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Il burattinaio

di Massimiliano Viviani - 22/03/2009

    

Chi rappresenta il vero burattinaio della politica italiana? Ma lui, il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi.
Draghi nasce a Roma nel 1947. Nel 1970 si laurea in Economia col massimo dei voti all'Università La Sapienza di Roma, relatore il professor Caffè. Nel 1976 ottiene il dottorato presso il MIT di Boston con Franco Modigliani. La sua carriera accademica è altrettanto brillante: insegna nelle università di Trento, Padova, Venezia e Firenze. A questi incarichi si aggiunge nel 1984 quello di direttore esecutivo della Banca Mondiale.
Nel 1991 lascia i precedenti incarichi per entrare nel Ministero del Tesoro in qualità di direttore generale. Il destino volle che l'anno successivo, il 1992, caduta l'Urss, cominciasse Tangentopoli.
I partiti di governo vengono spazzati via, e a Palazzo Chigi salgono "tecnici indipendenti": Amato ('92), Ciampi ('93), Dini ('95), Prodi ('96), tutti vicini ai grandi poteri finanziari internazionali. Obiettivo principale: lo smantellamento del patrimonio statale, Iri innanzi tutto, che faceva gola ai vari Goldman Sachs, Coopers, Morgan Stanley, Barclays...
Costoro nel giugno del '92 si erano riuniti sul panfilo Britannia al largo di Civitavecchia alla presenza dell'allora governatore della Banca d’Italia Ciampi e dello stesso Mario Draghi. Lì furono decisi i termini della svendita del Paese. Per rendere la cosa più facile furono conclusi accordi circa la svalutazione della lira, che si sarebbe aggirata intorno al 30%, quindi a condizioni di svendita fallimentare.
Pochi giorni dopo, casualmente, cade il governo Andreotti, l'ultimo della "prima repubblica", e inizia il primo governo "tecnico" Amato, il quale si affretta a trasformare in SpA le aziende di Stato: IRI, ENI, INA ed ENEL.
Complice anche il filantropo Soros che speculò sulla Lira facendoci uscire dallo SME, la stampa alimentò una campagna martellante per incutere il timore nel popolo italiano di “non entrare in Europa". Condizione essenziale per entrarvi era infatti diminuire l'enorme debito pubblico italiano, e per fare questo c'era solo una via: vendere massicciamente tutto il comparto industriale statale.
E qui entra in gioco Draghi, che nel 1993 diventa nientemeno che Presidente del Comitato Privatizzazioni. Insieme al governatore della Banca d'Italia Ciampi, negli Anni Novanta egli fa la parte del leone nel guidare la massiccia privatizzazione: insieme all'IRI vengono messi sul mercato l'ENI, l'ENEL, il Credito Italiano e la Banca Commerciale Italiana, la Telecom, la siderurgia di Stato, l'Italtel, e il comparto agro-alimentare composto da aziende come Buitoni, Invernizzi, Locatelli, Ferrarelle e altre.
Fu un autentico massacro. Draghi concluse dismissioni che fecero diminuire il debito pubblico di una quota irrisoria, dal 125% al 110% del Pil. In compenso il Paese ne uscì fortemente indebolito, e le conseguenze le paghiamo tuttora.
Nonostante questo - o forse proprio per questo - nel 2000 Ciampi, allora Presidente della Repubblica, lo nomina Cavaliere di Gran Croce. Ma le riconoscenze non finiscono qui: è significativo che la Goldman Sachs, che è stata la principale beneficiaria della svendita operata da Draghi, nel 2002 lo nomini vicepresidente per l'Europa.
Dal 2005 è storia recente: Draghi lascia la Goldman per accettare l'incarico di governatore della Banca d'Italia. Il che fa veramente rabbrividire: abbiamo come governatore della Banca centrale un uomo di fiducia di una banca privata americana.
L'elezione di Draghi a governatore rappresenta la conclusione della lunga battaglia politica cominciata nel 1992. Di fatto, il potere finanziario internazionale ha vinto. Oramai sono loro che comandano. Ma se è vero che il potere quando raggiunge l'apice non può far altro che cominciare a decadere, vogliamo pensare che ciò possa accadere sin da subito, ed essere proprio noi i portatori di una consapevolezza nuova.