Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Apocalisse a Dresda

Apocalisse a Dresda

di R. H. S. Crossman* - 15/03/2009


La storia a lungo cancellata del peggiore massacro nella storia contemporanea




Se il Commonwealth inglese e gli Stati Uniti durassero mille anni, gli uomini potrebbero dire che questa è stata la loro ora più fosca.

Tutti i crimini contro l’umanità compiuti durante la seconda guerra mondiale furono opera dei tirapiedi di Hitler? Questa fu certamente l’impressione creata dal fatto che solo i tedeschi vennero messi sotto processo a Norimberga. Ahimè! E’ una falsa impressione. Ora sappiamo tutti che nella lotta terribile ingaggiata tra l’Armata Rossa e l’esercito tedesco i russi manifestarono la loro buona dose di disumanità insensata. Quello che è molto meno risaputo – perché la verità, fino a solo poco tempo fa è stata deliberatamente cancellata – è che le democrazie occidentali furono responsabili del singolo atto di sterminio più folle commesso nell’intero corso della seconda guerra mondiale.

La devastazione di Dresda, nel Febbraio del 1945, fu uno di quei crimini contro l’umanità i cui autori sarebbero stati chiamati in giudizio a Norimberga se quella Corte non fosse stata degradata a strumento della giustizia degli Alleati. Sia che venga misurato in termini di distruzione materiale che di perdita di vite umane, questo raid aereo “convenzionale” fu molto più devastante dei due raid atomici contro il Giappone compiuti pochi mesi dopo. Delle 28.410 case del centro urbano di Dresda ne vennero distrutte 24.866; e l’area della distruzione totale si estendeva per oltre diciotto chilometri quadrati.

Per quanto riguarda il tasso di mortalità, la popolazione, come vedremo, si era pressoché raddoppiata a causa dell’afflusso dell’ultim’ora dei profughi che fuggivano davanti all’avanzata dell’Armata Rossa; e anche le autorità tedesche – di solito così pedanti nelle loro stime – rinunciarono a cercare di accertare il numero esatto delle vittime dopo vennero identificati, etichettati e sepolti circa 35.000 cadaveri. Sappiamo, tuttavia, che il numero di 1.250.000 persone che si trovavano in città la notte del raid si ridusse alla fine a 368.619; e sembra certo che il tasso di mortalità deve aver superato di gran lunga le 71.879 vittime di Hiroshima. In realtà, le autorità tedesche erano probabilmente nel giusto quando fissarono, pochi giorni dopo l’attacco, il totale delle vittime tra le 120.000 e le 150.000 unità.

Come venne permesso questo orrore? Fu un atto politico deliberato e premeditato, o fu il risultato di uno di quegli spaventosi equivoci o errori di calcolo che talvolta accadono al culmine della bettaglia? Molti diranno che queste sono domande accademiche che appartengono alla storia. Non sono d’accordo. Naturalmente, quello che accadde a Dresda appartiene all’epoca pre-nucleare. Ma ha una tremenda importanza per la strategia difensiva che le democrazie occidentali stanno oggi mettendo in atto. Se il crimine di Dresda non deve essere replicato su una scala più vasta, dobbiamo scoprire perché venne commesso. Questa, almeno, è la mia sensazione, e vi sono due ragioni particolari che mi hanno spinto a indagare i fatti per così tanti anni. In primo luogo, io stessi venni coinvolto, sia pure in un ruolo molto minore, nelle decisioni che precedettero il raid. Quando i tedeschi occuparono la Francia nel 1940 e il Governo Chamberlain a Londra venne sostituito dal Governo Churchill, nella Whitehall vi fu un’epurazione. Mi trovai inaspettatamente reclutato in un dipartimento segreto associato al Foreign Office, con il titolo di “Direttore della Guerra Psicologica contro la Germania”. Il mio compito era di progettare la propaganda pubblica e quella segreta, che nelle nostre speranze doveva sollevare l’Europa occupata contro Hitler. Ma presto mi trovai intrappolato in un’aspra controversia ultra-segreta sul ruolo dell’offensiva aerea per spezzare il morale dei tedeschi.

Il Primo Ministro era tormentato dal timore che il bagno di sangue della Somma e del Passchendaele della prima guerra mondiale si sarebbe ripetuto, se avessimo cercato di sconfiggere Hitler liberando l’Europa con un’offensiva di terra. Così i Marescialli dell’Aria lo persuasero facilmente che se fosse stata data loro mano libera avrebbero potuto evitare queste perdite, inducendo il fronte interno tedesco alla resa. Quello che Hitler aveva compiuto a Londra e a Coventry, i nostri bombardieri lo avrebbero restituito mille volte, fino a quando gli abitanti di Berlino, di Amburgo, e di ogni altra città tedesca, sarebbero stati sistematicamente privati dei loro tetti e costretti alla resa. Per ottenere questo, i Marescialli dell’Aria chiesero che nella produzione degli armamenti venisse data priorità assoluta non alla preparazione del secondo fronte, ma alla costruzione di enormi quantità di bombardieri notturni a quattro motori.

