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René A. Schwaller De Lubicz

di Stefano Serafini - 18/03/2009

Temo sia davvero improbabile per un inesperto (qual è il sottoscritto) sovrastimare l’importanza dell’esoterismo nella cultura moderna e contemporanea. Due i motivi: innanzitutto la vastità, la ricchezza proteiforme, sempre carica di sorprese, e la permeazione di questa nebulosa dell’immaginario e dell’anelito, la quale per propria natura rifugge pubblicità e semplificabilità didattica, cioè la categorie che determinano l’accettazione del sapere all’interno della civiltà occidentale borghese (“democratica”). Poi, essenziale, per quanto apparentemente paradossale, la simbiosi invisibile tra il pensiero nascosto e la stessa cultura in cui viviamo alla luce del sole, borghese, utilitarista, efficientista; proprio una simbiosi, al modo del paradigma biologico del lichene, metà fungo metà alga, sì che senza l’uno l’altra non potrebbe sussistere.

Un primo merito del libro di Massimo Marra consiste nell’esemplificare tali caratteristiche generali dell’esoterismo, ed indicarne gradualmente le ragioni mediante l’esposizione del concreto percorso biografico di un grande “esoterista”.

Schietto, l’altro merito è quello di offrire al lettore italiano il primo saggio generale di spessore scientifico su René Schwaller de Lubicz (1887-1961), figura in sé rilevante della cultura francese ed europea della metà del Novecento, riempiendo così un vuoto di documentazione storica e critica che, come osserva lo stesso Marra, ha per curioso pendant il rigoglio editoriale di cui godono le sue opere, già interamente tradotte in Inglese e in Italiano (le ultime edizioni sono apparse nel nostro Paese nel 2008 e nel 2009), mentre in Francia si susseguono senza sosta scoperte e pubblicazioni di inediti e carteggi.

Se anche fosse valida l’obiezione che proprio tante pubblicazioni sostanzialmente prive di orientamento critico denuncerebbero il carattere sub-culturale e settario di questo genere di testi, e dunque tutto sommato a loro volta giustificherebbero il disinteresse di chi si occupa di cultura “vera”, a maggior ragione risalterebbe l’importanza di questo saggio storico e critico. Ma innanzitutto occorre ancora aggiungere (anche se non dovrebbe esservi tale bisogno) che sub-culturalità e settarismo non significano affatto ininfluenza. Anzi, come mostrato da Marra, il pensiero e l’opera di Schwaller de Lubicz hanno lasciato un’impronta specifica sul paesaggio culturale novecentesco, e che tale impronta abbia una provenienza “carsica” rende ancora più interessante e urgente la necessità di delucidarla. Inoltre l’ingenuità che probabilmente orienta la maggioranza dei fruitori dell’opera esoterica per così dire “nuda”, dice poco a riguardo della profondità e del valore culturali dell’opera in sé, sia in negativo che in positivo. Giudicare a partire dall’uditorio, è un pregiudizio che occlude una visuale importante sulla nostra realtà e le sue cause; un’idiosincrasia che dovrebbe allora, per es., farci condividere il rifiuto degli studiosi ottocenteschi di occuparsi di Kierkegaard, o l’esagerata considerazione nutrita dai letterati del primo Seicento verso Giambattista Marino.

René Schwaller de Lubicz fu senz’altro al contempo uomo e fenomeno di cultura novecentesca, all’incrocio di molteplici influssi disciplinari, preso nel gorgo di quella che in prospettiva può sembrare un’ansia nevrotica di consumo enciclopedico, sorvolante, velocizzato, di tutta la conoscenza. Del sapere egli pare avvertire l’estrema agonia in quanto entità organica, e il suo disfacimento in specialità positivistiche; la nuova saggezza mistica, prassica e teorica che egli vagheggia, al pari di altri suoi contemporanei, vorrebbe magicamente ricomporlo come fece Iside dei brani del cadavere di Osiride. «Chimico, allievo di Matisse, teosofo, amico e maestro di poeti e artisti del calibro di O. V. de Lubicz Milosz, agitatore politico e sociale protagonista di falansteri e progetti utopistici di matrice socialista, alchimista e occultista coinvolto nella formazione della leggenda di Fulcanelli, studioso di geometria pitagorica e simbolica, teorico di una filosofia erotica dell’eccesso, studioso di egittologia e maestro di un gruppo di egittologi eretici e spiritualisti, riferimento indiscusso di una corrente di studiosi di simbolismo... Stimato da André Breton, che lo considera un riferimento per il surrealismo, studiato da filosofi come Maurice de Gandillac, venerato da artisti come Jean Cocteau... e, nel contempo, sospetto di pratiche e ideologie esoteriche luciferine, latore di concezioni razziste ed antisemite, René Schwaller de Lubicz è un personaggio complesso, di difficile decrittazione» (dalla quarta di copertina). Forse non tanto difficile, visti gli squarci aperti da Marra su questa figura veramente emblematica del lato oscuro di un’epoca. Una maschera non per questo solitaria, la quale ha ad es. parallelismi evidenti – non ultimi la gravitazione intorno alla Svizzera del tempo e gli eccessi sessuali – con un altro personaggio “oscuro” (o oscurato) al centro di eventi capitali del secolo breve, quale Aleksandr (Israil’) Helphand, meglio noto col nome di battaglia di Parvus (1869-1924), uomo d’affari e agente doppio dei governi turco e germanico, rappresentante dell’anima “tedesca” e “violenta” del socialismo internazionale opposta a quella “francese”, “saggia” ed “evoluzionista”, maestro di Trotskij, pari-grado di Lenin, e padre non putativo della rivoluzione d’Ottobre in Russia.[1]

