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Iraq, Il caso misterioso di Mohamed al-Dainy

di Robert Fisk - 16/03/2009

Le autorità sostengono che ha pianificato un attentato suicida in Parlamento. I suoi alleati insistono che il deputato iracheno è un attivista per i diritti umani rispettato. Nessuno tuttavia sa che cosa gli sia accaduto.



Dov’è Mohamed al-Dainy? In carcere a Baghdad? In fuga? Oppure questo parlamentare iracheno sunnita e difensore dei diritti umani sta rischiando di essere torturato o persino ucciso nel suo stesso Paese? Di sicuro questo è quello che teme il fratello Ahmed. "Abbiamo paura per la sua vita e le vite dei nostri familiari a Baghdad", dice dalla sicurezza di Damasco. "Tutta la famiglia ha paura di essere minacciata direttamente dal governo iracheno”.

Il governo del Primo Ministro Nuri al-Maliki nega di avere arrestato o imprigionato l’uomo sparito – anche se agenti governativi avevano tentato di arrestarlo all’aeroporto di Baghdad il 25 febbraio, dopo che al suo volo diretto ad Amman era stato ordinato di tornare in Iraq quando era quasi a metà strada per la Giordania, con a bordo una delegazione parlamentare irachena.

Le autorità lo hanno accusato di aver pianificato un attentato suicida nel Parlamento iracheno il 12 aprile 2007, nel quale rimasero uccise otto persone, compreso un collega del suo stesso partito politico: una affermazione che al Karama, un gruppo per la difesa dei Diritti umani con sede a Ginevra,  che a sua volta teme per l’incolumità di Dainy, definisce "politicamente motivata", dato che l’uomo scomparso aveva rivelato l’esistenza di carceri segrete e della tortura in Iraq.

Molti iracheni raccontano di carceri illegali, maltrattamenti, e persino stupri da parte delle forze di sicurezza controllate nominalmente dal governo Maliki – alcune storie sono vere, altre molto esagerate; Dainy però è una persona rispettata per il suo lavoro di indagine sui diritti umani, che lo scorso anno era volato a Ginevra, ospite di al Karama, che si occupa del mondo arabo, per discutere la sua attività con i funzionari delle Nazioni Unite, con la Croce Rossa Internazionale, e diverse organizzazioni non governative. In Svizzera, aveva  presentato un documentario di 16 minuti in cui c’era anche del materiale che lui stesso aveva girato all’interno di carceri "segrete".

La sua sparizione, il mese scorso, è stata spaventosa come le accuse mosse nei suoi confronti dal governo. Dopo che il suo volo era rientrato all’aeroporto di Baghdad, agenti governativi erano saliti sull’aereo e avevano formalmente arrestato Dainy di fronte ai colleghi in parlamentari e ad altri passeggeri. Secondo le prime informazioni, era stato portato via dall’aeroporto in un convoglio di veicoli appartenenti alle forze di sicurezza. Informazioni arrivate in  seguito avevano fatto pensare che avesse lasciato l’aeroporto assieme ai colleghi parlamentari e avesse chiesto di essere fatto scendere dall’auto nella quale si trovava sulla strada dell’aeroporto per evitare di venire arrestato a uno dei checkpoint governativi. Le guardie del corpo di Dainy sarebbero state  arrestate per la parte avuta nella sua "fuga".

Persone vicine alla sua famiglia insinuano che è stato catturato e detenuto nella prigione di Kadhimiya, quindi trasferito in seguito nel carcere di Jadriya, anche se le autorità dicono di non saperne nulla. Secondo i familiari, le forze di sicurezza avrebbero fatto irruzione nelle loro abitazioni a Baghdad, e il padre 85enne dell’uomo scomparso sarebbe stato arrestato. Dainy aveva negato le accuse rivoltegli dal governo, secondo le quali sarebbe stato coinvolto nell’attentato suicida del 2007, dicendo che un suo nipote e il capo delle sue stesse guardie del corpo erano stati torturati prima di "confessare" in un video che dietro le uccisioni c’era lui.

Al Karama
ritiene che tutta la vicenda sia iniziata dopo le dichiarazioni fatte da Dainy a Ginevra, il 30 ottobre dello scorso anno, nelle quali faceva appello all’aiuto internazionale per porre fine alle sofferenze degli iracheni tenuti nelle carceri in tutto il Paese. "Attraverso il mio lavoro, ho accesso a molti documenti ufficiali", aveva detto. "Ho molte persone e funzionari all’interno del governo che mi passano segretamente documenti ... Ho molti, molti documenti di ministeri che confermano uccisioni extragiudiziali nei centri di detenzione, il problema degli stupri sistematici nelle carceri femminili, e la … situazione dei diritti umani in Iraq".

Dainy inoltre aveva condannato "gli enormi massacri" da parte degli americani a Falluja, aggiungendo che l’invasione di George Bush nel 2003 era stata illegale, e che l’Iraq è tuttora sotto occupazione.

In accuse più dettagliate, Dainy aveva affermato che 26.000 persone erano detenute dalle forze Usa in Iraq – ma che altre 40.000 si trovano in 37 carceri ufficiali sotto il controllo del governo. "In una prigione segreta nella quale sono stato, centinaia di prigionieri erano ammassati in ognuna delle sei stanze. C’erano persone di ogni tipo: uomini, donne, e bambini. In una prigione, c’erano 23 minorenni". Aveva condannato la Missione di assistenza all’Iraq delle Nazioni Unite (UNAMI) come inefficace, e aveva protestato perché ai funzionari che volevano indagare sulle violazioni dei diritti umani non veniva concesso il permesso di visitare le carceri.

Dainy, come molti altri sunniti, è molto critico sul coinvolgimento iraniano in Iraq, e aveva ammonito i funzionari a Ginevra riguardo all’influenza dell’Iran sul governo Maliki – dicendo tuttavia che, nella sua veste di parlamentare, era riuscito a visitare di persona 13 carceri, tre delle quali controllate in modo congiunto dalle forze Usa e da quelle irachene. "Sono un deputato e questo mi mette in pericolo”, aveva detto al suo pubblico a Ginevra. "Ma tornerò a Baghdad, e questo non ci fermerà".

Parole premonitrici. Come ha detto all’Independent il fratello Ahmed al-Dainy: "Non possiamo fare niente con il governo perché si stanno rifiutando di parlare o di trattare con noi. Qualsiasi contatto stabiliamo, per telefono o di persona, viene immediatamente interrotto.

"La cosa più importante che si può fare adesso viene dalle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, e da qualunque tipo di pressione internazionale che possa essere esercitata sul governo iracheno".

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

 The Independent