Winston Churchill accettò il loro consiglio con entusiasmo, con il sostegno dell’intero Gabinetto. Le sole voci di ammonimento che si levarono furono quelle di un certo numero di scienziati molto influenti che, per mezzo di calcoli approfonditi, gettarono seri dubbi sulla possibilità materiale di infliggere il grado di distruzione richiesto. I loro argomenti matematici vennro rafforzati dagli studi che noi artefici della guerra psicologica avevamo fatto per accertare il morale degli inglesi dopo il blitz [il bombardamento tedesco su Londra]. Supponendo – saggiamente, come poi risultò – che il popolo tedesco avrebbe reagito sotto gli attacchi aerei in modo almeno altrettanto coraggioso degli inglesi, dimostrammo che il livello di terrore che i nostri bombardieri potevano scatenare contro le città tedesche avrebbe quasi sicuramente rafforzato il morale della popolazione civile, e avrebbe incentivato la produzione bellica invece di indebolirla.

All’inizio del 1941, questi argomenti vennero infine accantonati e l’Inghilterra si volse completamente all’offensiva aerea. Quando però essa raggiunse il suo primo culmine con il raid su Amburgo, ero stato trasferito allo staff di Eisenhower. Ero felice, prima in Africa del Nord, e poi nello SHAEF
[2], di lavorare con uno staff anglo-americano che non aveva problemi a nascondere quanto detestasse la mania isterica della distruzione e il piacere di distruggere a sangue freddo mostrati dai ragazzi dei “grandi bombardamenti”. In realtà, uno dei miei ricordi più cari è l’atteggiamento mostrato dal Generale Walter Bedell Smith poche settimane dopo il raid di Dresda. Sir Winston aveva accusato “Ike” di essere morbido con i civili tedeschi e gli ordinò di usare il terrore per costringerli a uscire per paura dalle loro case e a riversarsi nelle strade, in modo tale da bloccare la ritirata tedesca. Nessuno contraddisse Sir Winston, ma non appena voltò le spalle, fummo istruiti ad attuare una direttiva che gli avrebbe impedito di realizzare il suo disegno.

Il giorno del V. E. Day
[3], quando tornai in Inghilterra per candidarmi a Coventry nelle fina del Partito Laburista, pensavo con sollievo che le mie preoccupazioni per i bombardamenti erano superate. Ma mi sbagliavo. Nel giro di pochi anni, Coventry – la principale vittima della Luftwaffe – si era “gemellata” con Dresda, la principale vittima della RAF. E quando la Germania venne divisa e diventò difficile per gli occidentali passare oltre la Cortina di Ferro, ebbi un invito permanente a visitare Dresda, come ospite, dal suo sindaco. Vi sono andato spesso, e in ogni occasione ho cercato di unire l’esperienza personale di strategia dei bombardamenti da me acquisita durante la guerra con le informazioni di prima mano da parte delle vittime “dell’altra parte della barricata”. Ho anche controllato i resoconti della distruzione di Dresda pubblicati nella Germania Occidentale e Orientale, rispetto alla storia ufficiale dell’Offensiva dei Bombardamenti Strategici pubblicata solo due anni fa in Inghilterra. Queste indagini non mi hanno lasciato nessun dubbio su come Dresda è stata distrutta, sul perché venne distrutta, e quali lezioni dobbiamo trarre dalla sua distruzione.

Il preludio al bombardamento di Dresda venne suonato dal comunicato russo del 12 Gennaio del 1945, che annunciò che l’Armata Rossa aveva ripreso la propria offensiva lungo tutto il fronte, e stava avanzando in Prussia e in Silesia. Difficilmente vi poteva essere una notizia più imbarazzante di questa, sia per il generale Dwight D. Eisenhower, le cui truppe si stavano ancora riprendendo dagli effetti umilianti dell’offensiva di Natale sulle Ardenne del Generale Karl von Rudenstedt, che per il Presidente Franklin D. Roosevelt e per il Primo Ministro Churchill, che si stavano preparando per la conferenza di Yalta prevista per il 4 Febbraio. Poiché gli assetti post-bellici avrebbero dovuto essere discussi con Josef Stalin non in via di principio ma in termini di pura politica, Sir Winston sentiva che l’impressione suscitata dall’occupazione dell’Europa orientale da parte dell’Armata Rossa e l’avanzata profonda dentro la Germania avrebbero dovuto essere contrastate. Ma come? L’ovvia risposta era con una dimostrazione della forza aerea Occidentale proprio contro l’Armata Rossa. Quello di cui c’era bisogno, egli decise, era una tempesta aerea distruttiva anglo-americana così spaventosa nei suoi effetti che persino Stalin sarebbe rimasto impressionato.

Il 25 Gennaio fu il giorno in cui venne presa la decisione che provocò l’annichilimento di Dresda. Fino ad allora, la capitale della Sassonia era stata considerata così famosa come monumento culturale e così inutile come obbiettivo militare che persino il Comandante in Capo del Comando Bombardieri, il Maresciallo dell’Aria Sir Arthur Harris, ci aveva a stento pensato. Tutte le sue batterie antiaeree erano state rimosse per essere utilizzate sul fronte orientale; e le autorità di Dresda non avevano preso nessuna delle precauzioni, dal rafforzamento dei rifugi antiaerei alla fornitura di bunker di cemento, che nelle altre città tedesche sottoposte agli attacchi degli Alleati avevano ridotto le perdite in modo tanto sorprendente. Al contrario, avevano incoraggiato le dicerie che sarebbe stata risparmiata, sia perché Churchill aveva un nipote che viveva lì, sia perché era stata destinata dagli Alleati a loro principale sede di occupazione. Queste dicerie vennero rafforzate dal fatto che si sapeva che non meno di 26.000 prigionieri alleati erano acquartierati sia dentro che nei pressi della città, e che la sua popolazione si era praticamente raddoppiata fino ad arrivare nelle ultime settimane a un milione di persone, per il flusso dei profughi provenienti da est.

