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Il Novecento da Marinetti ai Ramones

di Marco Iacona - 16/03/2009


Via Maria Vittoria numero nr. 5. È l’indirizzo della sede del Miaao, nome deliziosamente onomatopeico che sta per Museo internazionale arti applicate oggi di Torino, fondato e diretto da Enzo Biffi Gentili. Un museo che ospita dal 20 febbraio al 5 aprile 2009 una mostra sul futurismo torinese e, con essa, le opere e le collezioni di uno dei nomi più noti dell’arte contemporanea: Pablo Echaurren. Un artista noto e stimato -sia a destra che a sinistra- perché da vero avanguardista è sempre riuscito a coniugare originalità, coraggio e anticonformismo.
Il titolo della mostra curata dallo stesso Biffi Gentili e da Luisa Perlo, che vuole ricordare i cento anni dalla nascita di una delle più prestigiose avanguardie europee, è: “Rosso+Nero. Futurismo: per un centenario incendiario - Echaurren collezionista artista antagonista”, ed è idealmente divisa in due parti anche se si tratta di due parti che, passo dopo passo, si incrociano in continuazione.  Le ragioni sono evidenti. Nei primi anni del Novecento, anche il futurismo piemontese come nelle altre parti d’Italia si mostrava per quello che era –mostrava la sua “essenza” eversiva, il suo lato rivoluzionario, la sua voglia di deviare da un percorso, né rosso né nero, ma sostanzialmente grigio. E ciò ben prima di subire le “invasioni” di una politica fascista -con annessi e connessi- poco amata lungo le sponde di un fiume, il Po, che di storie e avventure era capace di raccontarne tante, ma tutte o quasi in un’altra direzione. Non occorre ricordarlo o forse sì: anche Gramsci con lo pseudonimo di Alfa Gamma, sul “Corriere universitario”, fu un estimatore del movimento marinettiano. E negli anni Venti, si pensò…, si teorizzò un’alleanza fra classe operaia e avanguardia, arte e lavoro, per scrutare i cieli di un coloratissimo futuro proletario.    
Mettiamola così: il futurismo per spinte ed ideali fu anche di “sinistra”, come si può leggere nella didascalia del poster fissato all’ingresso della Galleria del Miaao ove sono anche in mostra le opere del piemontese Ugo Pozzo (Torino 1900-1981). Un futurismo di “sinistra” inciso a caratteri sufficientemente leggibili, o meglio un futurismo di destra e sinistra contemporaneamente -anti ideologico se vogliamo e di “fascia laterale”- come testimonierà in seguito l’opera di Echaurren, epigono anzi vero e proprio erede culturale di un’arte di “battaglia” che dopo mezzo secolo riuscirà a dialogare mercé uno spirito rivoluzionario -rosso e nero insieme- con entrambe le parti (Renato Curcio e Valerio Fioravanti…), in periodi nei quali i “matrimoni misti” erano poco consigliabili davvero. Era un sogno lo sappiamo bene, ma per buona parte le immagini non svanirono all’alba.
Così al Miaao le opere di Pozzo (“Cosmopoli”, 1925; “Aeropittura di piazza”, 1926), si alternano fisicamente ed idealmente a quelle di Echaurren (quadri, oggetti, volumi), e fra le prime e le seconde documenti storici d’interesse regionale e nazionale di valore artistico e storico, provenienti dalla collezione Echaurren-Salaris (sposa dell’artista ed illustre storica del futurismo), una delle più preziose e complete al mondo.
Ma una mostra unica non poteva non godere di pubblicazioni uniche. Oltre alle testimonianze d’epoca, anche un catalogo in formato tabloid con grafica “futurista” in rosso e nero. Si tratta ancora di un’invenzione del poundiano Biffi Gentili: il periodico After-Ville che col suo primo numero del 2009 ospita gli interventi dei curatori della mostra, e all’interno delle otto pagine una preziosa intervista a Giano Accame da anni impegnato ad affermare una terza-via, un’alternativa culturale alla politica del ‘900 e del III millennio, ed amico personale di Echaurren.
Se si dà un’occhiata al catalogo è possibile conoscere un’altra di storia del futurismo, che è quella di un movimento mal-giudicato a causa della politica, anzi del fascismo che di quest’ultima ha rappresentato, secondo la vulgata, la degenerazione, se non il punto di massima perversione nel secolo appena trascorso. E non è tutto qua. Gentili ricorda le parentele “eterodosse” dei futuristi, da quelle di “sinistra” a quelle “anarchiche”. E ricorda perfino che di anarchici torinesi ce ne furono pure nel Movimento fascista, si pensi ad esempio alle figure di  Libero Tancredi e del sansepolcrista Mario Gioda.
