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Crisi e crisi

di Mauro Tozzato - 23/03/2009

 
 
Sul Corriere del 19.03.2009 Sergio Romano risponde a una lettera che lo interroga sulle “similitudini” e “differenze” tra la crisi che ha portato al crollo dell’URSS e dei regimi dell’Europa orientale e quella attuale. Romano considera le conclusioni che alcuni, in maniera semplicistica, vorrebbero trarre immediatamente. Egli ricorda come molti allora (nel 1991) pensarono

<<che il collasso dell’Urss dimostrasse la superiorità del mercato sulla proprietà pubblica dei mezzi di produzione.[…]Ma ecco che vent’anni dopo gli arroganti maestri del capitalismo trionfante appaiono travolti dall’applicazione dei loro stessi principi.>>

Ma Romano è di diverso avviso e rimarca la differenza tra le due situazioni. Il sistema sovietico versava in una condizione di lunga stagnazione in cui non aveva neppure saputo fare buon uso

<<degli straordinari introiti petroliferi provocati dall’aumento dei prezzi dopo gli shock del 1973 e 1979.>>

I tentativi di riforma tentati da Gorbaciov:

<<le aziende familiari, l’impresa socialista, una iniezione di neo-leninismo [ ?? – N.d.r] e una maggiore trasparenza (glasnost) dei pubblici apparati […]ebbero l’effetto di rendere evidenti le pecche del sistema e di generare un pubblico dibattito.>>

L’autore dell’articolo insiste anche sulle rigidità del sistema sovietico e sull’incapacità dei suoi amministratori di rendere più flessibili le regole del Gosplan; forse bisognerebbe aggiungere che rimane ancora da chiarire - almeno per quanto ci riguarda - la questione dirimente se sia proprio il
principio di piano, applicato in forma estesa, che risulta del tutto fallimentare oppure se abbia ancora un senso rivisitare le concrete esperienze storiche in cui si è manifestato.
Seppure in maniera diversa Romano trae, alla fine, le stesse conclusioni che La Grassa a suo tempo esplicitò con chiarezza di fronte alle controversie sul giudizio da dare alla politica gorbacioviana:

<<Si potrebbe sostenere che la morte dell’Urss fu dovuta in gran parte alle buone intenzioni del
riformismo gorbacioviano.>>

Riguardo alla crisi attuale l’ex ambasciatore afferma che

<<la stretta creditizia è scoppiata dopo due decenni di straordinaria crescita economica in molti Paesi del pianeta. La crisi ha bruciato e continuerà a bruciare molta ricchezza, ma non potrà distruggere le case costruite, le infrastrutture realizzate, l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica dell’ultima generazione.>>

Però - senza parlare del Giappone che dalla seconda metà degli anni Novanta (del secolo scorso) era già entrato in recessione e in forte deflazione – i tassi di crescita europei erano da parecchi anni piuttosto bassi con qualche oscillazione, mentre il lungo ciclo espansivo statunitense era stato alimentato da quello che ormai sappiamo: indebitamento (soprattutto della bilancia commerciale e dei privati), elevato livello degli IDE verso gli USA in progressiva diminuzione negli ultimi anni e incremento dei “giochi d’azzardo” nelle contrattazioni di titoli e nellacreazione di strumenti per
amplificare i tempi di rientro dagli indebitamenti (con “catastrofe” finale). Quello che dice Romano nell’ultimo passo citato è sostanzialmente vero ma vi sono parecchi altri aspetti da aggiungere per completare il quadro della situazione. E per concludere, fino a prova contraria, ci sentiamo di convenire con S. Romano che nella sua storia

<<il capitalismo ha dimostrato di possedere flessibilità, pragmatismo e una forte attitudine alla spregiudicata sperimentazione di formule nuove.>>

Ora siamo entrati in una nuova fase, per adesso fondamentalmente multipolare (nel senso definito da La Grassa), che dovrebbe caratterizzarsi come “crisi di lungo periodo” per la formazione sociale globale. Le risorse strategiche dei dominanti dovranno, perciò, essere utilizzate per sostenere tutte le sfere del sistema perché in congiunture come queste l’elemento più “debole” può non essere di tipo “economico” e non risultare facilmente individuabile.