Il 26 Gennaio Sir Winston sapeva tutto questo. Ma quel giorno, di prima mattina, aveva appreso che l’Armata Rossa aveva varcato il fiume Oder, a Breslavia, e si trovava ora a sole 60 miglia da Dresda. Rabbiosamente telefonò a Sir Archibald Sinclair, il suo Segretario di Stato per l’Aria, e gli chiese che piani aveva per “arrostire i tedeschi – nella loro ritirata da Breslav”. Sir Archibald, il cui incarico principale era stato quello di proteggere il Comando Bombardieri dalle critiche pubbliche mediante una serie di assicurazioni menzognere, secondo cui erano state prese misure scrupolose per bombardare solo obbiettivi militari, rimase fedele al proprio carattere. Tergiversò al telefono e il giorno dopo replicò che a detta dello Staff dell’Aria, “un intervento a grande distanza contro la Germania Orientale con il tempo invernale sarebbe difficile”. A questa risposta il Premier replicò con una nota così offensiva nella sua ira controllata che il Ministro e lo Staff dell’Aria, che non brillarono mai per il loro coraggio morale, si precipitarono ad agire. Vennero subito dati degli ordini per concertare con l’Ottava Air Force Americana un piano per annientare Lipsia, Chemnitz e Dresda.

Sir Winston e il suo staff partirono per Yalta, dove divenne fin troppo chiaro che i presentimenti del Premier erano giustificati. Imbaldanzito dalle sue vittorie, Stalin sollecitava le sue richieste politiche ad un Presidente ora indebolito e prossimo alla morte, e ad un Primo Ministro isolato e a disagio. Quando venne espresso il suggerimento di utilizzare i bombardamenti alleati per aiutare l’avanzata dell’Armata Rossa, i generali sovietici rimasero freddi e insensibili. Nondimeno, Sir Arthur Harris aveva già scelto Dresda, che era ora lontana solo 60 miglia dal fronte, per la distruzione. E giorno per giorno, Sir Winston sperava di poter impressionare Stalin con la dimostrazione di quello che le forze aeree Alleate potevano fare così vicino agli alleati russi. Ma il tempo era contro di lui. La conferenza si chiuse all’ultimo momento, e fu solo tre giorni più tardi – molto tempo dopo la fine della conferenza, quando non poteva più avere nessun effetto sui negoziati – che il portavoce della RAF a Londra annunciò orgogliosamente la distruzione di Dresda.

Ora dobbiamo fare un passo indietro e vedere quello che gli aviatori avevano pianificato. Sir Arthur Harris fu lesto a cogliere l’opportunità offertagli dal Primo Ministro affinché il Comando Bombardieri facesse sentire la propria presenza nella Germania Orientale. Dal 1941, con un lento processo di tentativi che gli erano costati molte migliaia di equipaggi aerei, aveva perfezionato la sua nuova tecnica di “bombardamenti di precisione a saturazione”. Prima di tutto, le operazioni contro la Germania alla luce del giorno erano state scartate perché troppo costose; poi, i raid limitati ai bombardamenti notturni, dopo un periodo di successi decisamente immaginarii, erano stati abbandonati, in quanto troppo imprecisi. Venne presa la decisione di prendere di mira tutti i centri urbani e di distruggere le zone residenziali, settore per settore.

In questo nuovo tipo di attacco incendiario, squadre speciali altamente addestrate venivano mandate in avanscoperta per identificare con segnali luminosi, soprannominati dai tedeschi “Alberi di natale”, un’area chiaramente definita da prendere a bersaglio. Quando questo era stato fatto, tutto quello che i bombardieri dovevano fare era di bombardare a tappeto in modo tanto pesante che la difesa, l’A. R. P.
[4], e i vigili del fuoco sarebbero stati annichiliti.

La tecnica incendiaria venne utilizzata per la prima volta con totale successo nel raid di Amburgo. Migliaia di esplosioni individuali riunite in una singola fiammata, per creare il famoso effetto della “tempesta di fuoco”, descritta per la prima volta dal Capo della Polizia della città in un rapporto segreto inviato a Hitler che cadde presto nelle mani degli Alleati:

“Come risultato della confluenza di un certo numero di incendi, l’aria sovrastante è riscaldata a tal punto che in conseguenza della sua ridotta gravità specifica, ha luogo una violenta corrente che provoca il risucchiamento dell’aria, che fuoriesce dal centro dell’incendio…La forza della tempesta di fuoco del più grande di questi focolai ha l’effetto di attrarre l’aria già surriscaldata dei focolai più piccoli…Un effetto di questo fenomeno è stato che il fuoco di questi focolai più piccoli è stato alimentato come da un mantice, poiché la forza degli incendi più grandi e più furiosi ha provocato l’accresciuta e aumentata attrazione delle masse circostanti di aria fresca. In questo modo tutti i focolai si sono uniti in un vasto incendio”.