Il momento di massima vicinanza fra il futurismo e il comunismo è probabilmente il 1922-23, quando si celebra l’Esposizione futurista internazionale al Winter Club di Torino. L’“Ordine Nuovo” il giornale di Gramsci ne informa con abbondanza di dettagli. Ma il ’22 -periodo della Marcia su Roma- è anche l’anno di uscita di “Dinamite” raccolta di poesie rivoluzionarie ad uso operaio, rarissimo libretto messo su dal giovane Fillia e da Antonio Galeazzi e Jean Pasquali. Lo stesso ’22 si chiude però con l’eccidio di operai e sindacalisti (17-18 dicembre), ad opera delle squadre fasciste di Piero Bradimante. Eccidio che non tutti i fascisti accetteranno di buon grado dando prova di una libertà di giudizio troppo spesso negata da storici e critici. Nel ’23 invece a Torino verranno fondati i Sindacati artistici futuristi.
Gran parte del catalogo della mostra, sicuramente amato dai collezionisti, è però dedicato ad Echaurren, con foto coloratissime tratte dalle sue opere. Qui e lì il lettore attento scorgerà anche qualche nota biografica. C’è innanzitutto la vicinanza per così dire spirituale dell’artista al “clima” futurista. Il punk movimento degli anni Settanta è per Echaurren un futurismo a noi più vicino. «Cos’altro fu il punk», scrive, «se non il diritto a suonare come ci pare, stanando e tutto quanto? E i Ramones furono i campioni, gli iniziatori, i detonatori. Veloci quanto basta per essere insigniti dell’appellativo di Fast Four. Guardateli sulla copertina del loro primo Lp, non sembrano Marinetti & C?». Nel 1997 Echaurren fonderà un partito assai singolare, che definire nichilista forse è poco. Il Partito del Tubo (P.d.T.). Il programma è già tutto da leggere: «Il P.d.T. è un partito-virus che si prefigge di portare a morte definitiva se stesso e tutti gli altri Partiti, già moribondi per mano dei propri dirigenti digerenti».
Ma tocca ad Accame, intervistato dallo stesso Gentili a pag. 4 sfiorare i punti più caldi del rapporto futurismo-fascismo-sinistra. C’è nel fascismo quella stessa idea di morte presente anche nell’opera di Echaurren? Quel non-so-che che si chiama cultura della morte presente in questo geniale artista e romanziere, noto anche per le opere e i mosaici raffiguranti teschi colorati, che appaiono quasi sorridenti?  Un’idea di morte che sembra aver infastidito tanti commentatori soprattutto a sinistra?
Sull’argomento esiste una tradizione non solo italiana, dice Accame, ma europea e in special modo tedesca, precedente agli anni Dieci del ‘900; una tradizione che proprio nulla ha a che vedere col fascismo (ovviamente col fascismo come parentesi storica); semmai «nella morte dei fascisti, il tratto distintivo risiede in una più accentuata attrazione per il valor militare, tramontata con l’epocale sconfitta del ‘45». In Echaurren invece, sempre secondo Accame, c’è il senso di una modernità angosciata poco confinante con quanto le cronache registravano nella prima parte del Novecento.
A proposito di “secolo breve”, altro nome di spicco intervistato per l’occasione è quello di Costanzo Preve. Ed anch’egli ha idee chiare ed originali. Ascoltiamolo: il Novecento «ha il pregio di aver tentato di riaffermare il primato della politica sull’economia». Questo tentativo è avvenuto sostanzialmente in cinque forme abbastanza differenti: il comunismo, il fascismo ed il nazionalsocialismo, la socialdemocrazia scandinava, il populismo e i movimenti di liberazione nazionale. Ebbene tutte queste forme sono fallite. Ma avanguardie a parte è grazie ad esse che il Novecento sarà un secolo da ricordare.
Sempre in tema di contaminazioni a-partitiche molto interesse desta infine il breve intervento di Elisa Facchin sulla “Torino nera e rossa”. Un accenno alle «vicende, all’inizio degli anni ’60, delle Edizioni dell’Albero di Piero Femore e Vittorio Viarengo, “covo” e ritrovo di intellettuali scomodi che contestavano, da differenti postazioni ma tutte “laterali” rispetto ai “poteri forti”, molti solidissimi luoghi comuni». Fra questi quello che «il fascismo sarebbe stato “sinonimo di incultura o pseudocultura tout court”. Oppure, quello per cui il cosiddetto neofascismo sarebbe stato tutto “di destra”, reazionario, pronto allo scontro e chiuso al dialogo, nazionalista e non europeista». E così si conclude: a Torino «alcuni giovani, prima in Giovane Nazione, poi in Giovane Europa, iniziavano pratiche politiche “eccentriche” sotto uno stendardo Nero+Rosso, destinato ad essere ammainato intorno al ’68. Incontri più o meno ravvicinati “del terzo tipo” e tra i personaggi e interpreti, maggiori e minori, di quell’intreccio c’è chi ha annoverato Curcio, Cardini, Bruschi, Cinquemani e Biffi Gentili, citando, per ora, solo uno dei vari subalpini…».
La storia torna sempre sui suoi passi dunque. Questi intrecci di “colore” nell’azzurro del cielo piemontese, sarebbero piaciuti -e tanto- a un rivoluzionario dell’Italia dei primi anni Venti. Non dimentichiamolo più.