La tensione socialisteggiante, rivoluzionaria, elitista, e ultimamente anarchica di Schwaller de Lubicz è la medesima di Parvus, e raccoglie uno spirito del tempo feroce, che verrebbe da definire quasi un parossismo di «cattiva coscienza borghese» in senso marxiano, se non fosse per l’acuta consapevolezza della sua applicazione, che mostra ben poca innocenza o naivite, ben poco «spirito del sacrificio decabrista». Non sono dunque contraddittori il socialismo, il darwinismo, lo spiritualismo, l’anticristianesimo e il razzismo conviventi in questo come in altri personaggi del tempo. Essi sono tutti elementi strumentali al progetto eversivo, che ha per scopo la generazione dell’uomo nuovo; una genesi che naturalmente si dà sotto un orizzonte precipuamente individuale, e fiorisce in primis nell’io di questi alchimisti del crepuscolo, convinti, al concludersi della vita, di aver tentato di evocare l’alba.

Guardandoci intorno, viene da domandarsi se tale eversione non sia stata alfine realizzata, accendendo il sole nero di un’aurora notturna; e se Schwaller de Lubicz non abbia svolto il ruolo di profeta incompreso, un alchimista che ha avuto infine successo, inevitabilmente dopo la propria morte (e forse malgrado se stesso).

Marra mostra una notevole chiarezza nell’organizzare il materiale del suo studio intorno a tre nuclei: nell’ordine politica, esoterismo, egittologia. Tali nuclei radunano come attrattori principali i movimenti della vita di Schwaller de Lubicz, ma al contempo ordinano la sua vicenda lungo un percorso coerente, che muove dal più generale al particolare. Politica è infatti l’ispirazione ideale originaria, quella dell’eversione radicale, cioè, come abbiamo detto, antropologica: cambiare l’uomo per cambiare la società passando per esperienze fourieriste (all’opposto, apparentemente, della rivoluzione leninista nell’impero russo, il cui prodotto sarebbe stato effettivamente l’homo sovieticus). Ma Schwaller de Lubicz non ebbe quella qualità di realizzatore, propria di Parvus fino al genio, e il suo percorso rimase nell’alveo della teoria. L’esoterismo fu così il primo mezzo, oltre che il milieu, della “realizzazione” schwalleriana; l’ambiente, anche in senso simbolico, della sua attività di influenza “interiore”, “invisibile”, “occulta” sulla cultura del suo tempo. L’egittologia, infine, rappresentò il contesto della concretizzazione, dell’incarnazione storica delle idee di Schwaller de Lubicz, la risuscitazione dello spirito gerarchico-sacrale della vita, nella comprensione accademica – mediata dall’entusiastica adesione di Alexandre Varille e Clement Robichon – del significato simbolico degli antichi templi egizi.

Una nota merita l’applicazione di Schwaller de Lubicz alla magia sexualis, cuore palpitante della popolarità di tanti fenomeni esoterici: l’eccesso fatto metodo, in contraltare alle virtù borghesi industriose e mercatrici, che la sessualità bandivano certo non in pregio dell’Incarnazione cristiana, ma secondo una logica economica di risparmio delle energie offerte all’idolo del lavoro. A guardar bene si tratta di due facce della medesima medaglia, e la sessualità – censurata o praticata sregolatamente – è in entrambe ascesi profana del corpo, imposizione intellettuale, pratica individualistica finalizzata a un utile.

Questo interessante volume, ricco di informazioni, è in linea con il percorso di ricerca che Massimo Marra segue da molti anni, con lavori importanti e originali (ricordiamo la riedizione di Giovanni Carbonelli, la conclusa esperienza di direzione della rivista Atrium, e il recente Alchimia, in collaborazione con A. De Pascalis), e ne conferma serietà e validità. Ci auguriamo che il suo successo sia d’impulso ad altri studiosi a battere un terreno fondamentale per la comprensione di molti passaggi ancora oscuri dell’epoca in cui viviamo, e allo stesso Marra a continuare il suo cammino.

NOTE
[1] Cfr. Aleksandr Solženicyn, Lenin a Zurigo, trad. It. Milano, Leonardo, 1995