La tempesta di fuoco di Amburgo uccise probabilmente circa 40.000 persone: i tre quarti per avvelenamento da monossido di carbonio, in conseguenza del fatto che l’ossigeno era stato risucchiato via dall’aria; il resto per asfissia.

Non appena seppe che era stato dato il permesso di distruggere Dresda, il Maresciallo dell’Aria decise di ottenerla con una tempesta di fuoco creata in modo deliberato, e per aumentarne gli effetti convinse gli americani a dividere i bombardieri disponibili in tre gruppi. Il compito della prima ondata era di creare la tempesta di fuoco. Tre ore dopo, doveva arrivare una seconda – e molto più pesante – forza notturna di bombardieri inglesi, quando le difese tedesche dei caccia e della contraerea erano fuori uso e le squadre di soccorso all’opera. Il suo compito era di allargare la tempesta di fuoco. Infine, il mattino successivo, l’attacco alla luce del giorno dell’Ottava Air Force doveva concentrarsi sulle zone periferiche, sulla città nuova.

Attacchi in due fasi erano stati attuati con successo durante il 1944 contro un certo numero di città tedesche. L’attacco in tre fasi impiegato a Dresda fu unico e di un’efficacia senza paragoni. La prima ondata, che consisteva in circa 250 bombardieri notturni, giunse perfettuamente puntuale e creò la tempesta di fuoco. La seconda ondata – due volte più forte della prima e con un carico enorme di bombe incendiarie – raggiunse anch’essa puntualmente l’obbiettivo, e, non disturbata dalla contraerea o da caccia notturni, impiegò trentaquattro minuti ad allargare doviziosamente gli incendi oltre la zona presa di mira all’inizio. Infine, per completare la devastazione, circa duecentoundici fortezze volanti iniziarono il terzo attacco il mattino seguente, alle 11 e 30. Senza esagerazione, i comandanti potevano affermare che il raid di Dresda era andato “secondo i piani”. Ogni cosa accaduta nella città presa di mira era stata prevista e attuata con cura meticolosa.

Finora, abbiamo esaminato il raid di Dresda dalla “nostra parte della barricata” – considerando il punto di vista di Churchill, preoccupato di fare la migliore impressione possibile su Stalin alla Conferenza di Yalta, e il punto di vista del Maresciallo dell’Aria, Harris, ansioso di mostrare la tecnica per ottenere una tempesta di fuoco. Ma quale fu l’impatto sugli abitanti di Dresda? Inevitabilmente, il raid ha creato le sue storie. Migliaia di coloro che sopravvissero vivono ora nella Germania Occidentale, ognuno con i suoi ricordi da riferire al visitatore. Nella stessa Dresda, i maggiorenti della città hanno ora stabilito una versione comunista ufficiale, il cui scopo principale è chiaramente quello di attribuire la colpa maggiore agli “imperialisti americani” (ci è stato detto solennemente, ad esempio, che la RAF venne indirizzata a colpire obbiettivi particolari in città da un capitalista americano la cui villa sulla riva opposta dell’Elba è ora un club di lusso per artisti comunisti favoriti [dal regime]). Nondimeno, chiunque si prenda la briga di leggere i libri pubblicati in entrambe le Germanie e paragoni le storie che sente sia dai testimoni comunisti che da quelli anticomunisti scopre presto che non solo lo svolgimento degli eventi ma anche i dettagli degli episodi principali coincidono oltre le divergenze.

Dresda è una di quelle città tedesche che normalmente riservano il Martedì Grasso alle feste di Carnevale. Ma il 13 Febbraio del 1945, con l’Armata Rossa distante solo 60 miglia, l’umore era cupo. I profughi, che erano stipati in ogni casa, avevano ognuno la sua storia di atrocità da raccontare. In molte parti della città, e in particolare vicino alla stazione ferroviaria, migliaia di nuovi venuti che non potevano trovare un posto in cui dormire, stavano accampati per strada al freddo. I soli segni del Carnevale, quando le sirene suonarono alle 21 e 55, erano il tutto esaurito al circo e qualche gruppo di ragazzette che girovagavano mascherate. Sebbene nessuno avesse preso il pericolo di un raid molto seriamente, gli ordini dovevano essere eseguiti e la popolazione ebbe solo il tempo di correre ai rifugi prima che cadessero le prime bombe nove minuti dopo le dieci.

Ventiquattro minuti più tardi, l’ultimo bombardiere inglese era sulla via del ritorno in Inghilterra, e la città vecchia di Dresda era in fiamme. Poiché non c’erano strutture d’acciaio in nessuno degli appartamenti residenziali, i pavimenti crollarono rapidamente, e mezzora dopo che il raid era finito la tempesta di fuoco aveva trasformato migliaia di singoli incendi in un mare di fiamme, strappando via i tetti, trascinando via alberi, auto e camion, e nello stesso tempo risucchiando l’ossigeno dai rifugi antiaerei.

