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Einstein, le api e i disastri annunciati

di Miriam Giudici - 19/03/2009

Frasi d’effetto, titoli che colpiscono, previsioni catastrofiche. Spararle troppo grosse, anche in tema di ecologia e ambiente, può fare alzare il livello di attenzione su un problema nel breve periodo. Ma alla lunga, non si fa un favore né alla scienza né al nostro pianeta…

 

 albert einstein
"Niente più api, (...) niente più umanità": slogan efficace... ma davvero è di Einstein?
L’abbiamo certamente risentita poco tempo fa: la nota affermazione di Einstein, “Se l’ape scomparisse dalla faccia della Terra, all’uomo non resterebbero più di quattro anni di vita”. Parole memorabili, che sempre si citano parlando del grave problema della sopravvivenza degli insetti impollinatori: ma con tutta probabilità non fu Einstein a pronunciarle.

 

Numerose ricerche sono state condotte sugli scritti dello scienziato, ma nessuna traccia della famosa affermazione sulle api e sul destino dell’umanità e mai stata trovata. Il padre della teoria della Relatività morì nel 1955, ma questa citazione gliela si attribuisce per la prima volta, a quanto pare, solo nel 1994: precisamente, la si trova in alcuni pamphlet siglati dall’Union Nationale de l’Apiculture Français, che allora protestava a Bruxelles riguardo le regole per l’importazione del miele dai Paesi extracomunitari, temendo di soccombere di fronte alla concorrenza.

Niente più apicoltori in Europa, niente più api, niente più impollinazione, niente più piante… niente più umanità: uno slogan efficace, che però avrebbe avuto più forza se messo in bocca a una personalità illustre e conosciuta ovunque come quella di Albert Einstein – che peraltro era un fisico e non un biologo, né un entomologo.

 

ape
La storia di Einstein e delle api viene citata tutte le volte che si parla della drastica diminuzione di imenotteri in alcune zone del mondo.
Una frase molto forte, un padre ben noto: ed ecco che da qualche anno la storia di Einstein e delle api viene citata tutte le volte che si parla di un fatto davvero serio, quello della drastica diminuzione della popolazione di imenotteri in alcune zone del mondo.

 

Il problema, però, non sta tanto nell’attribuzione errata di una paternità. La citazione contiene quello che è un eterno vizio dei media: la previsione catastrofica, lo spauracchio della scomparsa dell’umanità intera, rapida e inarrestabile.

Qualcosa che serve ai titolisti dei giornali per catturare l’attenzione, agli attivisti per perorare la propria causa, e all’opinione pubblica per avere qualcosa di cui parlare e preoccuparsi. Ma per un lasso di tempo incredibilmente breve: ormai siamo talmente assuefatti al catastrofismo che messaggi del genere ci fanno poco effetto, e siamo pronti a smettere di occuparci di un problema non appena l’allarme si alza su un altro.

Non solo: gridare continuamente “al lupo”, senza che poi il disastro previsto si avveri, nel lungo periodo fa calare l’attenzione per questioni che in realtà continuano a essere gravi. Induce a credere che gli ecologisti siano gente che abbaia per nulla, fanatici sostanzialmente inaffidabili: e questo, sì, è davvero catastrofico in termini di distruzione di una cultura scientifica e ambientalista che si è cercato faticosamente di costruire.

 


Gli organi di informazione generalista sono spesso pieni di previsioni catastrofiche e titoli tanto urlati quanto vuoti di significato
Un esempio di questo è la reazione dell’opinione pubblica di fronte al complicatissimo tema dell’effetto serra: gli organi di informazione non specialistici sono pieni di titoloni su Venezia che scomparirà sott’acqua a breve, sui nostri figli che non vedranno mai la neve e sugli orsi polari che soccomberanno nel giro di pochi anni. Ritornelli che sentiamo ormai da troppo tempo, che non riscontriamo nella realtà, e che vengono poi cancellati da altri titoli – ugualmente urlati – sui ghiacci artici in fase di momentanea espansione, a negare completamente l’allarme.

 

Risultato: la gente è disorientata, e pensa che gli scienziati esagerino la portata di certi problemi, sbagliando regolarmente le loro previsioni.

Il nodo centrale è proprio questo: prevedere il futuro è difficile, tanto più difficile quanto più si vuole vedere lontano nel tempo. Ed è difficile anche – forse soprattutto – per uno scienziato, che è consapevole della quantità di variabili in gioco quando si parla, per esempio, di clima; e che sa quanta strada ancora si debba fare con studi, ricerche, messa a punto di nuove tecnologie, e con una continua – sana, necessaria – messa in discussione dei risultati ottenuti.

Un cammino duro, lento e poco prevedibile: che però è anche qualcosa di poco raccontabile, così com’è, dai giornalisti. Non è di sicuro quella parola definitiva, quella soluzione (o condanna) certa, quell’opinione netta di cui ha bisogno un pubblico che vuole capire velocemente questioni complesse e dibattute.

Che si accontenta di preoccuparsi un po’ pensando all’immagine di Einstein che sentenzia sulle api, ma che poco viene informato, soprattutto dai media più “generalisti” sui reali termini di un problema che poi viene percepito come lontano e, in fondo, inesorabile. Quando invece è partendo dalla responsabilità personale di tutti, faticosamente e giorno per giorno, con risultati lenti e poco visibili, che si potranno produrre dinamiche che incideranno davvero sullo stato e sul futuro del nostro pianeta.