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L’Artico non si salva senza l'autodeterminazione dei suoi popoli autoctoni

di Larisa Abryutina - 16/03/2009

 
 
La rapida evoluzione del clima nell’Artico sta provocando pressioni sempre più forti su centinaia di migliaia dei suoi abitanti autoctoni ed è sempre più evidente la necessità di trovare una strategia sostenibile per lo sviluppo dell’area. Sono queste le conclusioni alle quali è giunta la recente riunione di 4 giorni organizzata dall’Unesco nel Principato di Monaco, durante la quale specialisti di scienze sociali e naturali, dell’educazione e di relazioni internazionali hanno sollecitato i politici ad avvalersi dell’esperienza dei popoli indigeni per mettere in campo raccomandazioni ed azioni per le iniziative da prendere per contrastare e mitigare gli effetti del riscaldamento globale.

«In quanto Inuit dell´Alaska, provo per la prima volta una grande speranza – ha detto Edward Itta, sindaco di North Slope e presidente dell’Inuit Circumpolar Council (Icc) – perché le mie parole sono state prese sul serio ed è stato dato loro peso. E’ la prima volta in una riunione di questo genere che mi sento utile». A Monaco potrebbe esserci stata una svolta consapevole rispetto al solito atteggiamento “paternalistico” verso gli indigeni dell’Artico, con buoni consigli su come dovrebbero cambiare il loro stile di vita per adattarsi ad un disastro ambientale di cui non hanno nessuna colpa, stavolta esperti e ricercatori si sono sforzati di capire quale siano le conoscenze e gli usi dei popoli autoctoni che possono servire alla mitigazione del climate change ed hanno riconosciuto l’esigenza di salvaguardare tradizioni culturali di immenso valore. Una delle principali sfide è quella di definire cosa sia lo sviluppo sostenibile per l’Artico ed è chiaro che senza il coordinamento degli sforzi interdisciplinari ed internazionali sarà difficile affrontare le conseguenze prodotte da un Oceano Artico “blù”, quasi completamente libero dai ghiacci, sia per l’ecosistema marino che per la vita dei popoli indigeni ed in generale per le attività economiche.

Larisa Abryutina, vice-presidente dell´Associazione russa dei popoli autoctoni del nord (Raipon) ha detto che «L´Artico e la sua popolazione impegnata nelle attività tradizionali non dovrebbero essere percepiti come un segnale di allarme, ma piuttosto come un sistema di soccorso rapido. La Russia conta una popolazione di 200 mila autoctoni, 80 mila dei quali vivono nell’Artico».

Secondo il comunicato finale redatto dall’Unesco «La difficoltà di preservare ed accrescere la prosperità ed il benessere culturale dei popoli dell’Artico è spesso complicata dal fatto che quelli che sono incaricati di guidare i cambiamenti sono spesso estranei all’Artico. In più, gli sforzi in materia di ricerca scientifica e di sviluppo e salvaguardia sono spesso guidati da interessi esterni alla regione. Le azioni formulate in vista di risolvere i problemi dell’Artico passano quindi per una presa di coscienza del fatto che numerosi popoli dell’Artico dispongono di istituzioni autonome. Questi popoli così come le loro istituzioni danno prova di un’immensa creatività e si impegnano a promuovere l’autodeterminazione, la prosperità e la aspirazioni delle loro comunità e delle loro regioni». Dal 20 al 24 aprile ad Anchorage, la capitale dell’Alasca si terra l’Indigenous peoples global summit on climate change.