Molti di quelli che rimasero sotto terra dovettero morire atrocemente: i loro corpi all’inizio brillarono di una tinta arancione o blu, e poi, quando il calore aumentò, si incenerirono del tutto o si fusero in uno spesso liquido profondo circa un metro. Ma vi furono altri che, quando i bombardamenti cessarono, corsero di sopra. Alcuni si fermarono per raccogliere le proprie cose prima di fuggire, e vennero colti dal secondo raid. Ma circa 10.000 riuscirono a fuggire nel grande spazio aperto del Grosse Garten, il magnifico parco reale di Dresda, circa due chilometri quadrati e mezzo in tutto. Qui vennero colti dal secondo raid, che iniziò senza l’allarme aereo alle 1.22 del mattino. Molto più pesante del primo – i bombardieri erano il doppio con un carico di bombe molto più pesante – il suo obbiettivo era quello di portare gli incendi dentro il rettangolo nero che era tutto quello che gli aviatori potevano vedere del Grosse Garten. In pochi minuti la tempesta di fuoco infuriò sull’erba, sradicando alcuni alberi e sparpagliando i rami degli altri, insieme ai vestiti, alle biciclette e alle membra disgregate che rimasero penzolanti nei giorni successivi.

Ugualmente terribile fu il massacro nella grande piazza di fronte alla principale stazione ferroviaria. Qui, le migliaia che stavano accampati erano stati raggiunti da altre migliaia che fuggivano dalla città vecchia, mentre una dozzina di treni, quando risuonarono le prime sirene, vennero spostati agli scali di smistamento, ed erano riusciti a scampare al disastro. Dopo che il primo raid cessò, questi treni vennero riportati nelle piattaforme della stazione – solo in tempo per ricevere tutto l’impatto del bombardamento. Per settimane, i corpi maciullati rimasero sparsi dentro e fuori l’edificio della stazione. Sotto terra, la scena era anche più macabra. I ristoranti, le cantine, avrebbero potuto essere trasformati efficacemente in rifugi a prova di bomba. Le autorità non si preoccuparono di agire in tal senso, e delle duemila persone ammassate nell’oscurità, un centinaio rimasero bruciate vive e altre cinquecento asfissiate prima che le porte venissero aperte e i sopravvissuti riuscissero a uscire.

La tempistica del secondo raid, solo tre ore dopo il primo, non solo assicurò che i pochi caccia nemici della zona venissero neutralizzati, ma creò anche il caos stabilito e interruppe efficacemente tutte le operazioni di soccorso. Per molti chilometri all’intorno, i distaccamenti militari, le squadre di soccorso e i vigili del fuoco avevano iniziato ad affluire sulla città colpita, e la maggior parte di loro stavano attraversando le periferie quando le bombe iniziarono a cadere. Quelli che tornarono indietro vennero presto inghiottiti nella folle corsa della fuga da panico. La maggior parte di quelli che si diressero verso il centro della città perirono nella tempesta di fuoco.

Le scene più terribili del centro cittadino ebbero luogo nella magnifica piazza del vecchio mercato, l’Altmarkt. Poco dopo che era finito il primo raid, questa grande piazza era stracolma di sopravvissuti terrorizzati. Quando arrivò la seconda ondata si potevano muovere a malapena, fino a che qualcuno si ricordò della grande cisterna di cemento piena d’acqua di emergenza che era stata costruita da un lato. Questa cisterna misurava 100 metri per 50 ed era profonda poco meno di 2 metri. Vi fu una fuga precipitosa a buttarcisi dentro per scampare al calore della tempesta di fuoco. Quelli che agirono in tal modo dimenticarono che le sue pareti inclinate erano sdrucciolevoli, senza maniglie. Quelli che non sapevano nuotare precipitarono a fondo, trascinando con loro quelli che sapevano nuotare. Quando i soccorritori raggiunsero l’Altmarkt cinque giorni dopo, trovarono la cisterna piena di cadaveri gonfi, mentre il resto della piazza era costellata di cadaveri supini o seduti tanto rimpiccioliti dall’incenerimento che trenta di essi vennero portati via in una sola tinozza.

Ma l’orrore fose più spaventoso di questo secondo raid ebbe luogo negli ospedali. Nell’ultimo anno di guerra, Dresda era diventata una città-ospedale, con molte delle sue scuole adibite a corsie provvisorie. Dei suoi diciannove ospedali, sedici vennero gravemente danneggiati e tre, inclusa la principale clinica per le maternità, totalmente distrutti. Migliaia di sopravvissuti menomati vennero trascinati dalle loro infermiere sulle rive del fiume Elba, dove vennero adagiati in file sull’erba, ad aspettare la luce del giorno. Ma quando arrivò, vi fu un altro orrore. Puntualmente, alle 11.30, la terza ondata di bombardieri, composta dalle duecentoundici Fortezze Volanti Americane, iniziò il suo attacco. Ancora una volta, l’area della distruzione venne allargata lungo la città. Ma quello che tutti i sopravvissuti ricordano furono le schiere dei caccia Mustang che volavano basso sopra i corpi rannicchiati sulle rive dell’Elba, come pure sui prati più grandi del Grosse Garten, per sparare contro di loro. Altri Mustang scelsero come loro obbiettivo le persone assiepate che bloccavano ogni strada fuori di Dresda. Nessuno sa quante donne e quanti bambini vennero effettivamente uccisi da questi attacchi in picchiata. Ma nel mito della distruzione di Dresda, sono diventati il simbolo del sadismo e della brutalità Yankee, e chi indaga non può dimenticare che tra le vittime vi furono molti ragazzi cantori di una delle più famose chiese di Dresda.

