese - sempre sospeso tra guerra e pace, sviluppo e ricostruzione, volontà di
rinascere e pericolosi ritorni al passato - potrà delinearsi all'orizzonte con
o senza le incognite che ancora gravano sui cieli di Beirut.

E dal voto libanese probabilmente dipenderanno anche i futuri assetti ed i
rapporti di forza che si deteremineranno a livello regionale in tutto il Vicino
Oriente.


*da Haret Hreik, Beirut sud, Direttore Responsabile Agenzia di Stampa "Islam Italia" da Haret Hreik ,
Beirut sud.