Per cinque giorni e per cinque notti, la città bruciò e non venne fatto nessun tentativo per entrarvi. Poi, alla fine, le autorità iniziarono ad affrontare la crisi e a valutare i danni. I cinque teatri di Dresda erano tutti distrutti. Delle sue cinquantaquattro chiese, nove erano totalmente distrutte e trentotto seriamente danneggiate. Delle sue centotrentanove scuole, sessantanove erano distrutte e cinquanta seriamente danneggiate. Il grande zoo che si trovava appena oltre il Grosse Garten era stato colpito nel secondo raid e gli animali terrorizzati si erano mescolati ai sopravvissuti in preda alla disperazione. Vennero quindi riuniti e soppressi. Quelli che fuggirono dalle prigioni, una volta che anche queste vennero distrutte, ebbero miglior fortuna: riuscirono tutti a fuggire, incluso un certo numero di coraggiosi antinazisti.

Ma alcune cose erano sopravvissute alla distruzione. Le poche fabbriche che Dresda possedeva erano fuori del centro urbano, e presto ripresero a lavorare. La stessa cosa fu per il sistema ferroviario. Nel giro di tre giorni, in realtà, i treni militari correvano di nuovo attraverso la città e gli scali di smistamento – non colpiti da bombe – erano in piena attività. Fu come se un destino ironico avesse deciso che la prima tempesta di fuoco creata deliberatamente dall’uomo dovesse distruggere tutto quello che avrebbe meritato di essere conservato e lasciasse intatti tutti gli obbiettivi di importanza militare.

Nella loro opera di salvataggio, i nazisti coinvolsero circa 25.000 prigionieri di guerra Alleati, concentrati dentro e intorno alla città. Dresda, come era risaputo a Londra e a Washington, non era solo una città-ospedale ma una città per prigionieri di guerra – un’altra ragione per la quale le autorità pensavano che non sarebbe stata attaccata. Di fronte alle scene raccapriccianti di sofferenza, i prigionieri sembrano che abbiano lavorato volentieri, persino dopo che qualcuno di loro venne fucilato per furto, in base alla legge marziale.

Quello che i cittadini di Dresda ricordano soprattutto, dei primi giorni dopo i raid, è il seppellimento dei cadaveri. Nel corso della guerra, le autorità locali tedesche erano state molto attente a mostrare grande rispetto per i morti, permettendo ai parenti ogni volta che era possibile di identificare e di seppellire i propri morti. All’inizio, a Dresda venne seguita questa procedura. Ma alcune settimane dopo i raid c’erano ancora migliaia di cantine da aprire sotto le rovine incenerite, e l’aria era pesante per la nebbia e il puzzo dolciastro dei cadaveri in decomposizione. Un comandante delle SS prese la decisione che la processione quotidiana dei catafalchi a cavallo dalla città verso i cimiteri dovesse essere fermata. Per prevenire le epidemie, il resto dei cadaveri doveva essere smaltito più velocemente. Venne quindi costruita in fretta una gigantesca pira funeraria nell’Altmarkt. Delle serrande di acciaio provenienti da uno dei più grandi empori di Dresda vennero deposte sopra certe lastre rotte di minerale ferroso. I corpi vennero accatastati su questa macabra graticola con della paglia in mezzo a ogni strato, inzuppati di benzina e fatti bruciare. Novantamila cadaveri vennero smaltiti in questo modo, e otto metri cubi di ceneri vennero poi caricate in contenitori di benzina e seppelliti in un cimitero fuori città, largo otto metri e profondo cinque.

Se ci si aspettava, sia a Londra che a Washington, che la distruzione di Dresda, nonostante la sua trascurabile importanza militare, avrebbe almeno distrutto il morale dei tedeschi, questa speranza doveva presto rimanere delusa – grazie all’abile sfruttamento del disastro da parte di Paul Joseph Goebbels. Per giorni, il Ministero della Propaganda di Berlino riversò, nelle sue trasmissioni sia interne che estere, una marea di testimonianze oculari sulla città colpita, sostenute da attacchi moralistici contro il sadismo a sangue freddo degli uomini che avevano creato la tempesta di fuoco. Nella sua propaganda segreta, il dr. Goebbels fece anche meglio, passando alla stampa neutrale una fasulla valutazione supersegreta che le vittime avevano probabilmente raggiunto il numero di 260.000. Come risultato di questa campagna propagandistica nazista, il popolo tedesco venne convinto che le forze anglo-americane erano in realtà decise alla sua distruzione. E il suo morale si cementò ancora una volta, per il timore della sconfitta.

Contrariati dal successo della propaganda del dr. Goebbels, gli aviatori decisero di indire una conferenza-stampa il 16 Febbraio alla SHAEF. Come risultato della relazione, fornita da un commodoro dell’aviazione inglese, l’Associated Press trasmise un dispaccio speciale in tutto il mondo, annunciando “la decisione lungamente attesa di adottare i bombardamenti deliberatamente terroristici dei centri urbani tedeschi come uno spietato espediente per accelerare la morte di Hitler”. I corrispondenti aggiunsero che l’attacco di Dresda era stato compiuto “con lo scopo deliberato di gettare più confusione sul traffico stradale e ferroviario tedesco e per fiaccare il morale dei tedeschi”.

Quando questo dispaccio raggiunse Londra, venne immediatamente censurato in base al motivo che ufficialmente la RAF aveva bombardato solo obbiettivi militari, e l’attribuzione dell’intenzione terroristica era un esempio malefico di propaganda nazista. Negli Stati Uniti, dove il dispaccio venne largamente pubblicizzato, l’imbarazzo causato all’Amministrazione fu acuto, poiché i portavoce dell’aviazione avevano raramente mancato di sottolineare la differenza tra gli indiscriminati attacchi notturni della RAF e la natura selettiva e precisa dei bombardamenti diurni attuati dall’Ottava Air Force.

Per far cessare queste domande imbarazzanti, il Generale George C. Marshall diede quindi assicurazioni pubbliche che il bombardamento di Dresda era stato effettuato su richiesta sovietica. Sebbene allora, o in seguito, non venne fornita nessuna prova della verità di questa dichiarazione, venne accettata senza discutere e da allora è stata recepita in un certo numero di storie americane ufficiali.

Ma la soppressione non fu sufficiente a fermare l’onda crescente delle pubbliche proteste. Arrivata com’era quando la guerra era praticamente finita, la distruzione gratuita della Firenze del Nord e lo sterminio di così tanti suoi cittadini era troppo, anche per un’opinione pubblica mondiale riempita per anni da una vociferante propaganda bellica. La pubblicazione di un lungo rapporto di un corrispondente svedese provocò un’ondata di disgusto.

Nel giro di poche settimane, questo disgusto per i bombardamenti indiscriminati influenzò persino Winston Churchill. Fino a quel momento, i critici dei bombardamenti a tappeto presenti nel Parlamento inglese erano stati una piccola minoranza derisa. Improvvisamente, il loro peso incominciò a crescere e il 28 Marzo, in risposta a questo nuovo atteggiamento, Sir Winston scrisse al Comandante dello Staff dell’Aria con queste parole significative:

“Mi sembra che sia venuto il momento in cui la questione dei bombardamenti delle città tedesche, effettuati solo per aumentare il terrore, sebbene con altri pretesti, debba essere rivista”.

Poiché il Premier aveva preso l’iniziativa di chiedere il passaggio dai bombardamenti mirati ai bombardamenti a tappeto e aveva attivamente incoraggiato ogni nuova proposta del Maresciallo dell’Aria Harris nella tecnica dei bombardamenti a tappeto, questo memorandum poteva difficilmente essere espresso in modo meno infelice. Esso forniva le prove schiaccianti che fino a quando i bombardamenti a tappeto erano popolari, i politici se ne prendevano il merito; ma ora che l’opinione pubblica si rivoltava contro questa brutalità insensata, anch’essi si nascondevano lasciandone le colpe all’aviazione.

Il Comandante dello Staff dell’Aria si indignò a tal punto che questa volta tenne testa a Sir Winston, costringendolo a ritirare il memorandum, e a sostituirlo con quello che gli storici ufficiali – che raccontano questo incidente per intero – hanno descritto come “un documento formulato in modo più discreto e leale”.

Ma, almeno in Inghilterra, il danno era stato già fatto. Da quel momento, il Comando Bombardieri, che per anni era stato oggetto di adulazione, venne sempre più screditato, e il soprannome del suo Comandante in Capo cambiò da “Bombardiere” Harris a “Macellaio” Harris. Sebbene le squadre dei bombardieri avessero sofferto di gran lunga le perdite più pesanti di ogni altra forza armata inglese, non venne coniata nessuna medaglia per onorare il loro ruolo nella vittoria. Nella sua trasmissione celebrativa del 13 Maggio del 1945, Sir Winston omise ogni tributo nei loro confronti, e dopo che il Governo Laburista andò al potere, Earl Attlee fu altrettanto vendicativo. Nel Gennaio del 1946, egli escluse il loro Comandante in Capo dall’elenco delle onorificenze. Sir Arthur Harris accettò sportivamente l’offesa e il 13 Febbraio del 1945 salpò in esilio per il Sudafrica.

L’Ottava Air Force dell’aviazione venne trattata in modo più gentile, sia dai politici di Washington che dagli americani. I suoi membri ricevettero la loro dose di medaglie, e fino ad oggi non è mai stato ammesso ufficialmente che fino alla fine della guerra essi bombardarono di giorno i centri urbani e le zone residenziali in modo altrettanto spietato di quanto fece la RAF di notte. C’era, tuttavia, un’importante differenza tra l’immagine pubblica delle due aviazioni. Il Gabinetto inglese, avendo segretamente deciso di attuare i bombardamenti indiscriminati, nascose questa decisione all’opinione pubblica inglese e perciò costrinse il Comando Bombardieri a operare sotto la copertura di una menzogna prolungata e deliberata. Nel caso dell’Ottava Air Force, l’auto-inganno prese il posto della menzogna. Invece di fare una cosa e di dirne un’altra, venne mantenuta la favola che in ogni missione le Fortezze Volanti colpivano esclusivamente obbiettivi militari, e questo fa ancora parte della leggenda americana ufficiale della seconda guerra mondiale. Fu per l’impossibilità di far quadrare questa leggenda con quello che successe a Dresda che il Generale Marshall dovette giustificare la partecipazione degli americani a questo olocausto in base alla motivazione fittizia che i russi avevano richiesto l’attacco.

Lascio decidere al lettore quale forma fu più nauseante – le menzogne degli inglesi o l’auto-inganno degli americani. Per quanto mi riguarda, ciò che conta non è l’immagine pubblica dell’idealismo anglo-americano fatta a pezzi dal raid di Dresda, ma il crimine contro l’umanità che venne perpetrato. Il fatto che venne deciso di bombardare una città priva d’importanza militare solo per impressionare Stalin. Il fatto che una tempesta di fuoco venne creata intenzionalmente per uccidere il maggior numero possibile di persone, e che i sopravvissuti vennero mitragliati mentre giacevano inermi all’aperto – tutto questo è stato stabilito senza nessun’ombra di dubbio. Quello che rimane da chiedersi è come fecero dei politici civili e onesti ad approvare in modo entusiasta un tale sterminio, e come dei militari civili e onesti poterono coscienziosamente attuarlo.

La solita spiegazione – o la solita scusa – è che i bombardamenti strategici vennero adottati dalle potenze occidentali solo per rappresaglia in una guerra totale iniziata dalle dittature. Questa, al massimo, è una mezza verità. I nazisti e i comunisti sguazzarono nei raid terroristici contro obbiettivi civili. Ma erano abbastanza antiquati e imperialisti per ritenere che lo scopo della guerra non è distruggere il nemico, ma sconfiggere le sue forze sul campo, occupare il suo paese e sfruttare le sue risorse. Ecco perché sia Stalin che Hitler preferirono usare la loro forza aerea non come un’arma a parte di una guerra senza limiti, ma come un sostegno tattico alle operazioni convenzionali di terra e di mare. In realtà, le sole nazioni che applicarono la teoria della guerra senza limiti, realmente e sistematicamente, furono le due grandi democrazie occidentali. Entrambe crearono una gigantesca aviazione strategica e attuarono dei tentativi ben separati ma in definitiva inutili di sconfiggere la Germania per mezzo dell’annichilimento aereo.

Tuttavia, a prima vista, i bombardamenti terroristici mi sembrano, come inglese, una forma di guerra indegna del nostro carattere nazionale, e totalmente inadatta al popolo di un’isola, esso stesso irrimediabilmente vulnerabile ad attacchi aerei indiscriminati. E sospetto che anche la maggior parte degli americani ritengano che essa non sia degna delle tradizioni e dello stile di vita americano.

Perché allora entrambe le nazioni la adottarono?

Credo che il motivo che ci spinse a tanto fu il desiderio così tipico degli anglosassoni di difendere sé stessi e di cogliere i frutti della vittoria senza prepararci alla guerra; senza veri combattimenti, e (se questo si dimostrasse impossibile) di ridurre al minimo le vittime tra i nostri soldati. Non solo i combattenti inglesi e americani esigono un tenore di vita molto più alto dei loro nemici. Più importante ancora è il fatto che non vogliono che gli venga chiesto di rischiare la morte nel combattimento ravvicinato, se sono disponibili i metodi di distruzione a distanza del nemico. Questa, ne sono sicuro, è la ragione principale del perché i nostri politici e i nostri generali ritennero moralmente giustificato condurre un’offensiva aerea contro la Germania che culminò nella distruzione di Dresda.

Una volta che prendiamo atto di ciò, non ci sorpendiamo più del fatto che, appena venne perfezionata la bomba atomica, il Presidente Truman decise – con la piena approvazione del Primo Ministro inglese – di usarla. In questo modo, poteva finire i giapponesi senza delle operazioni di terra che sarebbero costate migliaia di vite americane!

La morale che traggo dalla storia terribile di Dresda è che le bombe atomiche impiegate a Hiroshima e a Nagasaki non inaugurarono una nuova epoca nella storia delle guerre. Esse fornirono semplicemente un nuovo metodo per ottenere la vittoria senza le vittime richieste dai combattimenti di terra , in modo molto più mortifero ed economico delle migliaia di raid aerei della seconda guerra mondiale. Questa, ecco cosa pensarono i nostri politici e i nostri generali, è l’arma suprema che può permettere alle democrazie di disarmare e di rilassarsi – scoraggiando nel contempo le aggressioni.

Ahimè! Circa vent’anni di amare esperienze ci hanno insegnato che il mondo non è diventato più sicuro per le democrazie né con la tempesta di fuoco “convenzionale” creata a Dresda dai bombardieri né dalla tempesta di fuoco atomica di Hiroshima. Anche nella guerra moderna, il crimine non sempre paga!
*Esquire, Novembre 1963)[1]

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.christusrex.org/www1/war/dresden1.html
[2] Acronimo che sta per Supreme Headquarters Allied Expeditionary Force (Comando Supremo Forze di Spedizione Alleate): http://en.wikipedia.org/wiki/SHAEF
[3] Il giorno della vittoria alleata in Europa (8 Maggio 1945).
[4] Acronimo che sta per Air Raid Precautions: le precauzioni contro i raid aerei.